domenica 30 settembre 2012

Un ex 'itinerante' ci parla di Kiko e Carmen

Kiko si premurerà di dichiarare subito che Daniel è "un demonio" che "distruggerà tutto", mentre Carmen stabilirà che nessun neocatecumenale avrebbe mai più comprato i suoi libri, e Daniel verrà immediatamente ostracizzato e dimenticato dai suoi stessi fratelli di comunità...


Daniel Lifschitz, classe 1937, è un ebreo convertitosi al cattolicesimo. Ha avuto occasione di entrare nel Cammino Neocatecumenale nel 1973, diventandone poi "catechista itinerante" per portare il Cammino in Turchia, in Africa e negli USA.

Dopo aver impiegato ventitre anni per completare il Cammino, lo lascerà.

Lo stesso Kiko si premurerà di dichiarare subito che Daniel è "un demonio" che "distruggerà tutto", mentre Carmen stabilirà che nessun neocatecumenale avrebbe mai più comprato i suoi libri, e Daniel verrà immediatamente ostracizzato e dimenticato dai suoi stessi fratelli di comunità.

Niente male come trattamento per uno che decide di abbandonare. Vogliamo solo far notare che questo non avviene in nessun altro ambiente cattolico: né nei conventi, né negli altri movimenti ecclesiali, né nelle comunità monastiche e religiose, né nelle associazioni cattoliche... Si verificano censure del genere solo quando uno decide di lasciare il Cammino. Non farà meraviglia, dunque, che il Cammino venga qualificato come "setta".

Un esempio di religiosità kitsch:
"crocifisso appiattito" kikiano
Vale la pena commentare alcuni ricordi di Daniel (citati da: Daniel Lifschitz, "L’immondizia ama Dio. Dal Battesimo all’itineranza neocatecumenale", edizioni Parva), che costituiscono l'ennesima testimonianza sui problemi del Cammino Neocatecumenale, interessante perché proveniente da chi ancora conserva un po' di simpatia per il Cammino (al punto da raccontare ancora oggi che certi eventi infausti erano "il Signore che mette alla prova", e quelli fausti erano "il Signore mi faceva capire che dovevo perseverare").

Carmen interrompe il Papa

L'episodio è noto, ma è sempre bene averne una testimonianza in più da parte di chi era presente di persona. Nel 1981 Giovanni Paolo II va a visitare la parrocchia dei Martiri Canadesi a Roma, che ha il non invidiabile primato dell'essere la prima chiesa italiana in cui si è impiantato il Cammino (dal 1968).
Nel suo discorso il Papa ci parlava sempre del “movimento neocatecumenale”. Ma ogni volta che pronunciava la parola “movimento” Carmen lo interrompeva, gridando: "Padre, Cammino, non movimento". Questo avvenne per ben cinque volte, finché il Papa, abbastanza seccato, esclamò: “La donna taccia!”. A mio avviso Giovanni Paolo II aveva ragione, ma Carmen, purtroppo, l’ebbe vinta.
Bizzarrie kitsch kikiane:
il portachiavi-sgorbio
Il "franchising" religioso neocatecumenale, in onore all'idolo Kiko

Come in ogni setta, il culto della personalità del fondatore raggiunge e supera le vette del ridicolo.
Per poter fare le nostre celebrazioni, la Liturgia delle ore e l’Eucaristia, dovevamo portare quindi tutto l’occorrente nascosto in valigie e affittare una stanza in più, trasformandola in cappella. Per i neocatecumeni non si tratta di poche cose: la Bibbia con la fodera di Kiko, l’icona della Madonna di Kiko, la Croce a stile in stile di Kiko, il Cero pasquale con un motivo di Kiko, la Coppa e la patena progettati da Kiko, il libro dei canti di Kiko, il copri leggio ideato da Kiko, tappeti, chitarra, tamburello e paramenti non ancora progettati da Kiko.

Un altro episodio mostra ancora una volta che le scelte "teologiche" di Kiko non sono basate su riflessione e ragionamento, ma sono decisioni insindacabili a cui poi seguono eventualmente "spiegazioni" improvvisate e bislacche.
Chanukkàh della sinagoga di Karslruhe:
forse non sanno che "nove" sarebbe
"il numero dell'evangelizzazione"
Un’altra volta cercai di fargli cambiare idea su un dettaglio liturgico. Durante l’Eucaristia del Cammino si accende sulla mensa la Chanukkàh, il candeliere a otto braccia che viene acceso durante gli otto giorni che dura la festa di Chanukkah. Il nono braccio è nient’altro che un servitore per accendere ogni giorno una luce, fino all’ottavo giorno della festa. Feci notare a Kiko che un candelabro a nove braccia, come viene acceso in tutte le Eucaristie del Cammino, non ha nessun senso liturgico. Infastidito, non mi volle ascoltare: disse che il numero nove era quello dell’evangelizzazione.
Le catechesi segrete

Ciò che Kiko ha di più caro sono le sue stesse catechesi, immutabili, intangibili, da ripetere a memoria per poi recitarle cercando di dare l'apparenza dell'ispirazione "dallo Spirito".

Nel Cammino è sempre stato così. Addirittura, fino a pochi anni fa, dei testi delle "catechesi segrete" (i cosiddetti mamotreti) veniva negata perfino l'esistenza (anche dopo che mons. Landucci e p. Zoffoli le pubblicarono e commentarono).

Design by Kiko:
vassoio ottagonale per pagnotta
ed insalatiera-beverone gigante
Tale menzogna non poteva durare in eterno, anche a causa di piccoli incidenti come questo occorso a Daniel.
Una sera, mentre père Elie faceva visite ai suoi numerosi parrocchiani, preparavamo la catechesi dell’indomani nel suo salotto e, terminata la lettura – la conoscevamo già tutti a memoria e per me era diventata una gran noia – nascosi il mio mamotreto sotto il cuscino di un divano. La mattina, a colazione, père Elie ci venne incontro tutto pimpante con un ghigno in bocca e in mano il "vangelo secondo Kiko e Carmen": “Ecco, da dove tirate fuori la vostra parlantina! Ora ho capito chi siete: siete tutti dei pappagalli!”. Non aveva tutti i torti.
Ci dispiace notare che di fronte ad una tale figuraccia, i neocatecumenali presenti non abbiano riflettuto seriamente su quell'evangelizzare "secondo Kiko e Carmen".

Ecco la "Nueva Estetica"
che si rifà ai "Primi Cristiani":
trono di plastica trasparente
per il gran Sabato Sera
di ogni "presbìtero" kikiano
La diffusione del Cammino consiste nel culto dei fondatori e nella "pappagallesca" ripetizione delle loro apodittiche affermazioni e delle loro ambiguità dottrinali e liturgiche. Per di più, i fondatori mostrano una grave mancanza di rispetto nei confronti del Papa e dei vescovi. Per esempio, Kiko e Carmen il 17 gennaio 2006 scrissero a papa Benedetto XVI: "siamo contentissimi delle norme" liturgiche (che proibivano tutti gli abusi neocatecumenali), ed il 14 giugno 2008, appena ricevuto lo Statuto, Kiko affermava trionfante in conferenza stampa che due anni e mezzo prima, appena ricevute le norme, le aveva considerate "una catastrofe! siamo persi! qui finisce tutto!"

Il Cammino si diffonde grazie alle divisioni tra i cattolici

Daniel ci racconta un episodio semplice ma esemplare: anziché interrogarsi sulla fondatezza dell'accusa del domenicano, i francescani "insorgono". Il commento di Daniel lascia intendere che a muovere i francescani era l'invidia nei confronti della parrocchia più grande: è in nome dell'invidia e della vendetta che favoriscono il Cammino.
Fremendo di rabbia ci tacciò di sfaccendati che, con il pretesto di servire la Chiesa, facevano a sbafo “turismo ecclesiale”. Se avesse saggiamente taciuto, avremmo forse dovuto fare fagotto. Ma una tale arroganza, suscitò la reazione opposta. Gli altri parroci, tutti Francescani, di fronte a quel prepotente Domenicano, che nella sua parrocchia regnava su un gregge di mille pecore, mentre, si dovevano dividere tra di loro trecento pecorelle, insorsero come un sol uomo.

Il Cammino contro i vescovi

Un qualunque missionario cattolico onesto pensa così: se vado in una diocesi e il vescovo di lì non mi vuole, allora vado via anche se mi sembrasse una decisione ingiusta, perché di fronte al Signore è meglio obbedire al vescovo piuttosto che evangelizzare nella sua diocesi contro la sua decisione.

Invece, con l'ambiguo slogan "siamo approvati dal Papa", i neocatecumenali (perfino quelli in buona fede) pensano che sia legittimo infischiarsene del parere del Vescovo: "...nacque una piccola Comunità di 12 fratelli, per la gioia del parroco p.Sebastiano e per il gran dispiacere del vescovo".

La Nueva Estetica Musical:
nelle liturgie neocatecumenali
si possono usare solo ed
esclusivamente canti di Kiko
In Turchia, il nuovo vescovo aveva capito bene che il pessimo lievito avrebbe fermentato rovinando seriamente l'impasto:
Nel frattempo era arrivato il nuovo Vescovo di Izmir, Mons. Kalogiras. L’incontro con lui fu drammatico. Non voleva saperne di Comunità. Secondo lui gettavamo scompiglio nella sua diocesi. Poco prima del nostro arrivo aveva vietato alle suore di continuare il Cammino. Decise, senza spiegare il perché, di chiudere anche la Comunità di p.Domenico. Che male poteva recare una Comunità di appena dieci persone ad un “grande” diocesi? Ovviamente il Vescovo, fedele al Vangelo, temeva che un po’ di lievito fermentasse tutta la massa. Poco tempo prima Giovanni Paolo II era stato ad Efeso, e Mons. Kalogiras l’aveva salutato come “il dolce Cristo in terra”. Alla nostra obiezione che il “dolce Cristo in terra” conosceva il Cammino e l’apprezzava, seppe solo rispondere: “A Izmir il Papa sono io!”.
Purtroppo quel vescovo aveva ragione. A che servono i vescovi, se per aggirare le loro decisioni basta dire ambiguamente "il Papa ci apprezza"?

