mercoledì 25 luglio 2012

«Non sono certo i catecumeni a rinvigorire» le parrocchie...

Citiamo qui sotto due articoli di Patrizia Stella pubblicati sul sito web Pontifex lunedì scorso, sito web su cui si è parlato spesso del Cammino Neocatecumenale (e se ne parlerà ancora).
L'autrice, pur notando e apprezzando il buon cuore di tanti neocatecumenali, non può non notare anche le evidenti storture liturgiche e dottrinali su cui si fonda il Cammino.


Dall'articolo: I movimenti nella Chiesa:

Kiko all'ambone con Crocifero e Candelieri
3 giugno 2012 - foto © cammino.info
Assai diversa è la spiritualità dei Neocatecumenali i quali, oltre all’assiduo approfondimento della Sacra Scrittura, privilegiano l’aspetto sacramentale (Eucaristia e Confessione) in piccoli gruppi, ma attraverso celebrazioni liturgiche molto singolari. Di solito, infatti, si raccolgono il sabato sera (assai raramente la domenica) in circolo attorno a un grande tavolo che funge da altare dove, tra canti, chitarre, letture, esortazioni tipo omelie spesso offerte dai catechisti anziché dal sacerdote celebrante, si rischia di non distinguere più il sacerdozio ministeriale da quello comune dei fedeli, senza contare che spesso l’Eucaristia viene assunta dai singoli comunicandi spezzando bocconi da un’unica “pagnotta di pane consacrato”, che viene passata di mano in mano con briciole che cadono dappertutto.

Avrei tantissimi altri esempi da fare in proposito, non molto ortodossi, anche sulla Confessione, ma ne riporto solo uno tra i meno eclatanti: d’estate in un paesino di montagna dove da anni mi reco per passare un po’ di ferie, si trovano anche dei neocatecumenali con le loro famiglie, con tanti figli, tutti bravi e allegri, davvero esemplari. Gli adulti hanno deciso di comune accordo di alzarsi tutti i giorni alle sei del mattino per recitare in tranquillità le Lodi in uno dei loro appartamenti, però ho notato che alla Santa Messa, sia festiva che feriale delle 18, celebrata da un sacerdote anziano nella vicina chiesa parrocchiale, essi non erano mai presenti. Alla domanda sul perché di questa loro assenza, dal momento che si professano pubblicamente cattolici, credenti e praticanti, mi hanno risposto che: “Prima di arrivare alla Messa, ce ne vuole di cammino!” e che se non possono frequentare la “loro Messa” in città, pazienza!

"Liturgia" neocatecumenale
E’ vero che la Congregazione per i Laici ha approvato recentemente il loro statuto, però dopo averlo riveduto e corretto di sana pianta, e senza avere la certezza che i responsabili siano d’accordo di accettarlo e di viverlo così come è stato voluto dalla Chiesa, e non dal loro fondatore.

D’altro canto, è anche vero che costoro sono tutte brave persone, vivono le virtù umane, sono molto apostolici, quando si ritrovano a San Pietro urlano all’unisono “Viva il Papa”, anche se pare che non abbiano come programma di studio, ad esempio, il “catechismo della chiesa cattolica” e nemmeno il compendio, ma essenzialmente la Sacra Scrittura e gli scritti dei loro fondatori.

Come può essere questa specie di contraddizione, viene da domandarsi? Come è possibile armonizzare questi comportamenti con le esigenze della ecclesialità e col giusto inserimento nella pastorale della chiesa locale?



Dall'articolo: Eucarestia e confessione: sarei felice di essere smentita!

