venerdì 31 agosto 2012

Insignificanza dei presbiteri neocatecumenali

Diminuzione e banalizzazione
del sacerdozio ministeriale
Alle riunioni [neocatecumenali] era immancabilmente presente anche don Gino, il parroco. Seduto accanto ai catechisti, il sacerdote faceva regolarmente scena muta. Non predicava, né ovviamente rispondeva agli interrogatori dell'équipe di catechisti, limitandosi semmai a recitare la preghiera spontanea che inaugurava l'incontro o il Padre Nostro che lo concludeva. Né istruttore né discente, don Gino se ne stava tutta la serata immobile, seduto e in silenzio, ad ascoltare concentrato le parole dei suoi "fratelli". Anche durante la liturgia della parola alla quale aveva presenziato, se ne era stato seduto lontano dagli astanti, dietro l'altare-leggìo, sullo sfondo dell'assemblea, muta tappezzeria simbolica esattamente alle spalle del "fratello" che, di volta in volta, commentava il brano biblico o intonava i canti dopo avergli rivolto una frettolosa genuflessione.

I rarissimi discorsi che aveva pronunciato erano stati sufficienti a evidenziare l'abisso che separa la formazione teologica di un prete normale o "medio" (quale era don Gino) da quella di un gruppo di volenterosi autodidatti. Nelle poche occasioni in cui avevamo sentito la sua voce, l'eloquio di don Gino era scorso fluido, così come notevole era apparsa la sua capacità di riferirsi ai testi sacri, di citare episodi evangelici e vicende della chiesa. Con l'effetto di far risultare ancor più scolastica, dogmatica e posticcia la preparazione teologica dei catechisti.

Liturgie neocatecumenali:
una comunità che
celebra sé stessa
Anche nella celebrazione eucaristica, il suo ruolo mi era apparso secondario, al pari di quello della sua omelia, affiancata e sovrastata dalle risonanze e dai commenti alle letture di fratelli e sorelle. Talvolta me l'ero immaginato, don Gino, umilmente sottomesso alla leadership dei catechisti-inquisitori, nell'atto di confessare pubblicamente le proprie colpe, insieme a tutti gli altri confratelli della sua comunità, durante uno dei famigerati "scrutini".

L'impressione che avevo ricavato, ampiamente confermata in seguito, è che il prete, in un movimento come questo, svolga il ruolo del silente testimone dell'ortodossia, del garante passivo di una cattolicità nei fatti pressoché scomparsa. Il Cammino è un'organizzazione carismatica con una gerarchia propria, fatta essenzialmente di laici devoti fideisticamente al grande capo, alla guida suprema. Non c'è spazio qui per gli eterni funzionari del sacro, per i sacerdoti della tradizione, con quegli abiti talari troppo compromessi con la chiesa costantiniana, con l'istituzione e gli assetti di autorità di una società premoderna, per Kiko oggi definitivamente ammuffiti e buoni giusto per qualche anziana baciapile. Lo "spirito dei tempi" pretende che sia sottratto spazio al conformismo rituale delle vecchie liturgie, alle litanie del vieto cattolicesimo devozionale. Per assegnarlo alla preghiera spontanea, alle "risonanze" individuali, alla mescolanza pubblico-privato, alla solidarietà comunitaria e alla teologia autodidatta e dilettantesca di credenti che vogliono essere i "protagonisti" delle loro cerimonie. E poi non va dimenticato che i preti, anche quelli che appartengono al Cammino, sono pur sempre costretti a rimanere fedeli anche ai vescovi e a servire l'intera chiesa, ad amministrare i sacramenti e a svolgere tutte le altre funzioni per il pubblico indifferenziato delle parrocchie.

Musi lunghi e tristezza
in una celebrazione
neocatecumenale
Kiko in ogni caso preferisce che, a capo del Cammino, vi siano persone, laici o clero, formate direttamente dentro il movimento, senza tracce di una formazione teologica precedente. Per questo ha chiesto e ottenuto da alcuni vescovi di poter aprire dei propri seminari, i Redemptoris Mater, dove formare un proprio clero, nei fatti non più cattolico ma neocatecumenale. Tuttavia, malgrado questo straordinario privilegio, i numeri del clero neocatecumenale crescono assai lentamente e alle centinaia di "alzate vocazionali" di entusiastica disponibilità al sacerdozio che concludono in modo spettacolare i discorsi di Kiko ai grandi raduni, corrisponde poi un numero molto più esiguo di ragazzi che giungono davvero a superare la soglia dell'ordinazione sacerdotale.

Ai preti formati nei Redemptoris Mater, vanno aggiunti quei sacerdoti che non solo accolgono il Cammino nelle loro parrocchie ma che decidono di militarvi, che vi aderiscono con entusiasmo come don Gino. Per costoro pesano soprattutto il desiderio di rimediare alla solitudine psicologica e affettiva, alla frustrazione di vedere la chiesa che si svuota, il piacere di delegare a un'organizzazione così compatta ed efficiente tutto il funzionamento della macchina parrocchiale insieme a quello di trascorrere le proprie serate intorno al desco di una famiglia numerosa, circondati dal calore di tanti bambini e dall'affetto di tante piccole comunità. Anche così può finire un mondo.


(citazioni da: Marco Marzano, «Quel che resta dei cattolici. Inchiesta sulla crisi della Chiesa in Italia», Feltrinelli, 2012, pagg. 177-179)

Il «sentiero» dei cristiani di Sicilia

Riprendiamo dal CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni. Sintomatico che il vescovo, parlando di identità cattolica in pericolo, parli dei neocatecumenali e del pentecostalismo, praticamente equiparandoli...

Il «sentiero» dei cristiani di Sicilia
di S.E. Mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina
(La Sicilia, 17 marzo 2011, p. 7) 

C’è un futuro per il cristianesimo in Sicilia? Qual è l’avvenire del cattolicesimo? Le nostre chiese finiranno come quelle fiorenti dell’antica Turchia e dell’Africa del Nord e oggi ridotte a ruderi? In un recente volume, L’identità in pericolo. Le credenze religiose nella Sicilia Centrale, vengono pubblicati i risultati di un’indagine curata, per conto del Centro Studi sulle Nuove Religioni, da Massimo Introvigne e PierLuigi Zoccatelli nella Diocesi di Piazza Armerina.

Dalla ricerca risulta che l’identità cristiana è ancora forte e radicata come componente importante della cultura siciliana, se la si paragona ad altre regioni italiane ed europee nelle quali il processo di secolarizzazione ha intaccato molto l’identità cristiana. Gli intervistati che si professano cattolici sono l’89,5%, i cristiani non cattolici sono il 5,3%, gli appartenenti ad altre religioni il 2,6%, quelli che non si riconoscono in nessuna religione il 2,6%. Per quanto riguarda le credenze c’è un’ampia oscillazione, testimone di influssi educativi eterogenei rispetto al monolitico sistema del passato o frutto di una crescente soggettivizzazione della fede, entrata per molti fra i beni di consumo, il “fai-da-te” delle credenze religiose. Mentre il 90,7% crede alla resurrezione di Cristo, la credenza meno condivisa (73,2%) è quella secondo cui “La Chiesa cattolica è un’organizzazione voluta e assistita da Dio”.

