mercoledì 29 febbraio 2012

Si chiama in causa il Catechismo. Vediamo come il Cammino lo interpreta arbitrariamente a suo uso e consumo

Faccio qui una sintesi delle ultime esternazioni di Alessio e di alcune significative riflessioni, che possiamo continuare ad approfondire.


Scrive Alessio: ... Sappi che il cammino neocatecumenale non è un movimento, ma le comunità neocatecumenali possono essere tranquillamente assimilate a un popolo con una specifica cultura, linguaggio e tradizione cinquantennale), popolo proprio nella definizione di CCC 1204-1206.
Penso sia importante inserire anche il 1203.
Tradizioni liturgiche e cattolicità della Chiesa
1203 Le tradizioni liturgiche, o riti, attualmente in uso nella Chiesa sono il rito latino (principalmente il rito romano, ma anche i riti di certe Chiese locali, come il rito ambrosiano o di certi ordini religiosi) e i riti bizantino, alessandrino o copto, siriaco, armeno, maronita e caldeo. ....
Facciamo a capirci una volta per tutte: La celebrazione del cammino NC che è un Novus Ordo arbitrariamente manipolato, non può assolutamente assurgere al rango di rito!
Liturgia e culture
1204 La celebrazione della liturgia deve quindi corrispondere al genio e alla cultura dei diversi popoli. 140 Affinché il mistero di Cristo sia « rivelato [...] a tutte le genti perché obbediscano alla fede » (Rm 16,26), esso deve essere annunziato, celebrato e vissuto in tutte le culture, così che queste non vengano abolite, ma recuperate e portate a compimento grazie ad esso. ...
si riferisce alle culture esistenti, non certo a quella creata ex novo da un pittore e da una ex suora spagnoli!

Scrive Alect: Quale sarebbe il "genio e la cultura" che sta dietro alla creatura di Kiko Arguello? (dico "creatura di Kiko" perchè le cosidette "linee degli iniziatori" sono considerate alla stregua dei dogmi di fede).

La cultura di un popolo di cui parla quella norma del CCC è il frutto di 2000 anni di "inculturazione" della Chiesa tra popoli e culture diverse. Cosa che il cammino ha allegramente messo da parte. In nome di cosa?
1205 « Nella liturgia, e segnatamente in quella dei sacramenti, c'è una parte immutabile, perché di istituzione divina, di cui la Chiesa è custode, e ci sono parti suscettibili di cambiamento, che essa ha il potere, e talvolta anche il dovere, di adattare alle culture dei popoli recentemente evangelizzati ».
Lasciamo stare il fatto che considerare i neocatecumenali UN POPOLO con 50 ANNI di storia è risibile, già il considerarsi "un popolo" a sé stante - che poi è vero che è un popolo a sé stante non integrandosi mai con la Chiesa ma fagocitando o sfigurandola - lo trovo molto ebraico.

Concentriamoci sul termine IMMUTABILE. Già questo termine dovrebbe dare il senso del RISPETTO e della venerazione (che viene perché è stato CRISTO STESSO a dettarne il significato) che si dovrebbe avere per la liturgia eucaristica.

Eppure un laico si è preso il diritto di fare quello che voleva. TANTO E' VERO che, sulla Liturgia, il Santo Padre ha dato delle direttive BEN PRECISE che sono state RIBADITE il 20 Gennaio scorso. Questo dovrebbe fare riflettere...
1206 « La diversità liturgica può essere fonte di arricchimento, ma può anche provocare tensioni, reciproche incomprensioni e persino scismi. In questo campo è chiaro che la diversità non deve nuocere all'unità. Essa non può esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, e alla comunione gerarchica. L'adattamento alle culture esige anche una conversione del cuore e, se è necessario, anche rotture con abitudini ancestrali incompatibili con la fede cattolica ».
Va da sé che, se è richiesta "rottura" con "abitudini ancestrali" in contrasto con la fede cattolica, a maggior ragione, vale per quelle riferite ad una prassi quarantennale!

E poi: La diversità non deve nuocere all'unità.... ne vogliamo parlare?

Nella successiva sintesi, il Catechismo, così si esprime:
1209 Il criterio che assicura l'unità nella multiformità delle tradizioni liturgiche è la fedeltà alla Tradizione apostolica, ossia: la comunione nella fede e nei sacramenti ricevuti dagli Apostoli, comunione che è significata e garantita dalla successione apostolica.
Dice inoltre Alessio: ...io non invento definizioni nuove, ma antropologicamente parlando analizzo il comportamento delle comunità neocatecumenali, che si comportano come una sorta di tribù caratterizzata da linguaggio proprio, e tante altri segni distintivi, più propri di un popolo inteso culturalmente, che inteso religiosamente.