Si propongono di valorizzare il ruolo dei laici invitandoli ad approfondire gli studi sulla Sacra Scrittura fino a conferire loro il grado di “catechisti”. Questo compito dei laici di prepararsi dottrinalmente per essere apostoli in mezzo al mondo, come è stato più volte ribadito dal Concilio, sarebbe cosa molto buona se costoro sapessero restare al loro posto di laici comuni. Invece lo stile tipico e l’errore fondamentale dei neocatecumenali è proprio quello di mescolare e confondere i due ruoli: quello del catechista laico con quello del sacerdote consacrato, vale a dire che non distinguono la differenza fra “sacerdozio ministeriale” e “sacerdozio comune dei fedeli”, a tal punto che spesso l’uno sconfina nell’altro con grave danno della stessa nostra fede, soprattutto nei due pilastri fondamentali che sono l’Eucaristia e la Confessione. Infatti, in mezzo a tanti movimenti e associazioni d’ispirazione cattolica, solo i neocatecumenali hanno la loro pastorale e la loro liturgia che in molti punti non rispetta la disciplina liturgica della Chiesa.
«Alla comunione stiamo tutti seduti»

EUCARISTIA:

• Preferiscono celebrare la “loro Messa” a tarda sera non in chiesa ma in locali attigui, quali sale giochi, biblioteche, teatri ecc. dove preparano dei tavoli con tovaglie comuni e non liturgiche, (talvolta addirittura con lenzuola) attorno ai quali si distribuiscono i fedeli assieme al sacerdote celebrante, in modo tale che, fra canti, gesti, salmi e preghiere comuni, si rischia veramente di confondere il ruolo del ministro di Cristo con quello degli altri fedeli, perché sembra che tutti abbiano la stessa parte attiva nella celebrazione.

• La stessa omelia dopo il Vangelo che di sua natura è un atto ministeriale riservato al solo sacerdote, viene spesso affidata ad un catechista che sostituisce il sacerdote celebrante il quale, in questo modo, viene ad abdicare a un suo preciso compito ministeriale.

• Se qualche volta sono invitati a celebrare in chiesa, non rispettano l’arredo liturgico che trovano, ma spostano tutti i banchi e le suppellettili sacre per collocare la loro grande “mensa” al centro della chiesa, con leggii portatili, chitarre e altri strumenti impropri. Tutto questo perché il significato che essi danno alla Celebrazione Eucaristica è solo quello di “banchetto fraterno e di celebrazione della Cena” escludendo totalmente o per lo meno sottovalutando l’altro aspetto essenziale, proprio della Santa Messa, che è il “Sacrificio di Cristo”.

"Prima Comunione" neocatecumenale
• Per la S. Comunione non si servono delle particole, come la prudenza della Chiesa ha suggerito da sempre, ma di pane che impastano le loro donne e che viene poi spezzettato nella Consacrazione o nella Comunione con briciole che vanno dappertutto esponendo l’Eucaristia ad una vera profanazione. Molti di loro sono convinti che in quelle briciole non è presente il Corpo di Cristo.

CONFESSIONE:

• Celebrano questo sacramento in luoghi estranei alla chiesa e pertanto rifiutano il confessionale ignorando apertamente le norme del diritto canonico (can.964).

• Ma la cosa più grave è che considerano la Penitenza non come sacramento, cioè come incontro personale con Cristo che mi assolve dai peccati e conferisce la Grazia nella persona del sacerdote (che comunque rappresenta sempre la Chiesa), ma soprattutto come richiesta di perdono alla comunità ecclesiale, come gesto pubblico di umiltà nella consapevolezza che siamo tutti peccatori e che tali resteremo. (Lutero). Prova ne sia che le loro cosiddette “confessioni pubbliche” non si svolgono neppure davanti al sacerdote, la cui persona risulta, in un certo senso, superflua, ma al cospetto dei “catechisti” i quali ammoniscono, incoraggiano ecc.

Non è uno sgabuzzino disordinato,
ma un "altare" neocatecumenale
• Per questo non hanno nessun pudore di accusarsi anche pubblicamente dei propri peccati anche più intimi, anzi sembra quasi che vengano incoraggiati a fare ostentazione pubblica di miseria e di peccato quando invece sappiamo che Dio non umilia mai le sue creature, perché grande è la dignità del cristiano redento da Cristo e santificato dalla grazia!. Del resto la Chiesa, rispettando il sacrario della coscienza, non ha mai richiesto la confessione pubblica dei peccati personali anche perché questo gesto può creare grave danno alla reputazione della persona e all’unità della famiglia.