Si constata un’erosione dell’identità cattolica, soprattutto nelle generazioni più giovani: la fiducia nella Chiesa cattolica diminuisce fra i giovani dei quali il 21,8% dichiara di non avere nessuna fiducia. Desta meraviglia il fatto che crede negli oroscopi il 9,7% tra i giovani, certamente influenzati da certe trasmissioni televisive. Degna di rilievo è la documentata credenza negli Ufo che tra giovani raggiunge la percentuale del 37,4%, collocandosi a livelli record in Europa. Si conferma il noto paradosso di Gilbert K. Chesterton: “Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto”. Da questa e da altre indagini emerge come nel popolo siciliano, anche se sono presenti tendenze secolariste, la religione continua a essere una agenzia primaria di produzione di senso della vita, di riferimento valoriale e di appartenenza comunitaria, che si esprime nelle varie forme della pietà popolare, nella quale però tende a prevalere il sentimento su una adesione di fede convinta e coerente. Alcuni non vedono nessuna contraddizione fra il partecipare alla festa patronale e l’appartenenza ad una cosca mafiosa. A questo proposito si parla di “forza della religione e debolezza della fede”. Si assiste all’evolversi di una tendenza allo sfaldamento dell’unità delle credenze, che porta una perdita della specificità cattolica.

Guardando al futuro ci sono due ipotesi contrapposte. Per la prima “catastrofista” dei cosiddetti “profeti di sventura” la religione cattolica è destinata a svanire in futuro, dal momento che le giovani generazioni sono più lontane dalla Chiesa delle precedenti e la Chiesa cattolica oggi maggioritaria si ridurrà ad una minoranza. La seconda “possibilista-ottimista”, invece, ritiene che non vi è nessuna certezza sul fatto che le opinioni che un giovane intervistato esprime oggi rimarranno le stesse fra trent’anni. Alcune ricerche condotte in vari paesi dimostrano che parecchi, che erano stati poco o per nulla cattolici da giovani, lo diventano da adulti. Alcuni nuovi movimenti ecclesiali diventano punto di riferimento per dei giovani che, dopo momenti di crisi, hanno fatto esperienza di un cristianesimo simpatico come ipotesi positiva al problema del senso della loro vita nei fattori umani fondamentali. Nella mia diocesi – soprattutto a Gela – esistono più di una sessantina di comunità neocatecumenali con circa 2.500 membri fra cui parecchi giovani, ma anche il maggior numero di pentecostali rispetto ai cattolici di qualunque città europea. Sempre a Gela, secondo una recente inchiesta, il 15,5% dei giovani dichiarano di frequentare un gruppo religioso contro l’1% che appartiene a un gruppo politico. La disinvoltura con cui le nuove generazioni disertano la messa domenicale perché sfiniti dalla febbre delle veglie prolungate del sabato sera, solleva più di una domanda circa l’effettiva interiorizzazione dell’annuncio di fede.

Non è possibile sfuggire alla constatazione che “l’identità cattolica è in pericolo”, sebbene il fenomeno erosivo venga in parte mitigato da un profondo radicamento identitario cattolico proprio della cultura siciliana. Armando Matteo in un suo recente libro (“La prima generazione incredula”) interroga l’inedito che il modo di vivere e di credere/non credere dei giovani manifesta e individua al fondo del loro cuore la ferita di un grido di speranza, da cui bisogna ripartire per il futuro della società e della Chiesa. Realisticamente bisogna convenire che la maggioritaria adesione al credo cristiano non può assolutamente gratificarci o esaltarci. Semmai denuncia un problema: spesso alla pur sincera adesione alle verità di fede manca di fatto l’esperienza della bellezza dell’essere cristiano.

L’invito dei vescovi italiani a ripartire dall’educazione è sintomatico di una nuova coscienza ecclesiale della difficoltà che incontra la fede a dirsi e a incarnarsi, ma anche della missione primaria che oggi viene consegnata a tutti i cristiani. Oggi a una lettura della nostra società in una prospettiva post-cristiana che condurrebbe verso un gelido inverno, bisognerebbe affiancare anche una prospettiva pre-cristiana che preluderebbe ad una nuova primavera aperta ad una evangelizzazione, che presuppone che l’incontro con Cristo risponde alle attese più autentiche di ogni uomo e di ogni donna. Ora, al di là di illusioni consolatorie, è tempo di riscoprire una ardente passione per educare alla “vita buona del Vangelo”, uscendo dalla latitanza educativa e proponendoci come persone degne di fiducia, perché testimoni credibili del cammino cristiano che abbiamo sperimentato, aperto ad un futuro di speranza.

lunedì 27 agosto 2012

In ginocchio davanti a Kiko

Ai neocatecumenali più eminenti viene concesso
l'onore di inginocchiarsi davanti a Kiko Argüello

(cfr. anche quando il laico Kiko impartisce la benedizione...)
Atteggiamento di resistenza
e di sfida al Papa, proprio al
momento della Comunione
Sì, conosciamo già lo "spiegone ufficiale" dei cari fratelli neocatecumenali: le persone inginocchiate lì nella foto in realtà si starebbero inginocchiando al vescovo (parecchi metri alle spalle di Kiko Argüello) anche se la foto dà ben altra idea. Ma anche se prendiamo sul serio quello "spiegone", siamo costretti a dedurre che è lo stesso Kiko ad alimentare il suo culto della personalità, frapponendosi, microfono alla mano, tra i neocatecumenali e la gerarchia ecclesiale. E non siamo certo i primi a dedurlo...

Riepiloghiamo qui sotto solo alcuni episodi famosi relativi al culto della personalità di Kiko, ricordando che nelle grandi occasioni (come la Giornata Mondiale della Gioventù o la Giornata dei Movimenti col Papa) i "kikos" fanno di tutto per far notare la loro presenza ma appena possibile scappano via per andare all'incontro con Kiko.

Impugna la croce
come se fosse un vescovo
Un episodio da antologia è certamente quello della Giornata dei Movimenti a giugno 2006 a Roma: non appena Kiko terminò la propria omelia i neocatecumenali sgattaiolarono via da piazza San Pietro e via della Conciliazione anche se mancavano pochi minuti per l'intervento conclusivo del Papa (ne sono testimone oculare anch'io): evidentemente la puntualità alla "convivenza con Kiko" era più importante di Benedetto XVI. Del resto sono abituati a vedere Kiko dare lezioni di umiltà addirittura al Papa augurandogli di avere «la santa umiltà di Cristo»...

Anche la tipica cerimonia kikiana delle "alzate" (quella in cui Kiko Argüello fa la sua chiamata vocazionale e poi spara numeroni giganteschi ad uso dei titoloni della stampa) avviene tipicamente il giorno dopo l'incontro col Papa. Come ad esempio avvenuto all'ultima Giornata Mondiale della Gioventù: per i neocatecumenali incontrare il Papa sarebbe "uh, beh, uhm..." mentre vedere Kiko è «un incontro che ti cambia la vita». Ne sanno qualcosa le chiese locali cattoliche più povere e perseguitate: per mandare i neocatecumenali all'incontro con Kiko dall'altra parte del mondo (con la scusa che vorrebbero andare alla GMG), si mette a soqquadro tutta la chiesa locale e si chiedono soldi da tutto il mondo (come il presbitero italiano che chiede soldi agli italiani per mandare dei giovani neocatecumenali giapponesi).