Il catechismo non parla in termini antropologici e non è questione di antropologia e di cultura e di popolo: ecco che viene fuori inequivocabile la "diversità" e la elitarietà tipiche del Cammino che alla resa dei conti vengono fuori nonostante le mimetizzazioni e le arrampicature sugli specchi di affabulatori come Alessio. E questione di teologia e di fede: ed è innegabile che la teologia e la fede veicolate dal Cnc sono "altre"!

Dice ancora Alect: Guarda Alessio, tu sei liberissimo (così come tutti i neocatecumenali) di farti dare del "cretino" ad ogni più sospinto da un catechista pseudopsicologo e pseudoteologo, di giustificarlo di fronte agli altri, di confondere l'obbedienza con la virtù teologale della fede, di confondere il senso del peccato con il senso di colpa, ma NON TI PERMETTO DI DIRE CHE QUESTO TI AVVICINA A GESU' CRISTO.

Gesù Cristo non ha mai distrutto la dignità di nessuno! Gesù Cristo parlava con tutti e a tutti dava spiegazioni. Gesù Cristo si metteva in discussione continuamente e nel farlo mostrava LA VERITA'.

E scusa se è poco...

E dice infine Michela, rispondendo all'altra affermazione di Alessio: ritengo la Chiesa post-conciliare inefficace dal punto di vista pastorale, perchè non riesce più a far incontrare la Verità, con la domanda di Verità (domanda insita nel cuore degli uomini...

Ecco, cominciamo ad avvicinarci all'essenza del problema, anche se ne siamo ancora lontani.
  1. siccome la chiesa ha fallito, dobbiamo costruire qualcosa di nuovo.
    E' una partenza sbagliata per vari motivi, che adesso sorvolo.
    Ma se questo è il criterio, allora deve valere anche per il cammino. E difatti il cammino sta fallendo, il numero di ncn diminuisce, il 70% di chi ha fatto il primo passaggio non arriva alla fine, e spesso esce con situazioni personali così gravi da farlo allontanare dalla chiesa.

  2. la seconda questione che poni è quale è la domanda di verità e quale tipo di risposta dà il cammino. E' innegabile che il cammino dia una risposta totalizzante, che esclude dall'orizzonte del camminante gli amici e i familiari non ncn, compresi i valori ( buoni) che aveva prima del cammino.
    Il cammino risponde ad un bisogno di trovare un senso molto alto alla propria vita.
    Il cammino è risponde ai bisogni di dipendenza di alcuni, di chi è disposto a sostituire le figure genitoriali con quelle dei catechisti.

    Questi sono bisogni 'malati', che vanno curati, e non acuiti attraverso il cammino.
    Se non ci fossero questo tipo di bisogni, il cammino chiuderebbe all'istante.

    Voi dite che il cammino prevede talmente tanta eroica disponibilità, che non tutti vogliono/possono sobbarcarsi tale sacrificio.

    Io invece credo che il cammino non sia adatto a tutti, non è uno strumento universale per la Chiesa, perchè non è adatto a chi non è disposto a regalare ad un movimento la propria libertà. ( e cioè non è adatto alla maggior parte delle persone).
Il Cammino non è adatto a nessuna categoria di persone, avuto riguardo a ciò che è e a ciò che provoca e che è completamente e inopinatamente e inspiegabilmente ignorato da chi di dovere.

E aggiungo che il cammino chiuderebbe all'istante se, oltre a rispondere a bisogni molto ben individuati cui risponde in maniera 'malata' (la dimostrazione è in ogni nostra documentata riflessione e testimonianza), non rispondesse al bisogno della chiesa postconciliare - sensibile più ai numeri, alla pubblicità ingannevole e ad una morale farisaica - di disporre di truppe cammellate, a tutto discapito della Verità...

domenica 26 febbraio 2012

Testimonianze dalla Sardegna

Riportiamo qui sotto alcune citazioni da una serie di interventi a firma "Malloreddus" nel forum Cattoliciromani, più che sufficienti, già da sole, a dimostrare che qualsiasi analisi onesta sul Cammino Neocatecumenale, da qualsiasi punto parta, giunge alle stesse conclusioni.


[...] Ho fatto una carrellata random. vorrei dare il mio piccolo contributo, cercando di esser critico e distaccato. so che mi verrà difficile, ma vorrò comunque mantenere un giusto equilibrio tra la rabbia per le esperienze personali, il dispiacere per le esperienze pastorali ed ecclesiali, il fastidio per l'intransigenza e la non comunicazione e l'azione a noi imperscrutabile dello Spirito, al quale rimando tutte le mie perplessità davanti alla Sua grande azione salvifica.