In nome dell'ubbidienza al vescovo, disobbediscono al Papa. E poi in nome dell'ubbidienza al Papa disobbediscono al vescovo. Kiko ed i suoi neocatecumenali obbediscono solo a chi fa comodo, solo quando fa comodo, e solo nella misura in cui fa comodo.

Come sempre, l'ambiguo slogan neocatecumenale "il Papa ci apprezza" serve solo a infischiarsene delle decisioni dei vescovi. Quasi al punto di esultare nel vedere che un vescovo ostile al Cammino è colpito da malattie o da morte.

La vera forza dei neocatecumenali: il fracasso

Liturgia kika con nove fuochi:
"il numero dell'evangelizzazione"
Da allibire: tredici neocatecumenali strimpellano "per ore" dei "canti neocatecumenali". La menzogna giornalistica amplifica i tredici in "trecento", e trasforma la loro fastidiosa operazione di propaganda in "accoglienza al Papa".

Vale il solito detto: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Sulla stampa fanno più rumore i tredici neocatecumenali solerti nel chiassare, che le preghiere e l'accoglienza (quella vera) della comunità cattolica svizzera che il Papa stava visitando.
Partimmo, quindi, la domenica del suo arrivo, con il primo treno diretto a Sion, per essere pronti ad accoglierlo in prima fila con striscioni, chitarre, e bongo. Avevamo anche un megafono, perché eravamo in tutto... tredici.

(...)

Quando, dopo la Messa, il Papa si ritirò nella Casa del Vescovo per pranzare con l’episcopato svizzero, ci spostammo nel giardino sottostante, continuando imperterriti per ore con i nostri canti neocatecumenali, finche il segretario del Vescovo, uscendo sul balcone, ci ringraziò, chiedendoci di abbassare il tono, perché il Santo Padre era andato a riposare.

L’indomani i giornali del Vallese, cantone cattolico, uscirono con il titolo: “Trecento giovani entusiasti, con chitarre e tamburi, cantano la loro gioia e il loro amore per il Papa.”
C'è da notare che i neocatecumenali non potevano avere peggior trattamento dell'indifferenza.

Il tocco finale è dato dall'avviso del segretario del vescovo (non immaginiamo cosa sarebbe apparso sulla stampa se al balcone si fosse scomodato uno dei vescovi): "Grazie, ma abbassate il volume".

È facile comprendere il sarcasmo di quel "grazie" di fronte a quell'intrattenimento musicale rumoroso, indesiderato, e composto di soli "canti neocatecumenali". Non canti gregoriani e polifonici, ma canzonette scritte da Kiko, musicate da Kiko, suonate alla maniera di Kiko, accompagnate dai tamburi (immaginate che effetto, nella civilissima Svizzera, sentir tambureggiare per ore intere peggio che nell'Africa nera) e... urlate nel megafono.

Chiassate neocatecumenali
per le strade: questa sarebbe
la "nueva evangelizatio"
Non meno sarcastica è quella richiesta di abbassare il volume. Come a dire: se proprio siete così contenti di cantare quella robaccia, continuate pure all'infinito.

Insomma, i tredici eroi neocatecumenali hanno avuto il peggior trattamento che si possa immaginare. Che però è nulla in confronto all'alternativa del dover relazionare ai propri super-catechisti "abbiamo cantato solo per un'ora" oppure "senza megafono".

Dopotutto sarà la stampa, all'indomani, a trasformare magicamente la fastidiosa chiassata di tredici scalmanati in una (testuali parole) "accoglienza al Papa" da parte di "trecento".

E se i vescovi svizzeri avessero pubblicato una smentita, avrebbero con ciò dato più importanza ai fracassoni di quanta non ne fosse stata già fabbricata.

martedì 25 settembre 2012

Un caso drammatico: una delle conseguenze dello strapotere dei catechisti? Fino a quando?


Maria, donna libera
Ci scrive un medico, alle due di notte, purtroppo e comprensibilmente conservando l'anonimato, ma senza per questo perdere di efficacia nella comunicazione. La testimonianza è drammatica e grave e dimostra ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, l'anomalo 'strapotere' dei catechisti neocatecumenali sulla vita delle persone. Ve la propongo così com'è e vorrei esortare quel medico a denunciare il caso, se come spero continua a leggerci visto che desiderava approfondire un fenomeno oggettivamente inquietante. Dove non arriva il nostro grido d'allarme, oltre che sulle prassi anomale sulla retta dottrina, a Pastori sordi e muti in una Chiesa in crisi epocale, può arrivare la giustizia umana, inquadrando il caso nei suoi parametri adeguati.

Per aderire alla sua richiesta di approfondimento, lo invito ad esplorare questo sito di riferimento.

La testimonianza, per stile e dettagli, la ritengo autentica; e quindi mi sembra opportuno estrarla e darle visibilità. Hai visto mai che contribuisca all'inceppamento di un ingranaggio finora inesorabile?
Scusate vorrei fare una domanda, io non so nulla di questo movimento religioso, sono un medico chirurgo e lavoro in un ospedale pubblico. Oggi ho dovuto operare una paziente facente parte di questo gruppo. La donna quando è arrivata in ospedale lamentava forti dolori addominali, e dopo vari esami abbiamo riscontrato una gravidanza extrauterina. Abbiamo spiegato alla donna che bisognava operare subito o rischiava di morire, ma lei all'inizio era assolutamente contraria all'aborto perchè cattolica. abbiamo chiamato il cappellano dell'ospedale per spiegare che comunque il bambino non poteva assolutamente sopravvivere e che dunque la chiesa in questo specifico caso autorizza l'aborto. Niente, non c'era nulla da fare, la donna diceva che avrebbe fatto l'operazione solo con l'autorizzazione del catechista ( non so ancora bene chi sia questa figura ) del suo gruppo religioso. Intanto il tempo passava e nè lei nè il marito riuscivano a comprendere la situazione, ad eccezione dei parenti di entrambi che invece erano molto agitati perchè capivano che la donna poteva morire. Era come se la loro razionalità fosse stata appaltata a qualcun altro, e che non potevano autonomamente comprendere che se non si interveniva subito i rischi potevano essere molto seri. Alla fine per fortuna è riuscita a contattare il catechista che le ha consentito l'intervento, e devo dire che siamo riusciti appena in tempo a salvarla: l'ovulo aveva danneggiato una delle tube al punto che siamo stati costretti ad asportarla, assieme ad un principio di peritonite che per fortuna sembra ora essere sotto controllo. Torno ora dall'ospedale, e dato che i parenti mi hanno detto che la setta cui appartiene la donna si chiama cammino neocatecumenale, ho deciso di fare una ricerca in internet, e sono rimasto sorpreso che invece che una setta è un movimento della chiesa cattolica. potete darmi qualche info in più? La pagina di wikipedia mi sembra poco chiara e confusa.
25 settembre, 2012 02:02
Siamo felici di poter registrare l'evolversi positivo del caso:
Salve, sono il chirurgo di ieri, mi chiamo Lorenzo. volevo ringraziare per le info che mi sono state date su questo cammino. la donna ora sta bene, dovrà rimanere ancora in ospedale per un pò di tempo. è seguita da uno psichiatra dell'ospedale che la sta aiutando a riprendersi, e che inoltre provvederà ad occuparsi delle pratiche per verificare se la paziente è vittima di un qualche plagio. per quanto riguarda la segnalazione all'autorità religiosa, oggi il cappellano, con cui sono molto amico, ha saputo dai parenti della donna il nome e cognome del catechista e ha gia provveduto ad informare il vescovo, il quale sembra voler chiedere un incontro sia con la coppia che con i catechisti. Se ci saranno ulteriori sviluppi tornerò a contattarvi, sempre ovviamente nel rispetto della privacy della donna e della sua famiglia, a presto.
25 settembre, 2012 17:41
Ringrazio Lorenzo per l'aggiornamento. Sono lieta di conoscere l'evolversi positivo della situazione. E, soprattutto, che la persona è seguita adeguatamente. Ero indecisa se dare risalto a questa testimonianza nel timore che l'attento monitoraggio del quale siamo fatti oggetto giunga a identificare il caso e vengano create pressioni sul vescovo, sul cappellano e su chiunque potrebbe individuare e perseguire le responsabilità, che riguardano l'aspetto dell'anomalo potere dei catechisti, che crea dipendenza, deresponsabilizza e coarta le persone; ma può darsi che quanto diventa di dominio pubblico sia poi più difficile da insabbiare e manipolare com'è prassi in quel contesto... E conservo uno spiraglio di speranza nei confronti del vescovo; ma è solo uno spiraglio, in ragione delle esperienze anche personali di mancato ascolto e di minimizzazione dei fatti e delle loro implicazioni. Connivenza, quieto vivere? Chissà?