Devozione: baciare la "reliquia"
che ti porge il "Profeta"...
"Kiko ti cambia la vita". Ci si inginocchia davanti a Kiko anche per baciarne qualche "reliquia", come ad esempio nel caso della corona del rosario che Kiko dall'alto porge -cliccate sulla foto a lato per ingrandirla- porge al neocatecumenale senza staccarsene. È come un baciare Kiko, come il dare un bacio a colui «che ti cambia la vita».

Secondo i seguaci di Kiko quel gesto dovrebbe avere a che fare con la devozione al santo Rosario. Anche quest'altro "spiegone" ci fa involontariamente capire il vero significato: il neocatecumenale desidera la devozione di Kiko, la fede di Kiko, l'essere di Kiko (desidera l'essere di Kiko). È una roba che non s'è mai vista nemmeno nei confronti di un gigante come padre Pio; e comunque padre Pio non si sarebbe mai prestato ad una tale messinscena, tanto più di fronte ad un esercito di testimoni, fotocamere e cineprese. I veri santi, infatti, amano il nascondimento; e se proprio non possono ottenerlo deviano la devozione dalla propria persona a quella dei successori di Pietro e naturalmente al Redentore (così hanno fatto don Bosco, padre Pio e tutti gli altri).

Kiko all'ambone con Crocifero e Candelieri
3 giugno 2012 - foto © cammino.info
Per gli stessi neocatecumenali quel kikocentrismo esagerato è del tutto naturale. Su un sito web "non ufficiale" dedicato al Cammino, abbiamo visto questa foto qui a lato, che hanno pubblicato senza nessuna remora (nota: attualmente dai siti web del Cammino, quanto alle foto delle liturgie, hanno censurato tutte quelle relative al momento della Comunione: indovinate cos'è che non vogliono che si veda...).

La prima cosa che ci vien da dire guardando questa foto è che quasi quasi al laico Kiko Argüello mancavano solo le insegne episcopali: eccolo lì all'ambone, con crocifero e candelieri, occasione solennissima... Dopotutto i cosiddetti "catechisti" neocatecumenali ci ammoniscono che «Kiko ha il carisma e parla sotto ispirazione divina! come puoi criticarlo?» 

Carmen "Adidas" Hernàndez,
con Kiko, il Papa e don Pezzi
Mentre la mise tipica di Kiko è quella da becchino dei film western, il dress-code della Carmen (quella divenuta famosa per aver interrotto ripetutamente papa Giovanni Paolo II e per aver promesso «un futuro immenso» ad un Pontificio Consiglio) prevede chiassose magliette persino quando ottiene udienza dal Vicario di Cristo. Nella foto qui a lato vediamo il Tripode neocatecumenale che ha circondato papa Benedetto XVI: mentre quest'ultimo, visibilmente provato e preoccupato, abbozza maldestramente un sorriso di circostanza, e mentre Kiko mostra un ghigno di vittoria, vediamo la Carmen esibire una vistosa maglietta Adidas, segno che per lei incontrare Sua Santità il Papa ha la stessa importanza che andare dall'ortolano a comprare le rape.

Il santino di "san Kiko"
distribuito ai neocatecumenali
durante la quaresima 2012
L'episodio che riteniamo più significativo è il santino di "san Kiko", immaginetta auto-celebrativa in cui Kiko, improvvisatosi compositore, ricordava commosso i suoi allora imminenti concerti neocatecumenali negli USA.

Nel "santino" vi è riportato un messaggio autografo di Kiko, preceduto dal suo bislacco "stemma araldico" in cima, stemma che curiosamente esibisce anche nella corrispondenza più importante (come ad esempio nella lettera in cui Kiko ha ringraziato per le critiche ricevute, ringraziamento più unico che raro).

Già da tempo immemorabile la Carmen lo chiamava "san Kiko". In un'intervista su un quotidiano spagnolo da cui apprendiamo la cosa, leggiamo anche che Kiko si vanta di aver ricevuto «gran danno» Nos han hecho mucho daño») da parroci, monsignori e vescovi poco compiacenti col Cammino.
 
Ma per i nostri cari fratelli neocatecumenali «Kiko ha il carisma! come puoi criticarlo?» Di fronte a tale "carisma" ci si inginocchia, di fronte al "carisma" ostile al Papa tanto peggio per il Papa, di fronte al "carisma" si bacia umilmente la sua "reliquia", e poco importa che il "carisma" si atteggi a vescovo o addirittura a santo già canonizzato...

Nelle Sacre Scritture questo atteggiamento è chiamato idolatria.

venerdì 24 agosto 2012

Benedetto XVI ci parla dell'Eucaristia

Pochi giorni prima dell'udienza ai neocatecumenali (quella in cui «all'insaputa del Papa» stavano per far "approvare" la liturgia kikiana-carmeniana), all'udienza generale dell'11 gennaio 2012 Benedetto XVI aveva fatto la seguente catechesi:

La preghiera di Gesù nell'Ultima Cena


Cari fratelli e sorelle,

nel nostro cammino di riflessione sulla preghiera di Gesù, presentata nei Vangeli, vogliamo meditare oggi sul momento, particolarmente solenne, della sua preghiera nell'Ultima Cena. Lo sfondo temporale ed emozionale del convito in cui Gesù si congeda dagli amici, è l'imminenza della sua morte che Egli sente ormai vicina.

Da lungo tempo Gesù aveva iniziato a parlare della sua passione, cercando anche di coinvolgere sempre più i suoi discepoli in questa prospettiva. Il Vangelo secondo Marco racconta che fin dalla partenza del viaggio verso Gerusalemme, nei villaggi della lontana Cesarea di Filippo, Egli aveva iniziato «a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8,31). Inoltre, proprio nei giorni in cui si preparava a dare l’addio ai discepoli, la vita del popolo era segnata dall'avvicinarsi della Pasqua, ossia del memoriale della liberazione di Israele dall’Egitto. Questa liberazione, sperimentata nel passato e attesa di nuovo nel presente e per il futuro, tornava viva nelle celebrazioni familiari della Pasqua. L’Ultima Cena si inserisce in questo contesto, ma con una novità di fondo. Gesù guarda alla sua Passione, Morte e Risurrezione, essendone pienamente consapevole. Egli vuole vivere questa Cena con i suoi discepoli, con un carattere del tutto speciale e diverso dagli altri conviti; è la sua Cena, nella quale dona Qualcosa di totalmente nuovo: Se stesso.

In questo modo, Gesù celebra la sua Pasqua, anticipa la sua Croce e la sua Risurrezione. Questa novità ci viene evidenziata dalla cronologia dell’Ultima Cena nel Vangelo di Giovanni, il quale non la descrive come la cena pasquale, proprio perché Gesù intende inaugurare qualcosa di nuovo, celebrare la sua Pasqua, legata certo agli eventi dell’Esodo. E per Giovanni Gesù morì sulla croce proprio nel momento in cui, nel tempio di Gerusalemme, venivano immolati gli agnelli pasquali.