Ho avuto parenti nel cammino neocatecumenale, ricordo con grande dispiacere mio zio andarsene tutte le notti di Natale da solo alla celebrazione comunitaria lasciandoci nel bel mezzo della cena, con mia zia, credente ex FUCI, e i miei cugini che non accettavano il fatto che il loro padre non comprendesse che loro, dopo aver provato, non avrebbero proseguito nel cammino. Ricordo con grande dispiacere le discussioni in sede di consulta diocesana dei movimenti in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Cagliari nel 1985: su sollecitazione dell'arcivescovo (l'attuale card. Canestri) fu presa la decisione di accogliere il Papa come Chiesa che è in Cagliari ed in Sardegna. Tutti i movimenti, tutte le componenti ecclesiali dissero all'unisono "si", venne predisposto un enorme telo con una frase di accoglienza comune per l'incontro coi giovani.... solo le comunità neocatecumenali dissero "NO", si arrivò allo scontro fisico in occasione della riunione di preparazione tecnica dell'incontro coi giovani.... durante la messa con oltre duecentomila persone davanti alla Basilica di Bonaria, e durante l'incontro coi giovani (circa 45.000 da tutta la Sardegna) solo i neocatecumenali sciorinarono i loro cartelloni.

Ci furono momenti tristi e difficili che hanno marcato per oltre un decennio la vita delle comunità ecclesiali sarde. Ho vissuto la distruzione di due parrocchie nella mia città, laddove il parroco ed i suoi accoliti scelsero il cammino come espressione unica della vita parrocchiale, imponendo i riti rivisitati, l'agape pasquale invece della normale e già complessa e bellissima veglia pasquale, imponendo a tutti i gruppi -Legio Mariae, AC, Scout Agesci e Ages, Gruppi di preghiera di Padre Pio ecc.- la partecipazione al cammino per gli animatori. Quando anche la impossibilità di fare il lettore o cantare coi bambini a messa canti non della tradizione arguelloana. Ho partecipato ad avvenimenti internazionali ecclesiali (GMG, eec.) dove l'imposizione a centinaia di migliaia di persone di zone d'ombra, casomai con il Papa parlante, di gruppi di ballerini cembalisti in azione rendeva difficile la fruizione dell'avvenimento ai circostanti....

[...] Nel mio intervento ho messo alcune mie esperienze decisamente negative riguardo al cammino neocatecumenale. sarà che la mia formazione è totalmente ecclesiale, parrocchiale, di un movimento che si definisce "ecclesiale" tra i suoi fondamenti, con la vita nella e con la Chiesa locale tra i prodromi catechetici. Forse per questo non ho una gran simpatia in generale per i movimenti esclusivisti (come vengono definiti quei movimenti che includono un cammino totalizzante al loro interno, un cammino infinito, nel quale il catecumeno, il discente diviene membro di qualche cosa che non lo invia mai veramente, ma comunque lo ingloba in un sistema autoreferenziale. Il che di per se non è per forza negativo, penso alle famiglie neocatecumenali che divengono missionarie). [sic]

Ma credo che le "chiese nella Chiesa" siano comunque un problema, di esclusione della comunità generale cattolica. Laddove in una comunità parrocchiale un parroco si definisce "io sono del cammino, io sono scout, io sono carismatico, io sono focolarino, io sono di Cefa io sono di Caifa, io sono di tizio caio e sempronio" già elide fortemente il suo mandato parrocchiale e di missione nel popolo di Dio. Forse non sarebbe più giusto dire "Tra le altre io ho una formazione scoutistica, neocatecumena, gen...".