Estraggo una sintesi degli interventi:

Un'altra cosa che il "medico chirurgo" non ha ancora scoperto, è che nel Cammino Neocatecumenale le mogli sono considerate delle macchine sforna-figli, tanto più elogiabili quanti più figli mettono al mondo. Quale onore quando Kiko a qualche convivenza annuncia che una donna ha fatto 12 figli, 15 figli! applausi scroscianti.

Ora, mentre è un errore adoperarsi per evitare di aver figli, l'errore diametralmente opposto è quello di adoperarsi per fabbricare il maggior numero possibile di figli. Kiko è notoriamente ossessionato dal sesso: se una coppia non sforna figli, per Kiko significa necessariamente un problema morale e perciò si intrufola nella vita di coppia comandando assurdità come ad esempio quella da lui e dai suoi scagnozzi definita "il viaggio di nozze" (che è solo un modo per far capire alla "comunità" che marito e moglie ubbidiscono al comando del Cammino di sfornare un altro figlio).

Il problema, naturalmente, non sta nella donna che decide di testa sua di procreare dieci figli oppure che decide di rischiare la propria vita per generarne un'altra: il problema sorge quando questi diventano comportamenti condizionati da fanatici religiosi estranei alla coppia.

I figli sono un dono del Signore: chi pretende di "gestire" o "limitare" quel dono, al pari di chi pretende di "fabbricare" o "esagerare" quel dono, sta andando contro la legge di Dio.

Quanto al caso in questione, una coppia che non sia in grado di dare il consenso informato ad un intervento e deve aspettare il permesso del catechista non è normale, è una cosa aberrante, è follia, è incapacità non solo genitoriale, ma anche patologica dipendenza. Realisticamente parlando, bisognerebbe informarsi sulla famiglia ( attraverso i servizi sociali presenti in ospedale), e segnalare la cosa ad un centro psichiatrico. Questa gente, se vuole restare nella chiesa cattolica, ha bisogno di un sano percorso psicologico e di un recupero delle loro capacità di uomo/donna, sposi e genitori. Altrimenti fa solo danni alla chiesa a cui dice di appartenere, oltre che un danno terribile alla propria vita e a quella dei figli.

Resta il problema, cocente e ormai ineludibile, di una Chiesa che - fermandosi ad apparenze di comodo - non ha mai affrontato e approfondito seriamente questo problema, né dal punto di vista dottrinale né da quello pragmatico, che sono per forza di cose interconnessi...

domenica 23 settembre 2012

Il secondo scrutinio del Cammino Neocatecumenale

Nostra traduzione dal'originale pubblicato dal blog CruxSancta [Per i lettori che ci seguono solo da poco, di questo argomento abbiamo già parlato qui - e anche qui. Questo articolo è importante perché la fonte spagnola ci dà testimonianze convergenti e attuali]

Il Secondo Scrutinio del Cammino Neocatecumenale: le scartoffie segrete e la “conta del bottino”

Il Secondo Scrutinio comincia con una convivenza di un fine settimana, a differenza del Primo Scrutinio (descritto nella pagina precedente). Il venerdì sera si comincia come sempre con la monizione tipica, che suole essere lunga, e con il lucernario, o liturgia della luce, dimodoché dopo una lettura del Vangelo se ne vanno tutti in silenzio a dormire – silenzio che quasi nessuno rispetta, per ricordarsi di mattina quanto è difficile “essere fedeli nelle piccole cose”. La mattina del sabato è dedicata alla storia dei personaggi delle Scritture, soprattutto della persona di David, il tutto nel contesto delle lodi che terminano con la lettura del passo delle tre tentazioni di Gesù nel deserto e le domande a cui ciascuno deve rispondere da solo per iscritto. Le domande gravitano intorno alle tentazioni di Cristo, e tendono a far vedere la vita di ciascuno alla luce di tali tentazioni: quali sono le sicurezze prima, durante il cammino e adesso (tentazione del pane); quali sono gli eventi non accettati della vita, prima, durante il cammino e adesso (tentazione del tetto del tempio); quali sono gli idoli personali prima, durante il cammino e adesso (tentazione di adorare il maligno).

Nel pomeriggio si risponde alle domande in gruppo; ogni giornata termina con l’eucarestia. La domenica si prosegue con le lodi e cominciano gli scrutini. Si mette una sedia nel centro della sala e i catecumeni sorteggiati escono a rispondere alle domante; il catechista con un taccuino prende delle note, assicurando che le distruggerà al termine del passaggio. Si continua nel pomeriggio, ma si finisce presto, a seconda della fretta che abbiano i catechisti. I soldi per la convivenza vengono sempre tirati in ballo, e pertanto questi scrutini si prolungano fino a due tre volte a settimana finché tutti i fratelli siano stati scrutinati. A volte questo processo può durare addirittura un mese o di più.

Mentre il catecumeno risponde alle domande del catechista, questi gli chiede di spiegare quanto non gli è rimasto ben chiaro. Una volta che lo scrutinato ha terminato di rispondere, il catechista – senza avere alle spalle nessuno studio di psicologia e nessuna preparazione o caratteristica adeguata per dirigere la vita spirituale di una persona – cerca di dare un’interpretazione dell’origine psicologica dei problemi delle persone: affetti disordinati, traumi infantili, cercando di vederli da un punto di vista religioso ma limitandosi sempre alle regole della psicanalisi – ripeto, senza avere fatto nessuno studio nel campo e senza avere ricevuto una formazione spirituale. Aggiunge altre risposte a sorpresa per spiazzare il catecumeno: qual è la sua croce, se ha venduto i propri beni, in caso affermativo quanti soldi ha in cielo, se è aperto/a alla vita, se è single o sposato/a e infine se è disposto a cambiare comunità.

Arriva il momento dei fratelli della comunità: li si invita a parlare di fatti concreti riguardanti quel fratello. Alcuni colgono l’occasione per accanirsi senza pietà contro di lui – si suppone che si tratti di carità fraterna e che dicano la verità per aiutare –, e poi chiedono al responsabile e al presbitero se il catecumeno è pronto a entrare nel catecumenato, tappa che comincia realmente una volta superati i secondi scrutini. Si chiede infine allo scrutinato, prima di passare al successivo, di pensare a un segno della sua rinuncia agli idoli, senza rivelarlo agli altri, ma ad alcuni dicono che glielo chiederanno in segreto. Di solito questo segno è economico, ma può anche essere simbolico o includere entrambe le dimensioni.

Il segno si manifesterà nel rito dei secondi scrutini. Dopo che tutti i fratelli sono stati scrutinati, i catechisti si riuniscono e giudicano chi sia adatto per fare il rito e chi no, in base a un giudizio soggettivo in cui può succedere di tutto. L’aver compiuto la promessa di vendere i propri beni è un punto cruciale – tra altre cose non meno importanti come l’apertura alla vita, l’essere disposti a lasciare il proprio partner se questi non vuol fare la catechesi, etc. – nel momento in cui si decide se si è ammessi o no al rito.

Quanti non sono ammessi al rito retrocedono alla comunità immediatamente inferiore, gli altri compiranno questo misterioso rito nel giro di pochi giorni. Dopo questo annuncio, si suole fare una catechesi, la “catechesi del sale”: si riprende il segno che faceva parte del battesimo prima del Concilio Vaticano II, quando si metteva un po’ di sale sulle labbra del bambino battezzato, sale che simboleggia la sapienza della croce, la guarigione delle ferite della vita, il martirio, etc., e che svolgerà un ruolo molto importante nel misterioso rito.

Dopo di ciò si comunicherà il giorno e l’ora in cui esso si svolgerà, e si chiederà ai catecumeni di portare con sé il famoso segno personale – economico o simbolico – di rinuncia agli idoli a cui gli era stato chiesto di pensare durante lo scrutino. In questo momento si chiede in segreto ad alcuni qual è il simbolo scelto.

La struttura del rito segue “quasi” per filo e per segno il “secondo scrutinio battesimale” che si può trovare nel RICA (Rituale dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti della Chiesa cattolica, che in realtà riguarda soltanto i non ancora battezzati, ndt) che può essere acquistato da tutti gli interessati in qualsiasi libreria religiosa, dato che è uno dei libri liturgici sacramentali, ossia il libro che i sacerdoti seguono celebrando il battesimo degli adulti. E dico “quasi” perché le piccole innovazioni sono piuttosto forti. Il CNC non inventa molto, ma a volte si intestardisce a mantenere in vigore cose che la Chiesa ha ritenuto conveniente lasciare da parte nel corso della storia; difatti, nella comunione della Chiesa il rito del sale è sparito del tutto.

Tornando al rito stesso, esso si compone di tre parti e si svolge nel seno di una liturgia della parola a porte chiuse. In mezzo all’assemblea si trova un cesto enorme o qualcosa di simile, su tappeti. Dopo c’è la liturgia della Parola, che gravita intorno al racconto della ratificazione dell’alleanza da parte del popolo d’Israele che abbandona gli altri dèi prima di entrare nella terra promessa, tratto dal libro di Giosuè (Gios 24), e una lettura dell’Apocalisse in cui si parla della pietruzza bianca che il Signore darà al vincitore, che i neocatecumenali identificano, con frettolosa approssimazione, con il sale. Seguono una lunghissima catechesi e una brevissima omelia del sacerdote, dopo le quali comincia la seconda parte: la rinuncia al diavolo e alle tentazioni. Il problema è che a questo punto il RICA parla solo di una rinuncia generale, senza specificare né entrare in dettagli, esattamente come quella che si fa la notte della Pasqua di Resurrezione dato che il contesto – quello battesimale – è lo stesso. Il CNC invece fa una rinuncia personalizzata, vale a dire adattata a tutto quel che il soggetto ha applicato alla propria vita alla luce delle tre tentazioni di Cristo. Quindi il catecumeno, in mezzo alla porta che rappresenta le tenebre del mondo, con il volto rivolto verso di essa, getta il segno economico o simbolico nel cesto e pronuncia la propria rinuncia personalizzata a tutte le tentazioni e peccati che ha avuto e compiuto nella sua vita, esplicitandoli tuttavia con ogni tipo di dettagli. Fatto questo, si rivolge al sacerdote e si recita la preghiera d’esorcismo pre-battesimale. “Si fa in tutti i battesimi dei bambini, dei giovani e degli adulti della Chiesa cattolica e di quella ortodossa, e persino in alcune chiese protestanti, non vi mettete in testa cose strane e non ci pensate tanto, che questa è una preghiera molto comune, antica e semplice, solo che nel CNC si inserisce in questo contesto misterico e si dà molta più enfasi a tutto”.