Qual è allora il nucleo di questa Cena? Sono i gesti dello spezzare il pane, del distribuirlo ai suoi e del condividere il calice del vino con le parole che li accompagnano e nel contesto di preghiera in cui si collocano: è l’istituzione dell’Eucaristia, è la grande preghiera di Gesù e della Chiesa. Ma guardiamo più da vicino questo momento. Anzitutto, le tradizioni neotestamentarie dell'istituzione dell'Eucaristia (cfr 1 Cor 11,23-25; Lc 22, 14-20; Mc 14,22-25; Mt 26,26-29), indicando la preghiera che introduce i gesti e le parole di Gesù sul pane e sul vino, usano due verbi paralleli e complementari.

Paolo e Luca parlano di eucaristia/ringraziamento: «prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 22,19). Marco e Matteo, invece, sottolineano l’aspetto di eulogia/benedizione: «prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Mc 14,22). Ambedue i termini greci eucaristeìn e eulogeìn rimandano alla berakha ebraica, cioè alla grande preghiera di ringraziamento e di benedizione della tradizione d’Israele che inaugurava i grandi conviti.

Le due diverse parole greche indicano le due direzioni intrinseche e complementari di questa preghiera. La berakha, infatti, è anzitutto ringraziamento e lode che sale a Dio per il dono ricevuto: nell’Ultima Cena di Gesù, si tratta del pane – lavorato dal frumento che Dio fa germogliare e crescere dalla terra – e del vino prodotto dal frutto maturato sulle viti. Questa preghiera di lode e ringraziamento, che si innalza verso Dio, ritorna come benedizione, che scende da Dio sul dono e lo arricchisce.

Il ringraziare, lodare Dio diventa così benedizione, e l’offerta donata a Dio ritorna all’uomo benedetta dall’Onnipotente. Le parole dell’istituzione dell’Eucaristia si collocano in questo contesto di preghiera; in esse la lode e la benedizione della berakha diventano benedizione e trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù. Prima delle parole dell’istituzione vengono i gesti: quello dello spezzare il pane e quello dell’offrire il vino. Chi spezza il pane e passa il calice è anzitutto il capofamiglia, che accoglie alla sua mensa i familiari, ma questi gesti sono anche quelli dell’ospitalità, dell’accoglienza alla comunione conviviale dello straniero, che non fa parte della casa. Questi stessi gesti, nella cena con la quale Gesù si congeda dai suoi, acquistano una profondità del tutto nuova: Egli dà un segno visibile dell’accoglienza alla mensa in cui Dio si dona. Gesù nel pane e nel vino offre e comunica Se stesso.

Ma come può realizzarsi tutto questo? Come può Gesù dare, in quel momento, Se stesso? Gesù sa che la vita sta per essergli tolta attraverso il supplizio della croce, la pena capitale degli uomini non liberi, quella che Cicerone definiva la mors turpissima crucis. Con il dono del pane e del vino che offre nell'Ultima Cena, Gesù anticipa la sua morte e la sua risurrezione realizzando ciò che aveva detto nel discorso del Buon Pastore: «Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10,17-18).

Egli offre in anticipo la vita che gli sarà tolta e in questo modo trasforma la sua morte violenta in un atto libero di donazione di sé per gli altri e agli altri. La violenza subita si trasforma in un sacrificio attivo, libero e redentivo. Ancora una volta nella preghiera, iniziata secondo le forme rituali della tradizione biblica, Gesù mostra la sua identità e la determinazione a compiere fino in fondo la sua missione di amore totale, di offerta in obbedienza alla volontà del Padre. La profonda originalità del dono di Sé ai suoi, attraverso il memoriale eucaristico, è il culmine della preghiera che contrassegna la cena di addio con i suoi. Contemplando i gesti e le parole di Gesù in quella notte, vediamo chiaramente che il rapporto intimo e costante con il Padre è il luogo in cui Egli realizza il gesto di lasciare ai suoi, e a ciascuno di noi, il Sacramento dell'amore, il «Sacramentum caritatis». Per due volte nel cenacolo risuonano le parole: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24.25). Con il dono di Sé Egli celebra la sua Pasqua, diventando il vero Agnello che porta a compimento tutto il culto antico. Per questo san Paolo parlando ai cristiani di Corinto afferma: «Cristo, nostra Pasqua [il nostro Agnello pasquale!], è stato immolato! Celebriamo dunque la festa … con azzimi di sincerità e di verità» (1 Cor 5,7-8).

L’evangelista Luca ha conservato un’ulteriore elemento prezioso degli eventi dell'Ultima Cena, che ci permette di vedere la profondità commovente della preghiera di Gesù per i suoi in quella notte, l’attenzione per ciascuno. Partendo dalla preghiera di ringraziamento e di benedizione, Gesù giunge al dono eucaristico, al dono di Se stesso, e, mentre dona la realtà sacramentale decisiva, si rivolge a Pietro. Sul finire della cena, gli dice: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32).

La preghiera di Gesù, quando si avvicina la prova anche per i suoi discepoli, sorregge la loro debolezza, la loro fatica di comprendere che la via di Dio passa attraverso il Mistero pasquale di morte e risurrezione, anticipato nell’offerta del pane e del vino. L’Eucaristia è cibo dei pellegrini che diventa forza anche per chi è stanco, sfinito e disorientato. E la preghiera è particolarmente per Pietro, perché, una volta convertito, confermi i fratelli nella fede. L'evangelista Luca ricorda che fu proprio lo sguardo di Gesù a cercare il volto di Pietro nel momento in cui questi aveva appena consumato il suo triplice rinnegamento, per dargli la forza di riprendere il cammino dietro a Lui: «In quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto» (Lc 22,60-61).

Cari fratelli e sorelle, partecipando all'Eucaristia, viviamo in modo straordinario la preghiera che Gesù ha fatto e continuamente fa per ciascuno affinché il male, che tutti incontriamo nella vita, non abbia a vincere e agisca in noi la forza trasformante della morte e risurrezione di Cristo. Nell’Eucaristia la Chiesa risponde al comando di Gesù: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19; cfr 1Cor 11, 24-26); ripete la preghiera di ringraziamento e di benedizione e, con essa, le parole della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore.

Le nostre Eucaristie sono un essere attirati in quel momento di preghiera, un unirci sempre di nuovo alla preghiera di Gesù. Fin dall’inizio, la Chiesa ha compreso le parole di consacrazione come parte della preghiera fatta insieme a Gesù; come parte centrale della lode colma di gratitudine, attraverso la quale il frutto della terra e del lavoro dell’uomo ci viene nuovamente donato da Dio come corpo e sangue di Gesù, come auto-donazione di Dio stesso nell'amore accogliente del Figlio (cfr Gesù di Nazaret, II, pag. 146).