Una parrocchia dovrebbe essere aperta e disposta verso tutti, un luogo di accoglienza delle diversità dei carismi, senza per forza scegliere, ma dando forza e vigore alle varie proposte. Ciò purtroppo non è. E ciò è grave. [...] Davanti ad una proposta diversificante dal normale svolgersi della catechesi e del rituale liturgico, davanti a simboli e gesti esclusivi non SI PUÒ imporre ad una comunità parrocchiale di fare secondo il volere di un determinato gruppo, pur anche il più numeroso e forte nel contesto locale. La Chiesa che è in Italia ha scelto un suo movimento ufficiale nelle sue diverse declinazioni di età, l'Azione Cattolica, ma al fianco di essa possono esserci gli Scout, i gruppi di padre Pio, i gruppi del rosario perpetuo, il MEG, i Cursillos, i neocatecumenali, tutti membra dello stesso corpo mistico, tutti tralci della vera vite che è Gesù. Punto. Ma nel momento in cui qualcuno si arroga, che sia parroco, animatore, fondatore ecc. ecc. il potere di sovvertire questa particolarità nell'insieme dell'unicum cristologico, perdonatemi, ma per me si pone al di fuori del contesto ecclesiale. Chiunque, sia ben chiaro. Un po' quello che successe in Sardegna nel 1985, come narravo nel post precedente: quel grande momento di unità ecclesiale che doveva essere (e fu mi preme dirlo) la visita apostolica del Beato Giovanni Paolo II in Sardegna fu minato da una scelta incomprensibile delle comunità neocatecumenali di tutta l'Isola, soprattutto nel momento speciale della celebrazione eucaristica alla Basilica della Madonna di Bonaria, patrona della Sardegna e dell'incontro con i giovani. Essere gli unici riconoscibili , quasi a voler dire "Noi siamo noi... gli altri... boh" fu una scelta di non accettazione anche della potestà pastorale dell'arcivescovo di Cagliari e di tutti i vescovi sardi, che chiamavano e chiedevano di presentare al Papa la Sardegna Cristiana, cioè di mostrarsi uniti nella stessa fede in Cristo, non in Kiko Arguello, Chiara Lubich o Sauro de Luca. Ancora oggi, a oltre 26 anni da quel momento, la ferita in Sardegna non è risanata.

La negazione della gestione comunitaria fu categorica. Rimembro che una delle affermazioni era che i rappresentanti presso la consulta non lo erano per decisione generale, ma quasi per scelta personale, e con ciò non intendevano decidere per le altre comunità. E che comunque loro interpretavano il pensiero comune delle varie realtà neocatecumenali, e su quel punto furono intransigenti. Però un loro rappresentante salì al leggio per declamare cantilenata una delle letture della messa papale, senza che ciò fosse stato concordato..... una lettura proclamata ed una cantata....

[...] Certo Giovanni Paolo II era lieto di vedere gli striscioni neocatecumenali ovunque andasse... io le chiedo: ma gli altri cattolici del luogo, casomai intenti a salutare il Santo Padre forse non potrebbero "sentirsi prevaricati" dal canto urlato o dallo striscione sciorinato ovunque e comunque in ogni situazione senza rispetto della stessa, senza preoccuparsi minimamente di non essere i soli, ma di essere membra vive, tralci di uno stesso corpo, non albero della vita il quale è SOLO IL Cristo IN CROCE? Ho una vastissima esperienza di incontri internazionali e, le posso assicurare che più di una volta mi son trovato nella condizione, accompagnando gruppi o accompagnato quando adolescente, di esser costretto a spostarmi per la formazione dei circoli danzanti neocatecumenali. A Longchamps, a Parigi, durante la preparazione della Veglia e dopo la veglia della GMG vennero fatti diversi annunci in più lingue invitando al rispetto del silenzio e della preghiera comunitaria.., ed in almeno un caso vennero esplicitamente invitati i gruppi neocatecumenali danzanti ad interrompere per rispetto delle prerogative altrui. Questo è il punto di non ritorno del problema e se lo si vuol capire lo si capisca, altrimenti, come nel 1985 a quella riunione, ognuno per la propria strada. [...] Quando nel 1985 le comunità neocatecumenali della Sardegna decisero di non vivere quel momento di unità della Chiesa che è in Sardegna intorno al Proprio pastore Universale ed ai Propri Pastori locali, furono loro a mettere un muro di incomprensione ed incomunicabilità. [...] L'essere invitato a non legger più (da lettore regolare) in quanto non ossequiante alle disposizione arguellane, beh, mi permetto di dirle che non mi fece molto piacere. [...] io non critico l'appartenenza ai movimenti, non critico la prevalenza o meno di un carisma, ben comprensibile dalle mie parole. La mia formazione è movimentista, ma ecclesiale e parrocchiale. La mia critica è all'assolutizzazione, alla non accettazione che ci possano e debbano essere dei momenti nei quali la Comunità ecclesiale si riunisce in un solo corpo mistico eucaristico, fa Eucaristia per se stessa in quanto tale, Ecclesia. Mi scusi, mi pareva di essere stato semplice e chiaro quando facevo i miei riferimenti. Se una parrocchia è francescana affianco al gifra è giusto che ci sia anche l'agesci e l'azione cattolica, e affianco al terz'ordine francescano puo appalesarsi anche il cammino come i cursillos, ma sempre nel rispetto della universalità nella diversità, non nella assolutizzazione della propria specificità carismatica. Questo non può e non deve essere: il parroco darà del suo tempo secondo le necessità, la chiesa, i locali parrocchiali saranno dati in uso a seconda delle necessità. Ma se c'è il triduo pasquale, è quello della parrocchia. Altre realtà liturgiche e paraliturgiche possono essere svolte ma nel rispetto della comunità. Questo dice la prassi parrocchiale, e così dovrebbe essere secondo la dottrina sociale della Chiesa cattolica.