Quando tutti hanno fatto questo, si passa alla terza parte che consiste nella benedizione di una gran quantità di granelli di sale che si spartiscono tra i fratelli, attribuendo ad essi il senso anteriormente spiegato. Dopodiché vanno tutti a festeggiare con una splendida cena.

Alcuni responsabili si incaricano di contare il denaro che c’è nella cesta e di vendere quei segni simbolici; tutto il denaro che si ricava dalla vendita viene dato ai poveri della parrocchia e della diocesi (questo lo fanno loro perché vogliono: nel summenzionato rito cattolico non si fa parola di una colletta).

Gli elementi mai esistiti nella storia della Chiesa e aggiunti al rito dal CNC sono: la benedizione del sale, il segno economico di rinuncia, la personalizzazione della rinuncia. C’è di più; la Chiesa ha sempre avuto la massima attenzione nel preservare tutto quel che appartiene all’ambito della coscienza col sigillo sacramentale della confessione e con la direzione spirituale, che implicano un segreto ministeriale. L’apertura pubblica della coscienza da parte dei cristiani è sempre stata ampiamente riprovata dalla tradizione della Chiesa a partire dalle sue origini fino ad oggi. Anche le famose confessioni pubbliche non contenevano elementi specifici della coscienza, ma sempre e solo contenuti generali e di senso ampio. Dall’antichità al Concilio, lo scrutinio pre-battesimale conteneva in genere queste tre parti:
  • la liturgia della parola e una rinuncia GENERALE;
  • la preghiera d’esorcismo;
  • la benedizione del sale.
Con il Concilio si è eliminato il simbolo del sale perché si è considerato non necessario e inessenziale per il battesimo degli adulti. Il CNC si intestardisce nel trascinare questo rito fuori dal suo contesto sacramentale e confessionale e da quello della direzione spirituale; insiste sul tema della rinuncia, COSA CHE LA CHIESA NON HA MAI FATTO, e col segreto dell’arcano, ALTRA COSA CHE NON È CONTEMPLATA DA NESSUNA PARTE. Così, il CNC riesce a creare un’atmosfera misterica e di timore soprattutto nel contesto rituale.


Riguardo alle decime: alcuni giorni dopo i Secondi Scrutini, i catechisti visitano la comunità per nominare nuovi responsabili perché alcuni fratelli che non hanno fatto il rito passano alla comunità successiva. Nell’apposita riunione si parla della decima dei raccolti che il popolo d’Israele presentava al tempio e si invita i fratelli a fare una cosa simile all’interno della comunità. Il catechista “sacralizza” la decima parte di tutto quel che il catecumeno guadagna, ed essendo quella decima parte sacralizzata, ossia qualcosa che appartiene a Dio, deve essere consegnata a fini caritativi. Tuttavia, i catecumeni la devono consegnare al responsabile; non alla parrocchia, né alla Caritas, né al primo povero che incontrino per strada, ma al responsabile, che avrà la responsabilità di amministrare il denaro raccolto. I primi beneficiari sono i fratelli della comunità ogni qual volta abbiano una ragione giustificata, vale a dire quando fanno “itineranza”, sia quando sono semplici membri della comunità che quando sono in seminario – il Redemptoris Mater, ovvio: se frequentassero un seminario normale non sarebbero autorizzati a servirsi di quel denaro.

I soldi delle decime sono custoditi dal responsabile a casa sua: non vengono depositati su nessuno conto corrente, non figurano su nessun libro contabile della Comunità, è come se non esistessero perché non passano attraverso nessuna forma di controllo. Ciò che avanza a fine mese dovrebbe essere dato ai poveri della parrocchia, e dico “dovrebbe” perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… e che mare! Di solito, molto raramente si dà ai poveri quel che avanza. Si suole utilizzare il denaro per molte cose e pertanto ciò che avanza viene risparmiato. Da questo fondo di denaro si preleverà ciò che sarà necessario per pagare le convivenze di inizio corso della Comunità o dei passaggi successivi. Anche se sono poche le volte in cui avanza qualcosa, perché il responsabile fa sempre i suoi intrallazzi con qualche fratello che simpatizza con lui più di altri, oppure li fa da solo. Pertanto il tema della decima è una fonte di conflitto e d’ingiustizia dentro la Comunità; oltretutto, dato che i neocatecatecumenali insistono molto sul tema dell’apertura alla vita, le famiglie che poco a poco vanno facendosi carico di figli hanno sempre più bisogno della decima per poter sussistere economicamente e quindi dipendono sempre di più dal CNC.

Danni terribili sono provocati dalle vessazioni a cui lo scrutinato deve lasciarsi sottoporre parlando dei dettagli più intimi della sua vita; dal modo in cui quest’ultima viene messa sotto processo dai catechisti – che alcune volte non hanno il più minimo tatto o la più minima delicatezza, per non menzionare la loro assoluta mancanza di qualsiasi tipo di preparazione nel campo della psicologia –; dal controllo che i catechisti e iresponsabili delle comunità acquisiscono sui suoi membri; dall’isolamento dal resto della società a cui molti membri si vedono sottoposti, dato che ad ogni passaggio aumentano i loro impegni all’interno delle attività del CNC che li obbligano a relegare o ad abbandonare del tutto ogni altro tipo di attività sociale.

In conclusione, il prodotto realizzato da questa gente nell’esercitare questa forma di controllo, è un branco di persone totalmente assorbite dal CNC che non esitano a lasciare amici, partner, genitori, fratelli e figli se le loro attività si contrappongono a quelle del CNC o se semplicemente lo criticano. Molti arrivano al punto di lasciare il loro lavoro pur di non mancare a una convivenza o se esso crea ostacoli al Cammino. Il risultato di tutto questo è una serie di persone totalmente dipendenti dal Cammino, che se anche volessero uscire da esso non possono ormai più farlo a causa della dipendenza economica e psicologica che esso ha creato; tali persone avranno anche difficoltà di reinserimento nella società qualora dovessero uscire dal Cammino, dato che sono state isolate dalla società reale e sono state sottoposte a un fortissimo addottrinamento in cui il soggetto veniva visto solamente all’interno del CNC e che ha generato abitudini difficili da cambiare.

Un’ultima notazione: il catechista giustifica la sua presa di controllo totale dicendo che sta cercando di salvarti dal “maligno”, dal “demonio”; ebbene, egli può usare tutti gli epiteti che vuole, ma sta dimenticando il fatto che nessuno può essere salvato con la forza.

sabato 22 settembre 2012

Cagliari: i neocat rimuovono il Crocifisso

Ci arriva questa segnalazione via mail:
Buonasera, volevo informarvi che nel quartier generale cagliaritano dei Neo Cat, noto come Parrocchia della Vergine della Salute,  é stato rimosso il Crocefisso dalla sommità della guglia....Perfino alcuni seguaci hanno protestato alla decisione dei capi.
C'è nome e cognome del mittente, quindi devo ritenerla attendibile.

Tuttavia, prima di fasciarci la testa, ameremmo capir meglio: cosa sta accadendo?

È stata data una ragione per la rimozione?

Qualcuno sa dirci di più? E, se ne sa di più, cosa ne pensa?


Nota: dalle foto presentate sul suo sito ufficiale, si nota che la parrocchia è stata completamente "kikizzata", spazzando via tutto ciò che c'era prima. Un lettore ci fa notare che nella pagina Orario Messe sono misteriosamente assenti le celebrazioni neocatecumenali del "sabato sera"... concludendo: «vogliono i soldi ma non i seccatori»?

Aggiornamento. Ci segnalano oggi, 25 settembre:
Il crocifisso è stato tolto per restauro in seguito alla foratura delle palla in bronzo causata dal guano delle cornacchie; verrà riposizionato quando il comune autorizzerà i lavori di ristrutturazione dell cuspide.... Saluti con affetto Padre Enrico Spano
Tutto dipende dal comune dunque? Speriamo in bene...

giovedì 20 settembre 2012

Il primo scrutinio del Cammino Neocatecumenale


Nostra traduzione dall'originale pubblicato dal blog Crux Sancta.

Il primo scrutinio del Cammino Neocatecumenale

Questo "uomo-patata" di Kiko Argüello
 occupa la copertina di un suo disco.
Notate il solito buco nella guancia
Il Primo Scrutinio è il primo passo all’interno del Cammino Neocatecumenale. È parte di quel che i seguaci di Kiko chiamano precatecumenato e consiste in una convivenza di quattro giorni, la prima di questo tipo a cui sono sottoposti i neocatecumenali. In realtà chi vi accede ancora non è considerato un neocatecumeno dai suoi “fratelli”, dato che io stesso ho sentito dire da parte di un neocatecumeno che aveva vent’anni di “cammino” alle sue spalle che chi non abbia superato i “Secondi Scrutini” è considerato ancora un signor nessuno e un “mondano qualunque” (sic).