Partecipando all’Eucaristia, nutrendoci della Carne e del Sangue del Figlio di Dio, noi uniamo la nostra preghiera a quella dell’Agnello pasquale nella sua notte suprema, perché la nostra vita non vada perduta, nonostante la nostra debolezza e le nostre infedeltà, ma venga trasformata. Cari amici, chiediamo al Signore che, dopo esserci debitamente preparati, anche con il Sacramento della Penitenza, la nostra partecipazione alla sua Eucaristia, indispensabile per la vita cristiana, sia sempre il punto più alto di tutta la nostra preghiera. Domandiamo che, uniti profondamente nella sua stessa offerta al Padre, possiamo anche noi trasformare le nostre croci in sacrificio, libero e responsabile, di amore a Dio e ai fratelli.
© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 20 agosto 2012

Gli sembriamo "un po' esagerati"...

Spiritualità neocatecumenale:
il Signore ha le fattezze di Kiko
A beneficio di coloro che incontrassero questo blog per la prima volta, commentiamo insieme qui sotto una mail che abbiamo ricevuto qualche giorno fa.

Per capire dove va a parare l'autore basterebbe fermarsi alla sua prima riga: sia perché questo blog non si è mai qualificato come "anti-neocatecumenale", sia perché con l'articolo determinativo
"il Blog" Sandro finge di pensare che questo blog sia più unico che raro (e invece bastava guardare nella colonna a sinistra per scoprirne altri, e basta cercare nell'internet espressioni come "problemi del cammino", "eresie del cammino", per trovare un'infinità di risorse, documenti, testimonianze). Vediamo dunque la sua email, insieme ad alcune immagini utili a far capire il contesto:

Gentili autori del Blog anti- neocatecumenale, un saluto.

Spiritualità neocatecumenale:
un occhio sì, uno no, buco nero
nella guancia, cicatrice nell'altra...
Il motivodella presente guardando il vostro sito molto interessanteper molti aspetti del cammino in cui stavo per entrare ma in cui non sono entrato, è che mi sembra un po' esagerato il tono con cui vengono esposti dei concetti, quasi a voler significare che stiamo davanti ad un'eresia nella Chiesa.

Ci sono aspetti che possono degenerare sicuramente ma questo in ogni realtà.Il cammino neocatecumenale lo ritengo in certi paesi l'unica speranza che può strappare dall'errore delle sette, dalla schiavitù delle passioni come si augurava Giovanni Paolo II con lo Sattuto del 2002 (penso agli stati Uniti in cui l'immoralità è ben evidente in siti web che ormai fanno parte della cultura americana).
Vediamo schematicamente come Sandro ci espone il suo pensiero nella prima parte dell'email:
  1. prima ci etichetta come "il Blog anti-neocatecumenale"
  2. poi ci dice che lui nel Cammino "stava per entrare ma poi non è entrato"
  3. quindi gli sembra "esagerato il tono"... quasi fossimo "davanti ad un'eresia"
  4. ritiene il Cammino "l'unica speranza che può strappare dall'errore delle sette, dalla schiavitù delle passioni"
  5. per esempio pensa agli USA "in cui l'immoralità è ben evidente in siti web"
Solo Kiko dipinge la benedizione
con la mano sbagliata
(e fosse nere al posto degli occhi)
In nessuna pagina di questo blog è stato mai utilizzato il termine "anti-neocatecumenale": infatti la nostra non è una tifoseria, siamo mossi solo dall'amore per la Verità. Il fatto che Sandro abbia bisogno di appiopparci un'etichetta dispregiativa fin dalla sua prima riga, secondo voi in che modo si può interpretare?

Sandro "stava per entrare" nel Cammino, ma poi non è entrato. Sarebbe stato interessante conoscere i motivi e le circostanze di questa mancata "entrata": per la salvezza della propria anima, Sandro ha rifiutato di entrare nel Cammino... e però lo difende a spada tratta.

«Mi sembra un po' esagerato il tono»: quale sarebbe dunque il tono adatto per parlare delle storture del Cammino Neocatecumenale? è un tono che deve essere stabilito dal Cammino stesso?

Ennesimo "sgorbio" di Kiko
con simboli massonici
A parlare di eresie del Cammino sono state persone molto più serie e intelligenti di noi (non solo padre Enrico Zoffoli, che è il più conosciuto perché ha più accuratamente documentato il problema).

Sandro chiama poi il Cammino «unica speranza», come se il Cammino fosse Cristo stesso.

Ma poi subito dopo definisce il Cammino come se la sua principale ragione di esistere fosse il porsi contro "le sette" (cioè protestanti e testimoni di geova) e contro "la schiavitù dalle passioni" (cioè il sesso), pensando agli USA che fanno dei "siti web" immorali (li avrà cliccati? erano tutti rigorosamente nord-americani?). Nel fare così, Sandro dimostra di aver assorbito molto bene la predicazione di Kiko e dei suoi scagnozzi, vedendo la vita di fede come un iscriversi al club "giusto" e come un considerare peccati praticamente solo quelli commessi contro il sesto comandamento (è nota l'ossessione di Kiko per il sesso).

Dopo tale introduzione, Sandro può entrare finalmente nel vivo:
Il cammino sottolineauna dimensione orizzontale pneumatologica (tipica della tradizione giovannea: "noi siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli", non ché paolina ricalcando la koinonia di 1Cor 1, 9), la cui ecclesiologia- sicuramente non esclusiva nell'ambito della Chiesa ma lo ricorda Nostro Signore che nella sua chiesa ci sono molte dimore- come voi sottolineate ha bisogno del discernimento.

Su quest'«opera» di Kiko
i neocatecumenali
dovrebbero pregare...
Certamente non tutto giova a tutti ma non per questo deve riuscire per forza scandaloso per chi non approva come san Paolo ricorda bene per il rispetto della coscienza altrui (Rm 12).

Il fatto che una cosa non vada bene ad uno non significa cioè che possa riuscire utile ad un altro. Credo che il nemico non sia fra di noi ma il nemico è lì fuori.

Alcune precisazione: Lo "sgorbio" di kiko così si dice lo schizzo del buon pastore ricalca pure dei modelli catacombali, il fatto poi che il crocefisso abbia gli occhi aperti , be ci sono pure dei modelli medievali. Ad ogni modo credo che la musica classica non sia la musica pop,c'è chi ci vede senza occhiali ,chi ne ha bisogno, certo una messa gregoriana non è una messa catecumenale, Cristo poi che è autore e perfezionatore della fede ci dà l'opportunità di incontrare il mistero di Dio nel mistero dell'uomo e il mistero della persona in Dio.

Credo sia molto importante però il vostro contributo.

Devotamente

Sandro Ant. Mor.
Kiko: «Non c'è vita cristiana
senza comunità»
Nella seconda parte della sua email, Sandro fa tutto un peana del Cammino con una tale infiorata di paroloni altisonanti, che suona come un efficace lassativo. Usare dei paroloni per giustificare il Cammino è uno stile tipicamente kikiano-carmeniano (cfr. ad esempio il bislacco canto kikiano che urla: "Maria tu sei la Shekinàh del Signore"), il che ci fa pensare che abbia fatto il copia-incolla da qualche importante discorsone neocatecumenale.