Nello specifico poi della scelta natalizia di mio zio, fermo restando la partecipazione familiare alla vita della chiesa cagliaritana e la comune fede in Cristo, il problema non è l'agape natalizia neocatecumenale ma lasciare la propria famiglia la sera del Natale, magari con il resto della famiglia che si reca divisa dal proprio padre marito zio ecc. alla messa di mezzanotte.... ecco forse questo discorso può essere fonte di disturbo. Credo che il momento nel quale una qualsiasi realtà di movimento ecclesiale ( e specifico "qualsiasi") si interpone alla concordia ed alla pace familiare, soprattutto alla luce di discorsi comuni di fede, diventa occasione di scandalo, biblicamente parlando. Un movimento che divide (in questo caso specifico, ovvio) dovrebbe porsi il problema se quel neocatecumeno debba fare determinate scelte, con il rischio di fratturare la pace familiare, o porsi in discussione accettando il fatto di rinunciare ad un momento della comunità allargata neocatecumenale, ma celebrando la comunità centrale della propria scelta di vita, la famiglia. [...] Un esempio? Personalmente trovo aberrante l'udienza che i Pontefici accordano ai "Vescovi amici dei Focolarini", ecché e tutti gli altri? Son dei Pària? A questo tipo di atteggiamenti, ai vescovi che scelgono un movimento, che osteggiano un movimento, che negano i locali agli scout o che non celebrano le cresime in una parrocchia perché c'è il ritiro di un movimento in contemporanea... quanti sono gli esempi delle conflittualità tra movimenti nelle consulte diocesane, quante le ripicche, il guardarsi in cagnesco, il dire picche al proprio vescovo quando a livello diocesano viene organizzato un incontro per i giovani, una veglia di preparazione alla pasqua, ecc., c'è la guerra per i canti da fare, per chi deve leggere, per la durata, per chi stampa, per chi addobba, e poi c'è il problema degli animatori che non possono accompagnare i giovani ed allora un determinato movimento si sfila... ma cosa scrivo cose strane? Negare tutto ciò è negare l'evidenza. [...] e solo nella stragrande parte dei casi i Neocatecumenali si distinguono dal coro? [...] Ma niente, davanti alla Madonna di Bonaria, quando tutti si presentarono come un cuor solo ed un'anima sola al successore di Pietro, stridettero come gesso sulla lavagna quegli striscioni [neocatecumenali], quei girotondi fatti mentre si provavano i canti assembleari.

[...] è stato un piacere, ma dovevo capirlo da subito, se si partecipa ad una discussione che si intitola "cammino neocatecumenale" non si può sperare che delle considerazioni come quelle che ho postato al principio di questa schermaglia possano essere comprese, bensì osteggiate. [...] è un po' come le canzoni del vostro repertorio, ottime per voi, inserite nei vostri contesti del cammino, assolutamente indigeste per una assemblea ecclesiale.

[...] Dire che il cammino neocatecumenale troppo spesso non è la strada comune segnata dalla Chiesa, ma è una strada ad uso esclusivo del cammino neocatecumenale non vedo cosa abbia di offensivo o errato. Il vostro cammino è autoreferenziale e chiuso. Punto. Nell'ambito della Chiesa è il vostro cammino. Ma non può divenire il cammino obbligato in una parrocchia o essere motivo di discordia.

sabato 25 febbraio 2012

Metamessaggi rispediti ai mittenti per chi vorrebbe innescare una subdola "guerra di nervi"

E' da ieri che qualche 'spigolatore' troppo interessato mi lancia dei metamessaggi molto sul personale, facendo mostra di conoscermi molto bene. Prima che questo gioco perverso continui, lo rinvio al mittente e gli lancio il mio di messaggio.

Ebbene, crede forse l'addestrato violatore della privacy di coinvolgermi in una sorta di "guerra dei nervi"? Per giocare a questi giochi malsani bisogna essere in due.

Caro Anonimo che si improvvisa anche poeta, giochiamo a carte scoperte. E' più umano; ma anche più cristiano, mi sembra. E riflettiamo un attimo a quale ignobile livello di intenzionalità perversa, martellante malevolenza sia scaduto, dietro a melliflue parole...

Se con questa manovra subdola pensate di scoraggiarmi o di farmi paura, vi sbagliate di grosso. Invece potrei credere che sia la vostra paura a darmi uno 'strano' potere che esiste solo nella vostra fantasia malata. E cosa temete ora che è tutto - o quasi - approvato? E a che livelli siete ancora capaci di scendere per tentar di zittire chi non ha intenzione di adeguarsi o di capitolare di fronte al vostro apparente onnipotere?