Come tutte le convivenze di “passaggio” del CNC, anche questa comincia con il rito del lucernario come quello del Sabato Santo, ma la festa vera e propria comincia il sabato mattina, quando sono già presenti tutti coloro che hanno preferito essere responsabili e non mancare alla loro responsabilità di lavorare per una convivenza di passaggio. Durante la mattinata si svolge una catechesi sulla croce, si leggono i passi del vangelo che esortano a portare la croce e a seguire Gesù e si rivolge alla gente domandine del tipo: Qual è la tua croce? Come la vivevi prima del cammino? Come la vivi oggi?, etc.; domande a cui la gente deve rispondere prima individualmente e poi in gruppo. Poi, nel pomeriggio, ci si riunisce e il catechista domanda a ciascuno dei partecipanti: “Qual è la tua croce, fratello? E perché? Cosa ti dà la fede? Hai fede?, etc.

È già a partire da questa prima convivenza che cominciano ad affacciarsi i problemi di coscienza. Per esempio, una figlia rispondeva al catechista che la sua croce era suo padre perché si ubriacava, e questi piangeva per la vergogna; escono alla luce storie di abusi e di ogni altro tipo, beghe familiari, etc. Si dà il caso che tutti devono cominciare a parlare di temi intimi di fronte agli altri, cosa che si approfondirà nel corso dei vari passaggi. Per il momento, si parla solo della croce.

Quest'orrido "totem" di Kiko Argüello
dovrebbe rappresentare il Crocifisso
e la figura cerchiata dovrebbe
rappresentare la Beata Vergine
È allora quando il catechista comincia a parlare della fede, del fatto che è essa ciò che salva, che bisogna sperimentarla, che nessuno ha fede. Dopo aver rivolto domante sulla croce, si chiede alla gente se ha fede, e tutti ovviamente rispondono di sì. A questo punto arriva lo scherno: Ah, sì? Hai fede? Allora potrai dire a quella montagna che si muova di lì e si getti in mare? O al meno a quella sedia? O a quel vaso di fiori? Fino a che la gente scopre di poter ricevere l’approvazione del catechista quando afferma di non avere fede: è questa l’unica risposta corretta. “La convivenza ha come uno dei suoi obiettivi principali quello di convincere l’iniziato che NON HA FEDE – dice loro il catechista –, per questo avete camminato per due anni bla bla bla, per scoprire che non avete fede bla bla bla, e senza fede non potete prendere la vostra croce perché vi è pesante bla bla bla”.

Il sabato notte si comincia una celebrazione della parola e si inizia a rendersi conto che tutte le letture dicono di vendere i propri beni; l’ultima lettura è quella del giovane ricco, e il bello viene proprio a questo punto: il catechista comincia a dire che bisogna vendere i propri beni e darli ai poveri, che chi lo fa riceve il cento per uno, che solo chi lo fa ha una vera esperienza di Dio, che per avere fede bisogna vendere i propri beni, ed esattamente quelle cose verso le quali si sente più attaccamento – poiché è in quelle cose che risiede il tuo cuore –, che la tua mano sinistra non deve sapere quel che fa la mano destra – divertente… eppure loro sì che ti chiedono durante lo shemà o durante i secondi scrutini se hai venduto qualcosa, che cosa hai venduto, quanto denaro hai nel cielo ossia quanto ne hai dato ai poveri.

Mi sembra molto bello invitare la gente a vendere i propri beni in assoluta libertà, chiunque, quello che voglia, nella maniera che voglia; è cosa buona essere generosi con le persone indigenti, nutrire un distacco dalle cose materiali e voler essere liberi da esse; questo è ciò che fanno, per esempio, quanti entrano negli ordini religiosi accettando il voto di povertà, ma a loro nessuno li obbliga a entrare in quell’ordine o a fare il voto.

Questi "zombie" di Kiko Argüello
dovrebbero indurre alla preghiera
Il problema però è quando si obbliga la gente a vendere i propri beni perché venderli è la condizione necessaria per poter passare successivamente i secondi scrutini. Più che libertà, questa si chiama manipolazione.

Dopo la megacatechesi larga larghissima superlarga, il catechista dice: e adesso ognuno di voi si alzi ed esprima pubblicamente la sua disponibilità a vendere i propri beni e a dare i proventi ai poveri. Ed uno per uno i partecipanti si alzano, dando la loro adesione. A partire da ciò, vige un impegno implicito a fare quanto hanno promesso, che verrà loro ricordato in tutti i passi successivi, anche dopo i secondi scrutini.

La domenica torna ad essere molto tranquilla, vengono recitate le lodi con una lunga catechesi e alla fine, nel pomeriggio, viene celebrata un’eucarestia in cui viene inserito un rito singolare, preso in parte dal Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti della Chiesa – dico “in parte”, perché questo rituale è previsto per il battesimo degli adulti che ancora non sono stati battezzati.

Nella prima parte si celebra il rito dell’unzione, che in un battesimo normale viene fatta dal vescovo nella messa battesimale con olio benedetto, che si chiama olio dei catecumeni. Il primo problema nasce dal fatto che, dato che il battesimo imprime un carattere e non si può ripetere, i catechisti non possono utilizzare quell’olio. In realtà non può essere ripetuto nemmeno il rito, dato che presuppone una mancanza di fede nell’efficacia del sacramento che tutti riceviamo da piccoli: il Concilio di Trento ha già posto chiarezza su questo tema. Il secondo problema sorge quando nel CNC, arrivati a questo punto, si decide di trattare i battezzati come se non fossero battezzati, motivo per cui essi devono ripetere –“rivivere”, dicono loro – parte dei riti: per questo nelle eucarestie neocatecumenali non si recitava il credo prescritto nella messa domenicale finché i catecumeni non avessero compiuto il passo della redditio, etc.; per questo i catechisti hanno una fede, un esperienza, e quindi anche un’autorità maggiore dei loro discepoli. È così che si è tratta la conclusione secondo cui Kiko sarebbe colui che più fede ha tra tutti i neocatecumeni: tutti gli altri catechisti hanno ricevuto la fede da lui, e la vanno trasmettendo agli altri, ed è lui pertanto che ha più autorità di tutti gli altri membri del CNC.

Prima dell’unzione il sacerdote benedice un profumo, impone le mani sui fedeli e alita su di essi – un simbolo dello Spirito Santo – e li segna sulla fronte con il profumo. Mi astengo da commenti sulla ripetizione dei riti battesimali, dato che credo di aver dimostrato ampiamente che il fatto che un battezzato ripeta uno di questi riti sia un’aberrazione… La causa l’ho già menzionata: la mancanza della fede in Cristo che effonde la sua grazia attraverso il sacramento del battesimo che riceviamo da piccoli e nel seno della Chiesa, quella stessa Chiesa che proibisce la ripetizione del sacramento del battesimo.

Seminario neocatecumenale di Namur:
"tabernacolo a due piazze"
progettato da Kiko Argüello
La seconda parte consiste nell’iscrizione dei nomi nel libro della vita. Si legge il passo dell’Apocalisse che afferma che si salveranno solamente coloro i cui nomi saranno scritti nel libro della vita. Quest’immagine era in realtà una metafora che si riferiva al fatto che si salveranno quanti sceglieranno liberamente di seguire Cristo, con retta coscienza, come dice San Paolo ai romani. Ma i neocatecumenali hanno già fatto la loro reinterpretazione: il libro della vita è la Bibbia – perché sì, perché l’hanno deciso loro –, pertanto ogni catecumeno deve scrivere il suo nome su quella Bibbia. Ebbene, questo non era MAI stato fatto nella storia della Chiesa, perché LA BIBBIA NON È UN OGGETTO DI CULTO NEL CRISTIANESIMO; altra cosa è la Parola letta nel momento in cui si sta leggendo: in quel momento ogni cristiano ascolta con attenzione, e durante la lettura del Vangelo si alza in piedi in segno di rispetto, perché la parola ascoltata è la Parola con la ‘P’ maiuscola, ma mai si venera il libro; non solo: se venissero bruciate tutte le Bibbie della terra, il cristianesimo continuerebbe ad esistere. Nel CNC si passa dal rispetto al culto, e ricordo che nei sacrari disegnati da Kiko la Bibbia si conserva sopra lo spazio dove è posto il Signore sacramentato. Noi cristiani non siamo ebrei: per quanto questi ultimi siano particolarmente graditi a Kiko e a Carmen, è da tanto tempo che abbiamo superato queste differenze.

La terza parte è l’eucarestia comune, con l’omelia del sacerdote, a cui fino a quel momento è stata lasciata appena aprire la bocca (!!) durante i quattro mesi di convivenza – se si eccettua la breve omelia della penitenziale. Con essa termina la convivenza.

Ah, no. Dimenticavo, manca una cosa importantissima: va ricordato che l’intera esperienza della convivenza è coperta da un arcano segreto e che bisogna cacciare i soldi per pagare i quattro giorni. E non solo bisogna pagare le proprie spese, ma anche quelle dei catechisti itineranti, che vanno in missione ogni fine settimana. E adesso sì, termina la convivenza, ma resta ancora una sorpresa: quando arrivi a casa, mezza parrocchia sarà venuta a sapere che il padre di Tizio è alcolista, che quello di Caio picchia la moglie, che Sempronio non sopporta la sua dolce metà, e inoltre la figlia di Pinco Pallino odia suo padre perché l’ha violentata quando era piccola; sì perché alla fine la gente, dato che non è soggetta al segreto del confessionale a cui sono sottoposti i sacerdoti, per quanto gli si parli di arcano di qua e arcano di là, finiscono per parlare… SEMPRE.