Mettiamo da parte la pigrizia e proviamo a capire cosa si nasconde sotto quei paroloni:
  1. «il Cammino sottolinea»: nella lingua di legno tipica dei farisei il verbo "sottolineare" è meno impegnativo del verbo "fare" (e perciò si usa "sottolineare" quello che si teme potrebbe essere corretto o criticato)

  2. «dimensione orizzontale»: espressione pomposa per dire che le singole anime, anziché tendere verso Dio ("verticalmente"), tendono alla propria comunità (nel kikismo-carmenismo si dice che Dio "salva a grappoli", cioè si sottintende che senza comunitarismo non sussisterebbe vita cristiana)

  3. «dimensione orizzontale pneumatologica»: non si tratta dello spessore del battistrada delle gomme dell'auto, ma dello Spirito Santo, il cui nome viene utilizzato solo per giustificare il "comunitarismo" neocatecumenale e le sue bizzarrie liturgiche e dottrinali (l'obbedienza totale al "carisma": «Kiko ha il carisma e parla sotto ispirazione divina! come puoi criticarlo?»)

  4. «tradizione giovannea nonché paolina»: a parte il fatto che Giovanni evangelista e Paolo apostolo sono persone concrete (chiamarli "tradizioni" significa guardare non a loro ma ai loro interpreti del passato e -in questo contesto- soprattutto del presente), anche il demonio si è sempre dimostrato molto bravo a fornire pezze d'appoggio scritturistiche per giustificare l'ingiustificabile (non parlo solo delle tentazioni a Gesù nel deserto: ci sono anche esempi recenti, come il capo dei Mormoni che, volendo sposarsi più donne contemporaneamente, trovò nell'Antico Testamento proprio i passi che gli servivano); ricordiamoci che la virtù della carità è funzionale alla salvezza (si è "orizzontali" solo per poter essere ancor più "verticali")

  5. «la cui ecclesiologia»: qui Sandro afferma chiaro e tondo che il Cammino ha una sua propria "ecclesiologia" (sarà la "nueva ecclesiologia" di Kiko?) L'affermazione è grave ed ha perciò bisogno di essere giustificata: si tira in ballo Nostro Signore che avrebbe affermato che «nella Sua Chiesa ci sono molte dimore»: ma proprio qui non viene prodotta nessuna citazione del Nuovo Testamento. Per la "tradizione giovannea e paolina" si citano versetti, e per Nostro Signore solo un cenno generico? oppure dobbiamo pensare che le «molte dimore» sono una forzatura ad usum Cammini?

  6. [l'ecclesiologia del Cammino] «ha bisogno del discernimento»: il Cammino ha sempre respinto ogni "discernimento" che non fosse un elogio, e da quando ha ottenuto rocambolescamente lo Statuto dal Pontificio Consiglio («avrà un futuro immenso»), azzera ogni discernimento urlando "la Chiesa ci ha già approvato". Dunque l'espressione "ha bisogno di discernimento" è pura apparenza, è stata posta lì per compiacerci e illuderci (come stile dei farisei: inserire ogni tot parole un'espressione che carezzi l'interlocutore senza però impegnare nulla)

  7. «Certamente non tutto giova a tutti»: ai neocatecumenali non costa nulla ammettere che ci sono persone che dal Cammino hanno tratto solo danni («il Cammino non fa per te!»: l'espressione dei cosiddetti "catechisti" che ha certificato la distruzione della vita di tanti poveri cattolici)

  8. il Cammino non deve essere «scandaloso per chi non approva»: questo è il vero terrore delle gerarchie neocatecumenali: che il Cammino sia riconosciuto come dannoso e sia perciò riprovato e respinto. Però siccome dire "dannoso" sarebbe stato una parziale ammissione di colpa, si utilizza un aggettivo più generico ("scandaloso") in modo da mettere in cattiva luce «chi non approva». Subito dopo la pezza d'appoggio (Rm 12: "rispetto della coscienza altrui"). Notiamo che la coscienza altrui non si può sempre rispettare: voi rispettereste forse la coscienza genocida di Hitler, Stalin, Pol Pot? rispettereste forse la coscienza di un drogato che dice di essere felice di drogarsi? E d'altronde l'apostolo Paolo, autore di Rm 12, non è lo stesso apostolo Paolo che lancia anatemi a chiunque insegni (perfino se fosse un «angelo disceso dal cielo») a chiunque insegni qualcosa di diverso da ciò che insegna la Chiesa? E i neocatecumenali che fanno, citano san Paolo solo nei punti in cui fa comodo a loro?

  9. «che una cosa non vada bene ad uno...»: un errore di grammatica e lo stile banale della frase ci fanno capire che il copia-incolla è finito. Anche Sandro riconosce a denti stretti che il Cammino non va bene a tutti e tenta di insinuare che le osservazioni riportate in questo blog non dovrebbero significare che per qualcun altro il Cammino sarebbe buono (starà parlando di sé stesso?) In realtà per "criticare il Cammino" basta rileggere l'insegnamento della Chiesa! Il Cammino è un problema non perché ai nostri occhi appaia tale, ma perché va contro il Magistero, contro la Tradizione, persino contro la Scrittura! Il Cammino va contro il Concilio Vaticano II (si confronti ad esempio la costituzione Sacrosanctum Concilium con gli strafalcioni liturgici neocatecumenali), il Cammino va contro l'istituzione ecclesiastica (cfr. il caso Giappone). Quindi, anche se il Cammino "va bene" ad alcuni, significa che quegli "alcuni" stanno andando contro la Chiesa!

  10. «lo "sgorbio" di Kiko... ricalca pure dei modelli catacombali...»: Sandro ora ci stupisce con la sua "cultura": conosce le opere kikiane e sa perfino che "ci sono modelli catacombali, modelli medievali" a cui Kiko (solo lui?) poteva ispirarsi. Come mai tanta premura da parte di Sandro per difendere le "opere" di Kiko? Anche Sandro, evidentemente, nel fondo del suo cuore sembra riconoscere che è quantomeno preoccupante seguire la spiritualità di un uomo che disegna quegli orrendi sgorbi con allarmanti simbologie esoteriche.

  11. «Cristo ci dà l'opportunità di incontrare il mistero di Dio nel mistero dell'uomo...»: infiocchettare espressioni di Giovanni Paolo II in modo da farle suonare kikiane-carmeniane (con Nostro Signore utilizzato come "sponsor") servono ovviamente a confezionare il finale sdolcinato in modo da prepararsi a reagire con: "vedete? io porto la pace e loro mi criticano". Tipico stile neocatecumenale: vittimismo preventivo e "preparazione del terreno".