Avrei potuto ignorare questo sgradevole intermezzo; ma ho desiderato condividerlo con voi tutti, salvo a ignorare fin da ora ogni ulteriore provocazione.

venerdì 24 febbraio 2012

Non padroni, ma servi della Liturgia

Questo è l'articolo n° 1.000 su questo blog e sono felice che sia contraddistinto dal contenuto che vi propongo: due stupende conversazioni sulla Sacra Liturgia di d. James DeViese vicario parrocchiale di St. Anthony, Follansbee, West Virginia agli studenti della Franciscan University di Steubenville (Ohio).
Ci conferma e ci conforta nel nostro 'sensus fidei' cattolico, così calpestato dal movimento che "osserviamo" più da vicino di altri. E vorrei tanto che anche i nostri interlocutori riuscissero a trarne le dovute riflessioni nei confronti del loro sincretistico rito...


Orientamento al Signore, servizio liturgico e fedeltà al rito: le caratteristiche del vero culto.

Costruire una pastorale liturgica attraverso il ministero
di d. James DeViese

In questa riflessione, intendo esaminare la liturgia da un punto di vista pastorale e pratico. Esploreremo brevemente le questioni che ho posto nella mia precedente conversazione [trascritta di seguito]: il come, dove, chi e che cosa della Messa. Guarderemo alla vera natura del ministero, daremo un rapido sguardo al ministero pastorale, e faremo un accenno a due delle frasi che circolano di più nella liturgia odierna: l'"ermeneutica della continuità" e l'"arricchimento reciproco".

1. L'orientamento della Liturgia

Quando si usa il termine "orientamento" riferito alla Messa, la maggior parte della gente subito pensa al sacerdote "che volge le spalle ai fedeli" o "tutti rivolti verso la stessa direzione" o "tutti rivolti ad oriente". Libri come "Spirito della Liturgia" del Cardinal Ratzinger e "Volgersi verso il Signore" di Michael Lang hanno affrontato in modo convincente questo tipo di orientamento liturgico dal punto di vista storico, teologico e spirituale. Non ripeterò perciò tutto quello che essi hanno già detto o scritto.

Intendo concentrarmi invece su un aspetto più fondamentale dell'orientamento liturgico, e cioè sul punto focale del culto liturgico. Nell'era post-moderna, il culto liturgico viene ridotto ad "atto della comunità" che si indirizza, attira l'attenzione e si concentra sull'assemblea riunita. Canti come "Raccoglici insieme", "Noi siamo la Chiesa" ecc., hanno consolidato questa tendenza nella mente di tanti cattolici. Abbiamo perso contatto con il vero scopo della sacra liturgia, che è il culto di Dio, e Dio solo.

Mi trovo a dovermi confrontare quasi ogni giorno con i miei parrocchiani, cercando di far capire loro la ragione per cui celebriamo la Messa, e perché è importante. E ripeto sempre lo stesso concetto: "non c'è niente di più sublime o più profondo dell'azione sacra con la quale rendiamo culto al Dio unico, vivo e vero. Ripeto ancora: "Non c'è niente di più sublime e più profondo dell'azione sacra con la quale rendiamo culto al Dio unico, vivo e vero". Tutti i nostri sforzi e la disposizione della nostra mente e del nostro cuore si devono focalizzare univocamente su questa realtà. La Messa è per Dio, non per noi.

Non è certo una frase popolare questa, ma lasciatemi spiegare. Il Divino Sacrificio della Messa, in quanto è la ri-presentazione incruenta del sacrificio di Cristo sul Calvario per la salvezza del mondo, attualizza ogni volta per noi la salvezza nella quale siamo stati battezzati e nella quale siamo tutti membra del Corpo Mistico. Il sacramento della santa Eucaristia, reso presente nella Messa, è - come tutti i sacramenti - per la santificazione e l'edificazione del popolo di Dio. Ma nella sua essenza, la Messa resta il nostro atto di culto a Dio - il nuovo sacrificio del tempio, l'agnello senza macchia immolato dal sacerdote nel Santo dei Santi ad espiazione del peccato - l'offerta del popolo a Dio perché sia a Lui gradita. E' così che si rende culto, né più né meno!

Eppure, non è affatto raro vedere quanto ciò sia trascurato, ridimensionato o perfino del tutto rigettato in favore di una interpretazione più protestantizzata, post-moderna, chiusa dentro la comunità autoreferenziale, privando così la Messa del suo significato di culto indirizzato al Divino, e lasciando il guscio vuoto di una riunione che celebra gli esseri umani e il loro rapporto con Dio (che - avete mai notato?! - è sempre perfetto). E' questa la mancanza di orientamento di cui sto parlando.