Riescono abilmente a convincere i partecipanti a liberarsi della loro “immondizia” (cioè del denaro) gettandolo nel “sacco dei rifiuti” che viene poi scrupolosamente raccolto da alcuni incaricati ufficiali. La nipote di un sacerdote di Verona è ricorsa allo zio per chiedere aiuto economico in quanto aveva consegnato, dietro suggerimento pressante di un catecumeno, tutto il suo stipendio con cui doveva vivere. E le testimonianze sono numerose.

I vari gruppi sono spesso seguiti da un sacerdote diocesano o religioso di tutto rispetto, che i responsabili fanno emergere dall’anonimato del proprio Ordine religioso o dalle frustrazioni che può causare la parrocchia, per investirli di questo compito di guida spirituale. Tuttavia questi “presbiteri” - come vengono chiamati – finiscono col perdere la meravigliosa spiritualità propria del loro Ordine religioso, si prestano a creare fratture e divisioni all’interno della parrocchia, e non si accorgono che, un po’ alla volta, finiscono con l’essere del tutto subordinati ai catechisti del gruppo, ritenuti i veri ed esclusivi distributori della verità. Questi non accettano osservazioni: chi osa obiettare, è segno che non ha capito ed è meglio che se ne vada.

"Santino" di san Kiko
distribuito durante la Quaresima 2012
E’ vero che ci sono persone provenienti da esperienze molto negative (prostituzione, dissolutezza, ateismo, alcool ecc.) che hanno cambiato la loro vita grazie ai catecumeni, ma questo risanamento morale non basta; la piena conversione non è quella di aderire ad un gruppo o a un movimento, come se la comunità neocatecumenale si identificasse con la Chiesa stessa, bensì di abbracciare la fede cattolica in piena sintonia con l’insegnamento e le norme disciplinari della Chiesa.

Se oggi le comunità parrocchiali sono in crisi, non sono certo i catecumeni a rinvigorirle perché nulla vogliono spartire costoro con la vita della parrocchia, a meno che non siano i parrocchiani a passare dalla loro parte, a farsi uno di loro condividendo “in toto” questo loro stile singolare e appartato da tutto.

Alle volte la croce di non vedere i frutti del proprio apostolato unita ad una fervente preghiera è l’unico mezzo che il Signore chiede ai parroci per una futura, reale fecondità e santità in tutta la Chiesa, la quale non è nata da chitarre o da rituali roboanti, ma proprio dal silenzio della croce.

Patrizia Stella
Queste cose sono tutte personalmente comprovate e sarei felice di essere smentita!

lunedì 16 luglio 2012

«Nel Cammino c'è un sostanziale rifiuto della Chiesa»

Citiamo qui sotto parte di un articolo pubblicato da Adista n.27/2012. Nel corso di vari decenni la redazione di Adista si è occupata più volte dei neocatecumenali: c'è da scommettere che nel presentare il libro di Marzano si siano chiesti come mai a distanza di decenni nel Cammino non sia cambiato assolutamente nulla. E pensare che partono da un punto di vista radicalmente diverso dal nostro.

Nella sua “indagine” sui neocatecumenali, Marzano confessa di aver incontrato grandi difficoltà: quasi impossibile penetrare oltre la superficie e l’ufficialità, «i neocatecumenali si sono rivelati un osso più duro» degli altri movimenti, «più diffidenti e meno ingenui». Fino a quando non è riuscito ad imbattersi in qualche “gola profonda”, con esperienze dirette nel Cammino.