  12. «Credo sia molto importante però il vostro contributo»: quindi questo blog, che Sandro chiama «il Blog anti-neocatecumenale», e di cui condanna «i toni esagerati»... sarebbe per lui veramente «molto importante come contributo»?
Il caro fratello Sandro, che non sarebbe "mai entrato" nel Cammino, si è dimostrato affine ai neocatecumenali più facinorosi. In nome di un pacifismo ecclesiale utile solo a certi "potenti appoggi", si è allineato alla schiera di coloro che in un modo o nell'altro, volontariamente o inconsapevolmente, in pubblico o con discrezione, sono complici del Cammino e delle sue storture. Eppure lo sanno tutti che allearsi con l'ambiguità non ha mai portato a nulla di buono...

sabato 18 agosto 2012

«Afflitti dai canti e dalle schitarrate neocatecumenali»

Citiamo dal blog Messainlatino una lettera di denuncia a proposito di quei funerei canti kikiani dal tono cupo e calante, grattati sulle chitarre al ritmo tribale "ndrùng-ndrùng-ndrùng". Il lettore di Civitanova Marche non manca di far notare il silenzioso avanzamento dei neocatecumenali: ai fedeli delle parrocchie vengono imposte le cosiddette "catechesi" di Kiko e Carmen, mentre il vescovo sembra considerare i NC "privilegiati"...


[...]
L'urna del santo nell'imbarcazione;
sulla sinistra l'immancabile croce kikiana,
in sottofondo "solo ed esclusivamente
i canti neocatecumenali..."
Ora, tradizionalmente la festa di San Marone martire, uno dei primi evangelizzatori locali, si svolge dal 16 al 18 agosto. Il 16 l’urna contenente le reliquie del santo  viene portata in processione fino al porto e imbarcata per il “corteo” dei pescherecci .
La processione viene fatta dopo la messa dell’arcivescovo  di Fermo nella chiesa Cristo Re la più vicina al porto .
In questa occasione si esprimeva davvero la ricchezza di tutta la Chiesa nelle sue espressioni di fede arricchite dai Carismi visibili nei canti quanto nelle orazioni e, perchè no, anche da un colorito senso folcloristico di cultura cristiana laica, cioè propria e tipica del popolo cristiano.

E veniamo al dunque del nostro dolore: ci si deve spiegare perché un semplice fedele che vuole andare alla messa del suo vescovo per la festa del patrono della città ( e che città !) deve essere afflitto dai canti e dalle schitarrate neocatecumenali ( che la chiesa locale indica come importante mezzo di evangelizzazione  tanto che in talune parrocchie le riunioni preparatorie per i genitori dei cresimandi sono in realtà le catechesi neocatecumenali …)
In una città che vanta la presenza di due cori polifonici ,  il presidente regionale della confederazione dei cori marchigiani è di qua… alla festa del patrono si debbono sentire solo ed esclusivamente i canti neocatecumenali
Quasi tutte le chiese cittadine sono state recentemente “adeguate liturgicamente” ma nessuno ha pensato, ne’ l’ufficio liturgico diocesano lo ha suggerito, che una parte dei fondi impiegati poteva servire per acquistare un organo liturgico ?
Perché i "turisti" e i fedeli NON NC hanno dovuto sopportare ieri una liturgia condita dai canti neocatecumenali ???

Il Papa continua a parlare di ecclesialità la quale dovrebbe esprimersi con quella "devozione popolare" che ha sempre caratterizzato una complessa ma vincitrice organizzazione universale che ha dato origine così a ciò che chiamiamo tradizione e che per tutti questi secoli ha portato frutti nella Chiesa locale e unito il popolo.
Non si comprende perchè il vescovo sembra agire come se avesse dei "figli privilegiati" a discapito di ciò che era, e che dovrebbe essere, la Festa di un Patrono nella quale tutti i figli si riuniscono.
In una sola parola mi chiedo con atroce sospetto: se non diventerò un NC sarò ancora un cattolico per la mia comunità ( e per il mio vescovo ) ?

E da quando in qua i canti della comunità NC sono diventati vincolanti nelle manifestazioni pubbliche dei fedeli?
Sarò costretto a cambiare chiesa e ad andarmene?


Aggiungiamo, a mo' di conclusione, il commento firmato "Mko":
Sui canti si puo stendere solo un velo pietoso.
1- i canti li fa solo Kiko (pittore tra l'altro). So che alcuni li faceva un certo Rita (credo fosse il cognome) di Roma che però fu bloccato perché non erano in linea con Kiko
2- Le melodie sono tutte uguali e ormai gli stessi neocatecumenali (io e mia moglie siamo stati entrambi cantori e lo sappiamo bene) non ne possono più (ma guai a dirlo)
3- durante tutto il cammino (e dopo.... ve lo confermo) gli unici canti ammessi a qualsiasi ordine e grado di celebrazione sono quelli made in Kiko.
Che dire... integrazione con la chiesa? Obbedienza a quanto disposto dalle norme ligurgiche cui dovremo obbedire (gregoriano)?
Ragazzi ma per favore!!!!

sabato 11 agosto 2012

Il rettore del "Redemptoris Mater" a Beirut: già prevede la "alzate" che Kiko poi esibirà. Ma a chi obbediscono quei sacerdoti? E in che cosa si vedrà l'unità della Chiesa?

Si tratta della solita "kikata" di Radio Vaticana; ma non è per nulla rassicurante. Il rettore del "Redemptoris Mater" a Beirut: già prevede la "alzate" che Kiko poi esibirà. Ma a chi obbediscono quei sacerdoti? E in che cosa si vedrà l'unità della Chiesa?
Qualche notizia sui Redemptoris Mater. [vedi anche]

Il rettore del "Redemptoris Mater" a Beirut:
 il viaggio del Papa in Libano rafforzerà l’unità della Chiesa

Cresce l’attesa in Libano per la visita del Papa, fra poco più di un mese, per la consegna dell’Esortazione apostolica post-sinodale per il Medio Oriente. In questi giorni, proprio in vista dell’evento, alcuni leader cristiani e musulmani libanesi si sono riuniti a Sidone per rinnovare un appello per la pace, il dialogo e la riconciliazione nel Paese e nella regione. Intanto, a Beirut fervono i preparativi per accogliere Benedetto XVI. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di don Guillaume Bruté de Rémur, rettore del Seminario “Redemptoris Mater” della capitale libanese.

R. – Siamo tutti molto felici, e anche un po’ impazienti; i seminaristi, ora, sono per la maggior parte in vari posti di missione per l’estate, alcuni hanno preso un po’ di vacanza. Ritorneranno tutti all’inizio di settembre proprio per gli ultimi preparativi prima che arrivi il Santo Padre. Accoglieremo anche dei fratelli che vengono dall’Egitto, dall’Iraq perché, anche se il Santo Padre viene in Libano, viene per consegnare l’Esortazione che è il frutto del Sinodo per il Medio Oriente e quindi è una visita rivolta a tutti i cristiani dell’area in questo momento un po’ particolare, per non dire difficile …

D. – Il Sinodo per il Medio Oriente [vedi anche] - [e ancheaveva come tema “Comunione e testimonianza”: quanto è importante questa visita del Papa per rafforzare la comunione e la testimonianza dei cristiani in Libano e in tutto il Medio Oriente? 