Ora, per non sembrare unilaterale, c'è realmente un aspetto "noi" nella Messa. Mons. Guido Marini nella sua relazione ad "Adoratio 2011", la prima Conferenza internazionale sull'Adorazione eucaristica tenuta a Roma nel giugno dell'anno scorso [2011], parla della necessaria relazionalità della Messa. Afferma: "siamo richiamati ad alcune delle dimensioni tipiche ed indispensabili della liturgia. Mi riferisco innanzitutto alla dimensione della cattolicità, costitutiva della Chiesa fin dall'inizio. Nella cattolicità, l'unità e la varietà si uniscono in armonia tanto da formare una realtà sostanzialmente unita, malgrado la diversità legittima delle forme.

E poi c'è la dimensione della continuità storica, in virtù della quale lo sviluppo ordinato appare essere quello di un organismo vivente che non rinuncia al suo passato, progredisce nel presente ed è orientato verso il futuro. E ancora vi è la dimensione della partecipazione alla liturgia del Cielo, per cui è appropriato parlare della liturgia della Chiesa come dello spazio umano e spirituale nel quale il Cielo scende sulla terra. Solo per fare un esempio, considerate le parole della prima Preghiera Eucaristica, quando domandiamo: '..fa' che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull'altare del cielo, davanti alla tua maestà divina..'.

E per ultimo, c'è la dimensione della non-arbitrarietà, che evita la soggettività del singolo o del gruppo, e che appartiene invece a tutti come dono ricevuto, da custodirsi e trasmettere. La liturgia non è una sorta di intrattenimento dove uno si sente di dover aggiungere o sottrarre all'improvviso qualcosa a seconda del proprio gusto per soddisfare la propria bella creatività. La liturgia non è un festino in cui si deve sempre trovare qualcosa di nuovo per suscitare l'interesse dei partecipanti. La liturgia è la celebrazione del Mistero di Cristo dato alla Chiesa, nel quale siamo chiamati sempre ad entrare con grande intensità, soprattutto in virtù della ripetizione provvidenziale e sempre nuova del rito.

Per entrare nel "noi" della Chiesa mediante l'Eucaristia, significa anche essere trasformati nella logica di quella cattolicità che è amore, o l'apertura del cuore secondo la misura del Cuore di Cristo. Essa abbraccia tutto, piega l'egoismo alle esigenze del vero amore, ed è disposto a dare la vita senza riserve. L'Eucaristia è la vera sorgente d'amore della Chiesa ed è nel cuore di ciascuno. Dall'Eucaristia la Chiesa prende forma ogni giorno nell'amore, che è lo stile evangelico al quale siamo chiamati".

Dobbiamo dunque cambiare la nostra mentalità su come accostarci alla Messa e all'Eucaristia. L'orientamento non deve essere verso se stessi, ma ad un autentico volgersi interiore verso il Signore.

2. Il servizio liturgico

Avendo ora una migliore comprensione della natura dell'atto liturgico e il fine proprio al quale esso è diretto, possiamo guardare qual è la nostra funzione all'interno dell'azione sacra. Pongo perciò la domanda: che cos'è un ministro? Il termine "ministro" viene dal latino "ministrare", che significa "servire". "Minister" in latino è un servitore. Pertanto, per comprendere nel modo giusto il ruolo di un ministro, dobbiamo accettare che il rapporto tra liturgia e ministro sia un rapporto di subordinazione, di servizio. Il servo non cerca di dominare il padrone, di sottometterlo, di piegarlo alla propria volontà. Il servo buono e fedele è quello che si compiace di essere umile e obbediente. E la ricompensa del servo buono e fedele è la fiducia e l'ammirazione del padrone, che conduce ultimamente a maggior libertà.

Come ministri della sacra liturgia, noi siamo per prima cosa servitori della liturgia, servitori della Chiesa. Anche la parola "liturgia" denota questa relazione. La sua radice in greco, si dice comunemente che voglia dire "l'opera del popolo" - e ciò era e rimane lo slogan tanto sbandierato dai sapienti progressisti per giustificare le grandi libertà che si prendono con la Messa. Tuttavia, "liturgia" è composta da due termini greci: "laos" che significa popolo o il pubblico, e "ourgia", che significa "servizio". Liturgia non è "l'opera" del popolo, ma "il servizio" del popolo.

Quali ministri della sacra liturgia, noi siamo in fondo dei servi che non devono presumere di imporre il proprio stile, atteggiamento, ideologia ecc., sulla liturgia. La nostra missione non è di creare la liturgia, ma di essere formati dalla liturgia. Come servitori, la nostra missione è di presentare fedelmente al popolo di Dio la liturgia come ci è donata dalla Chiesa per la nostra edificazione e santificazione, e ciò può essere fatto solo in uno spirito di vero e umile servizio.