Spero che questo serva a coloro che stanno entrando nel CNC per comprendere con dovizia di dettagli in che guaio si vanno a cacciare, e perché se decidono di entrarvi lo facciano con piena consapevolezza.

lunedì 17 settembre 2012

Un Culto, Una Fede. Nel Cammino la diversità col Cattolicesimo è netta!

Raccogliamo la richiesta di un utente che si firma Elio:
Se davvero questo blog è cristiano e opera "secondo verità" dopo il libro che mette alla berlina il Cammino Neocatecumenale, dovrebbe pubblicare qualche brano di un altro libro, che invece lo loda. Si tratta del volume di Don Piergiovanni Devoto dal titolo: "Il neocatecumenato, un'iniziazione cristiana per adulti", Chirico ed. pag. 267, euro 16, 50, con prefazione di Mons. Paul Josef Cordes. Don Devoto è un prete neocatecumenale, ha avuto una vocazione adulta, possiede tre lauree, e quando fa catechesi, non ripete a "pappagallo" gli Orientamenti di Kiko, ma li amplia,e ove necessario li cita. Cercate di non generalizzare facendo di singoli casi di catechisti, persone semplici, prassi comune. Gli orientamenti di Kiko, non appunto,solo orientamenti. Saluti, Elio
Ebbene citeremo alcuni brani del Libro nominato, nella parte che riguarda il Culto, ovvero il centro della Fede. Eccoli ( Op. Cit. Pagg 71-77):
“Nel IV secolo, con la conversione di Costantino e con l’ingresso nella Chiesa di masse pagane che non capiscono né vivono la Pasqua, il cristianesimo diventa religione ufficiale dell’impero e, pertanto, protetto. Va in chiesa per celebrare l’eucaristia anche l’imperatore col suo corteo: nascono così liturgie di ingresso, rese solenni da canti e da salmi, che perdurano nel tempo e, quando questi vengono poi eliminati, rimane solo l’antifona, senza più il salmo, costituendo un vero e proprio assurdo...
Analogamente prendono campo le processioni offertoriali, nelle quali emerge la concezione propria della religiosità naturale che tende a placare la divinità mediante doni e offerte...
Col passare dei secoli le orazioni private che si inseriscono in notevole quantità nella messa. L’assemblea non c’è più, la messa ha preso un tono penitenziale, in netto contrasto con l’esultanza pasquale da cui è sorta”..
E mentre il popolo vive la privatizzazione della messa, da parte dei dotti vengono elaborate teologie razionali, che, se contengono ‘in nuce’ l’essenziale della Rivelazione, sono ammantate di abiti filosofici estranei a Cristo e agli apostoli..
Allora si capisce perché sorse Lutero, che fece piazza pulita di tutto ciò che credeva fosse aggiunta o tradizione puramente umana...
Quando si perde di vista che cosa è il sacramento, che cosa è il memoriale, allora si passa a dare definizioni filosofiche che non solo non possono esaurire la realtà che contengono, ma sono necessariamente legate alla filosofia che le esprime. Così Lutero, che non ha mai dubitato della presenza reale di Cristo nell’eucaristia, ha rifiutato la ‘transustanziazione’, perché legata al concetto di sostanza aristotelico-tomistico, estraneo alla Chiesa degli apostoli e dei Padri...
La rigidità e il fissismo del Concilio di Trento generarono una mentalità statica in liturgia, arrivata fino ai nostri giorni, pronta a scandalizzarsi di qualsisasi mutamento o trasformazione. E questo è un errore, perché la liturgia è vita, una realtà che è lo Spirito vivente tra gli uomini. Perciò non lo si può mai imbottigliare..
Usciti fuori da una mentalità legalista e fissista, abbiamo assistito col Vaticano II a un profondo rinnovamento della liturgia. Sono stati tolti dall’eucaristia tutti quei paludamenti che la ricoprivano. È interessante vedere che in origine l’anafora [cioè la preghiera della consacrazione] non era scritta ma improvvisata dal presidente... 
La Chiesa ha tollerato per secoli forme non genuine. Così si è visto che il ‘Gloria’, che faceva parte della liturgia delle ore recitate dai monaci, è entrato nella messa quando delle due azioni liturgiche si è fatta un unica celebrazione, e che il ‘Credo’ è comparso all’apparire di eresie e di apostasie. Anche l’’Orate Fratres’ è esempio culminante delle preghiere con cui si infarciva la messa..
La celebrazione dell’eucaristia il sabato sera non è per facilitare l’esodo domenicale, ma per andare alle radici: il giorno di riposo per gli ebrei parte dalle prime tre stelle del venerdì e i primi vespri della domenica per tutta la Chiesa sono da sempre il sabato sera..
Il sabato si tratta di entrare nella festa con tutto l’essere, per sedersi alla mensa del Gran Re e gustare già ora il banchetto della vita eterna. Dopo la cena, un po’ di festa cordiale e amichevole concluderà questa giornata”...
Non è possibile citare tutto il libro. A queste essenziali e comunque chiare esternazioni, si contrappone nettamente la Teologia e il Dogma Cattolico, che per brevità cito dalla Sacramentum Caritatis, ultima in ordine di tempo:
"Lo sviluppo del rito eucaristico
3. Guardando alla storia bimillenaria della Chiesa di Dio, guidata dalla sapiente azione dello Spirito Santo, ammiriamo, pieni di gratitudine, lo sviluppo, ordinato nel tempo, delle forme rituali in cui facciamo memoria dell'evento della nostra salvezza. Dalle molteplici forme dei primi secoli, che ancora splendono nei riti delle antiche Chiese di Oriente, fino alla diffusione del rito romano; dalle chiare indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di san Pio V fino al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II: in ogni tappa della storia della Chiesa la Celebrazione eucaristica, quale fonte e culmine della sua vita e missione, risplende nel rito liturgico in tutta la sua multiforme ricchezza. La XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 2 al 23 ottobre 2005 in Vaticano, ha espresso nei confronti di questa storia un profondo ringraziamento a Dio, riconoscendo operante in essa la guida dello Spirito Santo. In particolare, i Padri sinodali hanno constatato e ribadito il benefico influsso che la riforma liturgica attuata a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II ha avuto per la vita della Chiesa (5). Il Sinodo dei Vescovi ha avuto la possibilità di valutare la sua ricezione dopo l'Assise conciliare. Moltissimi sono stati gli apprezzamenti. Le difficoltà ed anche taluni abusi rilevati, è stato affermato, non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate. Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all'interno dell'unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture (6).... 
L'istituzione dell'Eucaristia
10. In tal modo siamo portati a riflettere sull'istituzione dell'Eucaristia nell'Ultima Cena. Ciò accadde nel contesto di una cena rituale che costituiva il memoriale dell'avvenimento fondante del popolo di Israele: la liberazione dalla schiavitù dell'Egitto. Questa cena rituale, legata all'immolazione degli agnelli (cfr Es 12,1-28.43-51), era memoria del passato ma, nello stesso tempo, anche memoria profetica, ossia annuncio di una liberazione futura. Infatti, il popolo aveva sperimentato che quella liberazione non era stata definitiva, poiché la sua storia era ancora troppo segnata dalla schiavitù e dal peccato. Il memoriale dell'antica liberazione si apriva così alla domanda e all'attesa di una salvezza più profonda, radicale, universale e definitiva. È in questo contesto che Gesù introduce la novità del suo dono. Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria « esaltazione ». Istituendo il sacramento dell'Eucaristia, Gesù anticipa ed implica il Sacrificio della croce e la vittoria della risurrezione. Al tempo stesso, Egli si rivela come il vero agnello immolato, previsto nel disegno del Padre fin dalla fondazione del mondo, come si legge nella Prima Lettera di Pietro (cfr 1,18-20). Collocando in questo contesto il suo dono, Gesù manifesta il senso salvifico della sua morte e risurrezione, mistero che diviene realtà rinnovatrice della storia e del cosmo intero. L'istituzione dell'Eucaristia mostra, infatti, come quella morte, di per sé violenta ed assurda, sia diventata in Gesù supremo atto di amore e definitiva liberazione dell'umanità dal male.
Figura transit in veritatem
11. In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno dell'antica cena sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L'antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ... figuris terminum (20). Con il comando « Fate questo in memoria di me » (Lc 22,19; 1 Cor 11,25), Egli ci chiede di corrispondere al suo dono e di rappresentarlo sacramentalmente. Con queste parole, pertanto, il Signore esprime, per così dire, l'attesa che la sua Chiesa, nata dal suo sacrificio, accolga questo dono, sviluppando sotto la guida dello Spirito Santo la forma liturgica del Sacramento. Il memoriale del suo dono perfetto, infatti, non consiste nella semplice ripetizione dell'Ultima Cena, ma propriamente nell'Eucaristia, ossia nella novità radicale del culto cristiano. Gesù ci ha così lasciato il compito di entrare nella sua « ora »: « L'Eucaristia ci attira nell'atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione » (21). Egli « ci attira dentro di sé » (22). La conversione sostanziale del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale, come una sorta di « fissione nucleare », per usare un'immagine a noi oggi ben nota, portata nel più intimo dell'essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28)....
...In particolare, la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell'anafora tra l'invocazione dello Spirito Santo e il racconto dell'istituzione,(147) in cui « si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell'Ultima Cena ».(148) Infatti, « la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno ».(149)...
Già quanto citato chiarirebbe a sufficienza la differenza abissale di Teologia e di Fede Eucaristica tra il CnC e il Cattolicesimo ROMANO. Ma se non dovesse bastare, c'è Kiko Arguello che sancisce la novità del SUO Culto, nell'intervista SEGUITA alla consegna degli Statuti:
" Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa”. E qui, aprendo una lunga parentesi, l’iniziatore ha riassunto la sua catechesi sull’ultima cena, sul pane e sul vino: “Quando nelle cena della Pasqua ebraica si scopre il pane si parla di schiavitù, quando si parla della Terra promessa scoprono il calice,la quarta coppa. In mezzo a questi due momenti c’è una cena, quella nel corso della quale Gesù disse “Questo è il mio Corpo” (a significare la rottura della schiavitù dell’uomo all’egoismo e al demonio) e “Questo è il mio Sangue” (a significare la realizzazione di un nuovo esodo per tutta l’umanità). Più tardi – ha continuato Kiko – i cristiani toglieranno la cena e metteranno insieme il pane e il vino. Ora, nel Cammino abbiamo molta gente lontana dalla Chiesa, non catechizzata, e nei segni del pane azzimo (la frazione del pane) e del vino noi diamo visibilità a quei significati”. “Abbiamo scelto di fare la comunione seduti – ha affermato Kiko avvicinandosi al cuore della questione - soprattutto per evitare che si versasse per terra il Sangue di Cristo. La nostra paura era che se si versasse il Vino per terra: se fosse successo per tre volte, saremmo stati denunciati e ce la avrebbero vietata”. Invece, con il fedele seduto, questi ha il tempo – ha spiegato Kiko - di “accogliere il Calice con tutta calma e senza movimenti bruschi, di portarlo alla bocca, di comunicarsi con tranquillità e in modo solenne”. “Seduti come seduto era anche Gesù”, ha specificato Carmen alla sua destra"
Che dire di più?