R. – Una delle particolarità del cristianesimo orientale è appunto la divisione tra i vari riti: non solo tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, ma anche la divisione all’interno della stessa Chiesa cattolica tra i riti melkita, maronita, copto … E dunque, anche se queste sono ricchezze enormi, perché ogni Chiesa conserva un patrimonio culturale e religioso e spirituale bellissimo che va protetto e conservato con molta attenzione, c’è però sempre il rischio di un ripiegamento dei cristiani su questi particolarismi delle loro Chiese, dimenticando che la testimonianza che sono chiamati a dare i cristiani oggi in questo mondo mediorientale pieno di rivoluzione, dove l’islam si pone anche con una certa forza ed un certo radicalismo, è proprio l’unità. Per questo la visita del Papa è molto importante: perché viene a sottolineare l’unità di tutte le Chiese cattoliche orientali intorno alla figura di Pietro, ma è anche molto importante per l’ecumenismo. Sappiamo, infatti, quanto questo aspetto sia rilevante agli occhi di Benedetto XVI e quanto egli stia facendo per questa ritrovata unità anche con le Chiese separate, con le Chiese ortodosse che anch’esse sono contente della visita del Santo Padre. [Che nella questione liturgica metta bocca un neocatecumenale: mala tempora! Vedi link di cui sopra sul Sinodo per il MO]

D. – Il Papa incontrerà anche i giovani libanesi. Molte volte accade che, dopo una visita del Papa in un Paese, ci sia una fioritura di vocazioni: può essere questa anche una speranza per il Libano?

R. – Sì. Noi lo speriamo moltissimo e puntiamo molto, nella preparazione della venuta del Santo Padre, sui giovani e proprio su questo fatto: è un momento particolare in cui ciascuno si chiede qual è la propria vocazione. Anche il fatto stesso che il Santo Padre venga a consegnare questo documento come una missione, questo invita tutti noi a prendere coscienza di questa missione e di come possiamo esprimerla nella nostra vita, sia come presbiteri, come vita consacrata … E per questo è molto importante. E’ vero che attualmente in Libano il numero dei cristiani non soffre di una mancanza di vocazioni, perché il numero di vocazioni proporzionalmente al numero dei cristiani è abbastanza alto; però ultimamente si assiste ad un calo delle vocazioni e anche per questo speriamo che la venuta del Santo Padre restituisca un fervore nuovo ai giovani. Io penso che questo sia uno dei motivi per cui il Santo Padre vuole incontrare i giovani, e per lo stesso motivo anche i Patriarchi hanno insistito perché si organizzasse, il sabato 15 settembre, un incontro particolare per i giovani.
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giovedì 9 agosto 2012

L'AMORE A CRISTO NEL SACRIFICIO DI SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE(EDITH STEIN), PROTETTRICE DEL NOSTRO BLOG

Questo blog è stato posto subito dopo la sua nascita, oltre sei anni fa, sotto la protezione di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, ebrea tedesca, filosofa e carmelitana, che settant'anni fa, il 9 agosto 1943 moriva nelle camere a gas del Campo di concentramento di Auschwitz . La Chiesa celebra oggi la memoria liturgica di questa Santa, proclamata da Giovanni Paolo II patrona d’Europa con Santa Brigida e Santa Caterina da Siena. Benedetto XVI l’ha ricordata più volte nel corso del suo Pontificato.

Come rilevato oggi da Radiovaticana, Edith Stein ercava con tutto il cuore la verità e non ha saputo resistere di fronte all’amore del Cristo crocifisso.

“Il cammino della fede - diceva - ci porta più lontano di quello della conoscenza filosofica: ci porta al Dio personale e vicino, a Colui che è tutto amore e misericordia, a una certezza che nessuna conoscenza naturale può dare”. Ebrea agnostica, si lascia conquistare da Gesù, ma non rinnega il suo popolo. Poteva fuggire dai nazisti, ma non volle, come ha sottolineato il Papa nella sua storica visita ad Auschwitz il 28 maggio 2006:

“Come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia”.

“Il mondo è in fiamme – scriveva Edith Stein nel tempo buio del nazismo - la lotta tra Cristo e anticristo si è accanita apertamente, perciò se ti decidi per Cristo può esserti chiesto anche il sacrificio della vita”. Entra con tutta se stessa nel mistero della Croce:“La santa carmelitana Edith Stein … scriveva così dal Carmelo di Colonia nel 1938: «Oggi capisco … che cosa voglia dire essere sposa del Signore nel segno della croce, benché per intero non lo si comprenderà mai, giacché è un mistero… Più si fa buio intorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto»”. (Angelus del 20 giugno 2010)

Ma “la croce non è fine a se stessa” - diceva Edith Stein - è “l’amore di Cristo” che “non conosce limiti” e “non si ritrae davanti a bruttezza e sporcizia”. Gesù “è venuto per i peccatori e non per i giusti, e se l'amore di Cristo vive in noi – affermava la Santa carmelitana - dobbiamo fare come Lui e metterci alla ricerca della pecorella smarrita”. Così, solo l’amore che dà la vita per salvare l’altro cancella il male, annienta la morte, è eterno: in questo la Croce è la nostra “unica speranza”.

La ricerca vera ed appassionata di Cristo e della sua Croce prescinde dunque totalmente da ogni infingimento umano, da ogni desiderio di proporre se stessi e il "proprio" cammino di Fede al di là e al di sopra di questa ricerca fatta di umiltà, di semplicità ; peraltro, essere veri testimoni, martiri - sembra ricordarci Santa Teresa Benedetta della Croce - non significa necessariamente, anzi non significa affatto, proporre se stessi in vita come esempio di Fede, di Martirio, di Speranza, non significa affatto pretendere di scarnificare le coscienze dei piccoli e dei poveri attraverso scrutini di ogni genere. Significa amare realmente Cristo e in Cristo ogni fratello.

mercoledì 1 agosto 2012

Una bambina riconosce come spaventose e bizzarre le "liturgie" neocat

Continuiamo qui la discussione ripartendo da questa testimonianza di Elena.
Anzi, dalla testimonianza della figlia di Elena: a soli due anni di età esprime un giudizio motivato.


In attesa del segnale, con lo sguardo perso nel vuoto
e la porzione nelle mani. "Papà, dai, mangia!"
Questa ve la devo raccontare: sabato sera ho accompagnato mio marito all'eucarestia in comunità, insieme a nostra figlia di poco più di 2 anni. Qua in estate la messa si fa a comunità riunite e siccome non ci si sta nelle salette hanno allestito tutto l'ambaradan nel piaSzzale sul retro della chiesa. E qua la prima domanda di mia figlia : "perchè non andiamo in chiesa?" ( volevo risponderle :vallo a chiedere a loro....)

poi non ricordo se durante l'offertorio o durante la comunione, mia figlia, che ha paura dei rumori forti durante il canto viene da me tutta spaventata e mi dice : "andiamo via" ... ora a 2 anni e nella nostra famiglia non può certo aver maturato una cultura musicale ma se un canto che fra l'altro ha la pretesa di essere liturgico arriva a spaventarla non credo sia un gran segno della bellezza e melodiosità ( si dice?) di tale canto...

Dulcis in fundo mentre avevamo il Corpo di Cristo in mano e aspettavamo che finisse il giro, la bambina diceva a suo padre: "dai mangia!!" allora i casi sono 2: o mia figlia è così intelligente che già conosce qualcosa di teologia, oppure è evidente anche ai bambini che nel cammino c'è qualcosa che non va!! " se non tornerete come bambini...."