Separati in Chiesa

Devozione: baciare la "reliquia"
che ti porge il "Profeta"...
Come don Salvatore, giovane parroco in una diocesi dell’Italia meridionale, che ha “ereditato” le comunità neocatecumenali dal suo predecessore e che non riesce ad allontanarle, anche perché il vescovo, che è «oliato» dalle ricche offerte che riceve, non lo sostiene: «Nel Cammino c’è un sostanziale rifiuto della Chiesa», racconta, «è un’esperienza che dovrebbe portarti a Cristo e alla Chiesa ma non lo fa. Perché invece ti conduce a Kiko (il fondatore dei neocatecumenali, ndr) e solo a lui». «Il parroco, quando ci sono loro, non conta più niente, diventa un amministratore di sacramenti», perché «loro prendono in mano tutto. E obbediscono solo ai catechisti». Sono dei separati in Chiesa: non vogliono mescolarsi con gli altri fedeli, «né sono interessati ai problemi sociali, per esempio ad aiutare i tanti poveri che vivono nel quartiere. E potrebbero farlo, dal momento che hanno molte risorse: tanto denaro e parecchi militanti. Ma il fatto è che di chi non è del Cammino, di chi non diventa seguace di Kiko, a loro non interessa».

Scrutini e decime

Spazio "sacro" kikiano-carmeniano:
seggiole, mensa ipertrofica portafiori,
"icone" di Kiko, menorah a 9 bracci...
Oltre al parroco, i “fuoriusciti”, una coppia sposata, Aldo e Patrizia, per molti anni impegnati nel Cammino, lui anche responsabile di comunità, nonostante sia arrivato diverso tempo dopo la moglie: «Il Cammino è un’organizzazione maschilista», spiega, «non concede quasi mai alle donne la possibilità di occupare posti di responsabilità», il ruolo della donna «è di stare accanto all’uomo», e basta. Aldo parla di alcuni degli aspetti più controversi del Cammino: il denaro e i cosiddetti “scrutini”, ovvero la “confessione” dei propri comportamenti, anche quelli privati e intimi, davanti alla comunità, interrogati dai catechisti. Si inizia con le collette ad hoc, ma dopo due-tre anni di Cammino, si passa ad una sorta di «tassazione interna», la «decima», sollecitata con «forti pressioni psicologiche» da parte dei catechisti. «Nel 1998 – racconta – raccogliemmo la bellezza di 66 milioni di lire. In parte in contanti, in parte in catenine, collane e altri monili d’oro che io, come responsabile, fui incaricato di vendere»: due terzi rimangono al gruppo per le attività, un terzo finisce «nelle tasche del vescovo».

Per quanto riguarda gli scrutini, racconta Patrizia, ci veniva detto in continuazione «che nel Cammino nessuno giudicava», «che gli altri ci avrebbero ascoltati senza condannarci e senza far mai trapelare le nostre confidenze all’esterno del gruppo. Ma non è vero», e presto si scopre che tutti sanno tutto, anche gli aspetti più intimi. Per esempio «nel caso di un marito che voglia ottenere i favori sessuali di una moglie restia a concederglieli», l’uomo può rivelarlo in una «risonanza» all’interno del gruppo, dicendo «che sua moglie da qualche tempo “non è aperta alla vita”, cioè si rifiuta di fare l’amore con lui. Da quel momento la donna sentirà su di sé la pressione dell’intero gruppo ad assecondare il desiderio del marito» e «i fratelli e le sorelle di comunità pretenderanno di sapere come sono andate a finire le cose».

giovedì 12 luglio 2012

«Itineranza di servizio», cioè schiavitù

Qui sotto, una citazione dal libro "Quel che resta dei cattolici. Inchiesta sulla crisi della Chiesa in Italia" di Marco Marzano, edizioni Feltrinelli, 2012, ISBN 978-8807172311.

L'autore esamina la crisi della Chiesa partendo "dal basso", considerando lo sfacelo delle parrocchie e l'emergere dei nuovi movimenti ecclesiali, e scopre che il Cammino Neocatecumenale ha tutti i caratteri tipici della setta così come descritti dalla sociologia.

Lo citiamo perché -come sempre- non ci interessa se un autore sia ateo o cattolico, ma solo se dice la verità. Ciò che lui osserva del Cammino rispecchia ciò che noi cattolici continuamente verifichiamo alla luce della fede e delle nostre singole esperienze.