domenica 16 settembre 2012

Confessione: cosa comanda il Papa

Contro le corbellerie di Kiko sul sacramento della riconciliazione (specialmente negli Orientamenti per la fase di conversione, febbraio 1972) e contro le pessime abitudini dei neocatecumenali, chiediamo a Giovanni Paolo II qualche precisazione sulle confessioni:

GIOVANNI PAOLO II
LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI 
«MOTU PROPRIO»
SU ALCUNI ASPETTI DELLA CELEBRAZIONE
DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
7 aprile 2002

Confessioni da padre Pio
(affollamento ma anche riservatezza)
Per la misericordia di Dio, Padre che riconcilia, il Verbo prese carne nel grembo purissimo della Beata Vergine Maria per salvare «il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 21) e aprirgli «la via della eterna salvezza».(1) San Giovanni Battista conferma questa missione indicando in Gesù l'«Agnello di Dio», «colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Tutta l'opera e la predicazione del Precursore è una chiamata energica e calorosa alla penitenza e alla conversione, il cui segno è il battesimo amministrato nelle acque del Giordano. Lo stesso Gesù si è sottomesso a quel rito penitenziale (cfr Mt 3, 13- 17), non perché abbia peccato, ma perché «Egli si lascia annoverare tra i peccatori; è già “l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29); già anticipa il “battesimo” della sua morte cruenta».(2) La salvezza è, dunque e innanzitutto, redenzione dal peccato quale impedimento all'amicizia con Dio, e liberazione dallo stato di schiavitù nel quale si trova l'uomo, che ha ceduto alla tentazione del Maligno e ha perso la libertà dei figli di Dio (cfr Rm 8, 21).
La missione affidata da Cristo agli Apostoli è l'annuncio del Regno di Dio e la predicazione del Vangelo in vista della conversione (cfr Mc 16, 15; Mt 28, 18-20). La sera dello stesso giorno della sua Risurrezione, quando è imminente l'inizio della missione apostolica, Gesù dona agli Apostoli, in virtù della forza dello Spirito Santo, il potere di riconciliare con Dio e con la Chiesa i peccatori pentiti: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).(3)
Notare la confusione e la dispersione che si creano
nella confessione neocatecumenale
Lungo la storia e nell'ininterrotta prassi della Chiesa «il ministero della riconciliazione» (2 Cor5, 18), donata mediante i sacramenti del Battesimo e della Penitenza, si è dimostrato un impegno pastorale sempre vivamente sentito, compiuto in ossequio al mandato di Gesù come parte essenziale del ministero sacerdotale. La celebrazione del sacramento della Penitenza ha avuto nel corso dei secoli uno sviluppo che ha conosciuto diverse forme espressive, sempre, però, conservando la medesima struttura fondamentale che comprende necessariamente, oltre all'intervento del ministro — soltanto un Vescovo o un presbitero, che giudica e assolve, cura e guarisce nel nome di Cristo — gli atti del penitente: la contrizione, la confessione e la soddisfazione.
Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho scritto: «Un rinnovato coraggio pastorale vengo poi a chiedere perché la quotidiana pedagogia delle comunità cristiane sappia proporre in modo suadente ed efficace la pratica del sacramento della Riconciliazione. Come ricorderete, nel 1984 intervenni su questo tema con l'Esortazione postsinodale Reconciliatio et paenitentia, che raccoglieva i frutti di riflessione di un'Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questa problematica. Invitavo allora a fare ogni sforzo per fronteggiare la crisi del “senso del peccato” (...) Quando il menzionato Sinodo affrontò il problema, stava sotto gli occhi di tutti la crisi del Sacramento, specialmente in alcune regioni del mondo. I motivi che ne erano all'origine non sono svaniti in questo breve arco di tempo. Ma l'Anno giubilare, che è stato particolarmente caratterizzato dal ricorso alla Penitenza sacramentale, ci ha offerto un messaggio incoraggiante, da non lasciar cadere: se molti, e tra essi anche tanti giovani, si sono accostati con frutto a questo Sacramento, probabilmente è necessario che i Pastori si armino di maggior fiducia, creatività e perseveranza nel presentarlo e farlo valorizzare».(4)
Con queste parole ho inteso e intendo far coraggio e, nello stesso tempo, rivolgere un forte invito ai miei confratelli Vescovi — e, attraverso di essi, a tutti i presbiteri — per un sollecito rilancio del sacramento della Riconciliazione, anche come esigenza di autentica carità e di vera giustizia pastorale,(5) ricordando loro che ogni fedele, con le dovute disposizioni interiori, ha diritto a ricevere personalmente il dono sacramentale.
Affinché il discernimento sulle disposizioni dei penitenti in ordine alla remissione o meno, e all'imposizione dell'opportuna penitenza da parte del ministro del Sacramento possa essere attuato, occorre che il fedele, oltre alla coscienza dei peccati commessi, al dolore per essi e alla volontà di non più ricaderci,(6) confessi i suoi peccati. In questo senso, il Concilio di Trento dichiarò che è necessario «per diritto divino confessare tutti e singoli i peccati mortali».(7) La Chiesa ha visto sempre un nesso essenziale tra il giudizio affidato ai sacerdoti in questo Sacramento e la necessità che i penitenti dichiarino i propri peccati,(8) tranne in caso di impossibilità. Pertanto, essendo la confessione completa dei peccati gravi per istituzione divina parte costitutiva del Sacramento, essa non resta in alcun modo affidata alla libera disponibilità dei Pastori (dispensa, interpretazione, consuetudini locali, ecc.). La competente Autorità ecclesiastica specifica unicamente — nelle relative norme disciplinari — i criteri per distinguere l'impossibilità reale di confessare i peccati da altre situazioni in cui l'impossibilità è solo apparente o comunque superabile.
Nelle attuali circostanze pastorali, venendo incontro alle preoccupate richieste di numerosi Fratelli nell'Episcopato, considero conveniente richiamare alcune delle leggi canoniche vigenti circa la celebrazione di questo Sacramento, precisandone qualche aspetto per favorire in spirito di comunione con la responsabilità che è propria dell'intero Episcopato(9) una sua migliore amministrazione. Si tratta di rendere effettiva e di tutelare una celebrazione sempre più fedele, e pertanto sempre più fruttifera, del dono affidato alla Chiesa dal Signore Gesù dopo la risurrezione (cfr Gv 20, 19-23). Ciò appare specialmente necessario dal momento che si osserva in alcune regioni la tendenza all'abbandono della confessione personale insieme ad un ricorso abusivo all'«assoluzione generale» o «collettiva», sicché essa non appare come mezzo straordinario in situazioni del tutto eccezionali. Sulla base di un allargamento arbitrario del requisito della grave necessità,(10) si perde di vista in pratica la fedeltà alla configurazione divina del Sacramento, e concretamente la necessità della confessione individuale, con gravi danni per la vita spirituale dei fedeli e per la santità della Chiesa.
Pertanto, dopo aver sentito in merito la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nonché i pareri di venerati Fratelli Cardinali preposti ai Dicasteri della Curia Romana, ribadendo la dottrina cattolica riguardo al sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, esposta sinteticamente nel Catechismo della Chiesa Cattolica,(11) cosciente della mia responsabilità pastorale e con piena consapevolezza della necessità ed efficacia sempre attuali di questo Sacramento, dispongo quanto segue:
1. Gli Ordinari ricordino a tutti i ministri del sacramento della Penitenza che la legge universale della Chiesa ha ribadito, in applicazione della dottrina cattolica in materia, che:
a) «La confessione individuale e integra e l'assoluzione costituiscono l'unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa; solamente una impossibilità fisica o morale scusa da una tale confessione, nel qual caso la riconciliazione si può ottenere anche in altri modi».(12)
b) Perciò, «tutti coloro cui è demandata in forza dell'ufficio la cura delle anime, sono tenuti all'obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati, che ragionevolmente lo chiedano, e che sia ad essi data l'opportunità di accostarsi alla confessione individuale, stabiliti, per loro comodità, giorni e ore».(13)
Inoltre, tutti i sacerdoti che hanno la facoltà di amministrare il sacramento della Penitenza, si mostrino sempre e pienamente disposti ad amministrarlo ogniqualvolta i fedeli ne facciano ragionevolmente richiesta.(14) La mancanza di disponibilità ad accogliere le pecore ferite, anzi, ad andare loro incontro per ricondurle all'ovile, sarebbe un doloroso segno di carenza di senso pastorale in chi, per l'Ordinazione sacerdotale, deve portare in sé l'immagine del Buon Pastore.