Le "alzate", cioè il donarsi
interamente a Kiko
Le donne non contano un granché nel Cammino. Talvolta, soprattutto se sole, senza un marito o un fidanzato, vengono schiavizzate. O quasi. "Usate" come personale ausiliario al servizio dell'organizzazione. È per esempio il caso di Giulia, una ragazza marchigiana inquieta e sensibile, entrata nel Cammino una decina d'anni orsono, "colpita", per usare le sue parole, "dalla radicalità della proposta catecumenale. E comunque persuasa che in essa non ci fosse nulla di pericoloso perché si trattava pur sempre di un gruppo cattolico, approvato da 'santa romana Chiesa'."

Dopo un paio d'anni di Cammino, Giulia partecipò a una di quelle grandi adunate del movimento immancabilmente concluse con l'esortazione di Kiko ad "alzarsi", cioè ad assecondare, da parte di celibi e nubili, quell'irresistibile desiderio di mettersi al servizio del Cammino, promettendo, con un atto clamoroso e pubblico poi confermato dall'ascesa al palco accanto al fondatore, di intraprendere la via del sacerdozio o della consacrazione. Nei mesi successivi, all'interno delle singole comunità, quella promessa viene valutata con attenzione, soppesata, indirizzata. A Giulia venne detto che la sua missione sarebbe consistita in una "itineranza di servizio", che avrebbe dovuto accompagnare una famiglia catecumenale italiana impegnata in una "itineranza di evangelizzazione", cioè nella creazione di nuove comunità di catecumeni nel mondo.

In pratica, Giulia venne spedita, insieme a un'altra ragazza italiana, in una città della Costa Azzurra, a vivere insieme a una famiglia con otto figli.

Alcuni "kiko-boys"
"La nostra giornata era tremenda: dovevamo svegliarci alle sei e mezza, far alzare i bambini, preparare la colazione, poi accompagnarli a scuola. E poi tornare di corsa a casa. Senza nemmeno poter partecipare alla messa. La 'signora' si alzava alle nove ed era sempre stanca. Se riteneva che non lavorassimo abbastanza o che non fossimo efficienti come lei avrebbe voluto, ci 'teneva il muso' e non ci parlava per giorni. In ogni caso, nel resto della mattinata, dovevamo 'darci dentro' con i lavori domestici, la cucina eccetera. Pranzavamo velocemente e, dopo un'ora di riposo, dovevamo tornare a scuola a prendere i bambini, riportarli a casa, cambiarli, verificare che facessero i compiti, preparare loro la cena e alle 23:30 finalmente andare a dormire. I genitori ci spiavano di frequente e non ci concedevano nemmeno il privilegio di una passeggiata. Abitavamo a pochi chilometri da spiagge meravigliose, ma il mare l'abbiamo visto una sola volta in quasi un anno."

Giulia prosegue il suo racconto ricordando l'infelicità dei bambini, che non solo sembravano smarriti in quel contesto e che sarebbero stati felicissimi di far ritorno a Napoli, ma che mostravano segni di un disagio psicologico profondo: uno era isterico, un altro quasi autistico, un altro ancora sempre triste e silenzioso. "Per una ragione o per l'altra, non ce n'era uno che stesse bene. Quella casa era un vero e proprio inferno", ricorda Giulia. Un inferno governato da un padre assente e violento; specie con la figlia maggiore, che un giorno schiaffeggiò ripetutamente e con forza solo perché, come farebbe chiunque, ricorda Giulia, "mangiava una banana tutta intera. Secondo lui avrebbe dovuto invece romperla e ingoiarla pezzo per pezzo".

Dopo qualche settimana di quella vita, Giulia si rivolge al suo responsabile, lamentandosi del fatto che non ha né il tempo né l'autorizzazione (una volta è stata severamente redarguita dal capofamiglia) nemmeno per "fare le lodi" nella sua camera. E che non le è consentito di partecipare alla settimanale liturgia della parola. "Il mio catechista mi rispose dicendomi che la precedenza doveva essere data al servizio e non alla preghiera. E che a quest'ultima dovevo dar spazio solo quando ci fosse stato tempo. Cioè, in pratica, mi disse che ero diventata una ragazza alla pari. Dopo qualche mese decisi di tornare in Italia e, dopo qualche tempo ancora, e con molti timori, di uscire dall'organizzazione. "La verità", conclude con amarezza, "è che nel Cammino le donne hanno una funzione solo strumentale: servono a fare figli a gogò o, se nubili, vedove o divorziate, come schiave per le famiglie dei confratelli che ne abbiano bisogno."

domenica 8 luglio 2012

Le "frasi ad effetto": pericolo e inganni. Uso ed abuso nel Cammino neocatecumenale

Traggo questo scritto da una intelligente critica dell'uso delle "frasi ad effetto" pubblicata dal Sito dei Domenicani col titolo: I veleni delle frasi ad effetto. Ovvero come turlupinare e avvelenare gli interlocutori divertendoli. Come quinto esempio il Padre domenicano riporta una frase ascoltata in una catechesi del Cammino:

5. Frase sull’ultima immaginetta di Giovanna Francesca Fremiot de Chantal (1572 - 1641)
La frase con il relativo esempio fu pronunciata in una catechesi per giovani adulti con figli a carico di età scolare e più o meno suonava così:
«Come cristiani dobbiamo scegliere il regno di Dio ed essere distaccati da ogni cosa, compreso il denaro. Noi spesso a causa del nostro egoismo siamo prigionieri delle cose di questo mondo e del denaro in particolare. Vi porto invece un esempio che può far riflettere: santa Francesca Fremiot de Chantal, madre di famiglia e poi monaca del monastero della Visitazione, quando fu monaca era attenta a sottrarre dalla propria cella (camera) tutto il superfluo. Un giorno, dopo aver portato via vari oggetti, le sembrava di non aver più nulla da togliere. Ma vide un’immaginetta devota sul tavolo: la prese e se ne privò portandola via. Avete capito?». 
Ragioniamo. La frase dimentica che, con tutto rispetto, dopo aver tolto dalla sua cella l’ultima immaginetta, santa Francesca Fremiot de Chantal sarebbe scesa in refettorio e avrebbe trovato il pranzo pronto... ciò che non avrebbero trovato a casa loro i destinatari della catechesi e anzi avrebbero dovuto provvedere al pranzo dei figli, alle tasse scolastiche e, per evitare tensioni, anche alla “paghetta” mensile o settimanale. Per non parlare degli imprevisti. Dunque un distacco dalle cose e dal denaro in quella forma, virtuoso per la Chantal, sarebbe stato per i presenti una grave imprudenza e una follia.[C'è anche un veleno ancora più sottile: la nota intolleranza e l'irrisione del Cammino per le immagini della devozione popolare -ndR]

I quali presenti, costretti dalla forza della realtà, avranno continuato ad agire più o meno come prima, ma, invece di considerare sostanzialmente virtuoso il loro modo di fare e correggere eventuali difetti, avranno concluso di essere irrimediabilmente attaccati ai soldi, di non aver fiducia nella Provvidenza, di essere cristianamente un disastro. Cioè saranno entrati nella frustrazione.

Riflettete (soprattutto voi NC, che ne siete fatti oggetto ogni giorno...): 
Come iniettare veleno usando le frasi ad effetto.

Le frasi ad effetto sono come lo zucchero, come gli aromi al limone, all’arancio, alla menta ecc., che permettono di ingoiare piacevolmente le medicine disgustose. Con la differenza che le medicine fanno bene - almeno si spera -, mentre le idee e le valutazioni che stanno dietro alle frasi ad effetto non sempre sono esatte e reali.

Il trucco delle frasi ad effetto sta proprio qui: suscitare un “piacevole emozionale” che, legandoci ad esso, ci dà l’impressione di aver finalmente capito e non ci permette di analizzare seriamente la realtà che le frasi ad effetto presuppongono, ad esempio: l’evangelizzazione oggi è veramente come ai tempi di Pietro? i libri e le biblioteche oggi sono come ai tempi di inizio dell’Ordine? l’uso del denaro di una famiglia corrisponde all’uso del denaro della Chantal? ecc.