2. Gli Ordinari del luogo, nonché i parroci e i rettori di chiese e santuari, devono verificare periodicamente che di fatto esistano le massime facilitazioni possibili per le confessioni dei fedeli. In particolare, si raccomanda la presenza visibile dei confessori nei luoghi di culto durante gli orari previsti, l'adeguamento di questi orari alla situazione reale dei penitenti, e la speciale disponibilità per confessare prima delle Messe e anche per venire incontro alla necessità dei fedeli durante la celebrazione delle SS. Messe, se sono disponibili altri sacerdoti.(15)
3. Poiché «il fedele è tenuto all'obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati gravi commessi dopo il Battesimo e non ancora direttamente rimessi mediante il potere delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame»,(16) va riprovato qualsiasi uso che limiti la confessione ad un'accusa generica o soltanto di uno o più peccati ritenuti più significativi. D'altra parte, e tenendo conto della chiamata di tutti i fedeli alla santità, si raccomanda loro di confessare anche i peccati veniali.(17)
4. Alla luce e nel contesto delle norme precedenti, deve essere compresa e rettamente applicata l'assoluzione a più penitenti insieme senza la previa confessione individuale, prevista al can. 961 del Codice di Diritto Canonico. Essa, infatti, «riveste un carattere di eccezionalità»(18) e «non può essere impartita in modo generale se non:
1º vi sia imminente pericolo di morte ed al sacerdote o ai sacerdoti non basti il tempo per ascoltare le confessioni dei singoli penitenti;
2º vi sia grave necessità, ossia quando, dato il numero dei penitenti, non si hanno a disposizione confessori sufficienti per ascoltare, come si conviene, le confessioni dei singoli entro un tempo conveniente, sicché i penitenti, senza loro colpa, sarebbero costretti a rimanere a lungo privi della grazia sacramentale o della sacra comunione; però la necessità non si considera sufficiente quando non possono essere a disposizione dei confessori, per la sola ragione di una grande affluenza di penitenti, quale può aversi in occasione di una grande festa o di un pellegrinaggio».(19)
Circa il caso di grave necessità, si precisa quanto segue:
a) Si tratta di situazioni che, oggettivamente, sono eccezionali, come quelle che si possono verificare in territori di missione o in comunità di fedeli isolati, dove il sacerdote può passare soltanto una o poche volte l'anno o quando le condizioni belliche, meteorologiche o altre simili circostanze lo consentano.
b) Le due condizioni stabilite nel canone per configurare la grave necessità sono inseparabili, per cui non è mai sufficiente la sola impossibilità di confessare «come si conviene» i singoli entro «un tempo conveniente» a causa della scarsità di sacerdoti; tale impossibilità deve essere unita al fatto che altrimenti i penitenti sarebbero costretti a rimanere «a lungo», senza loro colpa, privi della grazia sacramentale. Si debbono perciò tener presenti le circostanze complessive dei penitenti e della diocesi, per quanto attiene l'organizzazione pastorale di questa e la possibilità di accesso dei fedeli al sacramento della Penitenza.
c) La prima condizione, l'impossibilità di poter ascoltare le confessioni «come si conviene» «entro un tempo conveniente», fa riferimento solo al tempo ragionevolmente richiesto per l'essenziale amministrazione valida e degna del Sacramento, non essendo rilevante a tale riguardo un colloquio pastorale più lungo, che può essere rimandato a circostanze più favorevoli. Questo tempo ragionevolmente conveniente, entro cui ascoltare le confessioni, dipenderà dalle possibilità reali del confessore o confessori e degli stessi penitenti.
d) Circa la seconda condizione, sarà un giudizio prudenziale a valutare quanto lungo debba essere il tempo di privazione della grazia sacramentale affinché si abbia vera impossibilità a norma del can. 960, allorché non vi sia imminente pericolo di morte. Tale giudizio non è prudenziale se stravolge il senso dell'impossibilità fisica o morale, come accadrebbe se, ad esempio, si considerasse che un tempo inferiore a un mese implicherebbe rimanere «a lungo» in simile privazione.
e) Non è ammissibile il creare o il permettere che si creino situazioni di apparente grave necessità, derivanti dalla mancata amministrazione ordinaria del Sacramento per inosservanza delle norme sopra ricordate(20) e tanto meno, dall'opzione dei penitenti in favore dell'assoluzione in modo generale, come se si trattasse di una possibilità normale ed equivalente alle due forme ordinarie descritte nel Rituale.
f) La sola grande affluenza di penitenti non costituisce sufficiente necessità, non soltanto in occasione di una festa solenne o di un pellegrinaggio, ma neppure per turismo o altre simili ragioni dovute alla crescente mobilità delle persone.
5. Giudicare se ricorrano le condizioni richieste a norma del can. 961, § 1, 2º, non spetta al confessore, ma «al Vescovo diocesano, il quale, tenuto conto dei criteri concordati con gli altri membri della Conferenza Episcopale, può determinare i casi di tale necessità».(21) Tali criteri pastorali dovranno essere espressione della ricerca della totale fedeltà, nelle circostanze dei rispettivi territori, ai criteri di fondo espressi dalla disciplina universale della Chiesa, i quali peraltro poggiano sulle esigenze derivanti dallo stesso sacramento della Penitenza nella sua divina istituzione.
6. Essendo di fondamentale importanza, in una materia tanto essenziale per la vita della Chiesa, la piena armonia tra i vari Episcopati del mondo, le Conferenze Episcopali, a norma del can. 455 § 2 del C.I.C., faranno pervenire quanto prima alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il testo delle norme che esse intendono emanare oppure aggiornare, alla luce del presente Motu proprio sull'applicazione del can. 961 del C.I.C. Ciò non mancherà di favorire una sempre più grande comunione tra i Vescovi di tutta la Chiesa, spingendo ovunque i fedeli ad attingere abbondantemente alle fonti della misericordia divina, sempre zampillanti nel sacramento della Riconciliazione.
In questa prospettiva di comunione sarà pure opportuno che i Vescovi diocesani riferiscano alle rispettive Conferenze Episcopali circa il verificarsi o meno, nell'ambito della loro giurisdizione, di casi di grave necessità. Sarà poi compito delle Conferenze Episcopali informare la predetta Congregazione circa la situazione di fatto esistente nel loro territorio e sugli eventuali mutamenti che dovessero in seguito registrarsi.
7. Quanto alle disposizioni personali dei penitenti viene ribadito che:
a) «Affinché un fedele usufruisca validamente dell'assoluzione sacramentale impartita simultaneamente a più persone, si richiede che non solo sia ben disposto, ma insieme faccia il proposito di confessare a tempo debito i singoli peccati gravi, che al momento non può confessare».(22)
b) Per quanto è possibile, anche nel caso di imminente pericolo di morte, venga premessa ai fedeli «l'esortazione che ciascuno provveda a porre l'atto di contrizione».(23)
c) È chiaro che non possono ricevere validamente l'assoluzione i penitenti che vivono in stato abituale di peccato grave e non intendono cambiare la loro situazione.
Quaresima 2007: Benedetto XVI
ascolta confessioni di giovani
nella basilica di San Pietro
8. Fermo restando l'obbligo «di confessare i propri peccati gravi almeno una volta all'anno»,(24)«colui al quale sono rimessi i peccati gravi mediante l'assoluzione generale, si accosti quanto prima, offrendosene l'occasione, alla confessione individuale, prima che abbia a ricevere un'altra assoluzione generale, a meno che non sopraggiunga una giusta causa».(25)
9. Circa il luogo e la sede per la celebrazione del Sacramento, si tenga presente che:
a) «il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa o l'oratorio»,(26) pur restando chiaro che ragioni di ordine pastorale possono giustificare la celebrazione del Sacramento in luoghi diversi;(27)
b) la sede per le confessioni è disciplinata dalle norme emanate dalle rispettive Conferenze Episcopali, le quali garantiranno che essa sia collocata «in luogo visibile» e sia anche «provvista di grata fissa», così da consentire ai fedeli ed agli stessi confessori che lo desiderano di potersene liberamente servire.(28)
Tutto ciò che con la presente Lettera apostolica in forma di Motu proprio ho stabilito, ordino che abbia pieno e durevole valore e sia osservato a partire da questo giorno, nonostante qualsiasi altra disposizione in contrario. Quanto ho stabilito con questa Lettera ha valore, per sua natura, anche per le venerande Chiese Orientali Cattoliche, in conformità ai rispettivi canoni del Codice loro proprio.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 del mese di aprile, Domenica nell'Ottava di Pasqua o della Divina Misericordia, nell'anno del Signore 2002, ventiquattresimo di Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II