Se quanti dicono e scrivono frasi ad effetto dovessero proporre la realtà e le valutazioni che le frasi presuppongono, questa realtà e queste valutazioni sarebbero immediatamente analizzate, discusse, ridimensionate e forse non accettate. Invece, grazie alle frasi ad effetto, vengono tranquillamente ingoiate. E volesse il Cielo che ci si fermasse qui. No, in un secondo momento, succubi della frase ad effetto, si propongono iniziative, si programma la formazione permanente, si fanno leggi e progetti, insomma si organizza la realtà e la vita a partire dai presuposti mai seriamente discussi della frase ad effetto. E così a volte “si governa” o si tenta di governare a partire da frasi ad effetto.

Naturalmente non si tratta di astenersi dalle frasi ad effetto. Soltanto, dopo aver per un poco assaporato la loro piacevolezza, bisogna onestamente proporre agli interlocutori quello che c’è sotto e invitarli a un discernimento della realtà oltre la frase ad effetto. Ciò che non sempre accade o per ingenuità o per... furbizia. Comunque ciò che conta non è lo stabilire se l’emittente di frasi ad effetto è cosciente o meno di quello che dice e di come lo usa, ma che i destinatari restino accorti e in grado di avviare le dovute analisi.

Insomma, per concludere con una frase/immagine ad effetto, a volte l’ingresso di una frase ad effetto in un discorso sembra ripetere l’ingresso di Angelica alla cena nel palazzo di Donnafugata:
«L’attimo durò cinque minuti; poi la porta si aprì ed entrò Angelica. La prima impressione fu di abbagliata sorpresa (...). Sotto l’impeto della sua bellezza gli uomini rimasero incapaci di notare, analizzandoli, i non pochi difetti che questa bellezza aveva; molte dovevano essere le persone che di questo lavorio critico non furono mai capaci» (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, II, Sorpresa prima del pranzo).
Quante volte molti interlocutori si sono trovati e si trovano “incapaci di notare, analizzandoli, i non pochi difetti” non della gattopardiana Angelica Sedara, ma delle frasi ad effetto!

mercoledì 4 luglio 2012

Direttorio catechetico del Cammino neocatecumenale. Cosa è stato approvato? E perché non si applica?

Il 29/06/12, ruben xyz - ruben.xyz@gmail.com ha scritto
A: Pontificium Consilium pro Laicis info@laici.va
Essendo interessato ad un'eventuale entrata in questa realtà Ecclesiale, visto che in nessuna libreria non trovo i Testi in oggetto, nonostante da qualche tempo ne sia stata autorizzata la pubblicazione da codesto Rev .mo Consiglio, chiedo gentilmente se è possibile prenderne visione tramite i Vs.Archivi.
In attesa di risposta,
Ruben xyz
Roma, 29 giugno 2012, festività dei S.S. Pietro e Paolo.
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Da: Pontificium Consilium pro Laicis info@laici.va
Date: 02 luglio 2012 12:36
Oggetto: Re: Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale
A: ruben xyz ruben.xyz@gmail.com
Siccome il Cammino Neocatecumenale non ne ha autorizzato la pubblicazione, ne e' stato approvato l'uso da parte del CN, la migliore cosa e' che lei consulti o chieda l'informazione direttamente al Cammino Neocatecumenale (http://www.camminoneocatecumenale.it/ ).
Distinti saluti,
PCPL

Questo è il disposto (cliccare per ingrandire)  del Decreto del Pontifico Consiglio per i Laici che approva la pubblicazione del Direttorio. Da notare bene che, approvarne la pubblicazione dovrebbe significare che il Direttorio stesso è stato approvato. Ma, a tutt'oggi, a parte un rimpallo tra PCL e Dottrina della Fede, non risulta alcun descreto di approvazione formale delle discusse e tuttora  segrete catechesi del Cammino. L'unica 'approvazione' riguarda questa fantasmatica "pubblicazione" :

Ergo, il Pontificio consiglio per i Laici smentisce se stesso?