Qual è dunque la nostra ricompensa per essere servi buoni e fedeli? Tanto per cominciare, va da sé che l'adesione alla Chiesa e la fedeltà ai suoi comandi sono graditi a Dio e, sullo stesso piano d'importanza, serve per soffocare il peccato dell'orgoglio nel nostro cuore. Fedeltà e umiltà nel ministero sono al cuore della liturgia. Se guardiamo ai santi, possiamo vederne tanti che sono cresciuti nella santità semplicemente mettendo la Chiesa al di sopra dei propri bisogni e desideri. Santa Teresa del Bambin Gesù scrive mirabilmente di quanto amasse fare la sacrestana, lucidare i vasi sacri e stendere sull'altare le tovaglie e i paramenti, tanto che non avrebbe voluto essere in nessun altro posto diverso da quello. Potrà sembrare eccessivo ad alcuni, ma il suo amore era radicato nel fatto di essere una vera e umile serva. Aveva capito così bene la profonda natura della sacra liturgia che, come la donna evangelica che soffriva di emorragia, desiderava toccare il lembo del mantello di Cristo per sentirsi realizzata dalle più semplici e umili delle azioni. Questa è un'immagine che dovremmo portare sempre con noi quando ci accostiamo alla sacra liturgia da veri ministri.

3. Essere "pastorali"

Senza ombra di dubbio, il termine più abusato e male usato nel vocabolario ecclesiastico post-conciliare è "pastorale". Per quelli che sono attorno ai cinquant'anni, è una parola che è diventata sinonimo di un atteggiamento disposto a infrangere qualsiasi regola, direttiva e norma, a qualsiasi livello, per rendere più facile la vita. Dalla mia esperienza di avvocato canonista, ricevo costantemente critiche da parte dei miei superiori ogni volta che emetto una sentenza negativa nei casi di nullità matrimoniale. La ragione è sempre la stessa: non è "pastorale" non dare alla gente quello che vuole. Ovviamente, rispondo che non dipende da me se una persona ha contratto validamente o meno il matrimonio, che io sono obbligato alla verità, non a scansare la verità nell'interesse di lasciare la gente ad "andare avanti nella vita". Come potete immaginare, mi hanno bollato quale orribile conservatore non-pastorale e integralista che non gli importa della gente. Figuratevi!

Il termine "pastorale" è ovviamente un aggettivo che denota qualcosa che attiene "al pastore od è come un pastore". Almeno questo era il significato originario. E io sono qui a dichiarare che è giunta l'ora che questa parola venga liberata da coloro che se ne sono impossessati, gli antinomisti [NdT: seguaci della dottrina eretica che sostiene essere inutile e non obbligante obbedire alla legge morale, in quanto giustificati per la sola fede - vedi QUI), e torni al suo significato più naturale. Per una nuova definizione di "pastorale", mi avvalgo di un'idea di Jason Pennington, autore del saggio "Il musicista pastorale: un vero pastore o un ladro alla porta?" pubblicato il 29 dicembre 2005 sul blog "Christus vincit". Mentre Pennington orienta tutte le sue osservazioni sul concetto di musicista pastorale, io prendo a prestito il suo paradigma di base con la speranza di allargarlo e di applicarlo per la riabilitazione di questa povera, pietosa parola.

Pennington scrive: "La risposta più semplice ed immediata alla domanda di cosa significhi essere pastorale, è: agire come un pastore, pascere il gregge. La tradizione occidentale permea la nostra percezione del 'pascere'. Il poeta romano Virgilio descrive con vivida immaginazione la vita pastorale (o bucolica) nella Egloga. La letteratura, lungo i secoli, sia religiosa che laica, offre varie descrizioni di pastorale. La vita pastorale è calma e gentile, è pacifica e serena. Gli agnelli saltellano mentre il pastore suona il flauto sotto l'ombra di un grande albero.

L'analogia con il Salmo 23 è notevole, guardiamo infatti come si armonizza: "Il Signore è il mio pastore; non manco di nulla". E' il Signore che ha la supremazia, è il Buon Pastore, il vero pastore, e si prende cura di tutte le mie necessità. Essere pastorali vuol dire vegliare sui bisogni del gregge, far sì che riceva il meglio. Notate che non vi è cenno di quello che il gregge "desidera". Il vero pastore sa quello che ci vuole. Non si preoccupa di quello che manca. "Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia". Il ministro pastorale crea un'atmosfera di pace e di sicurezza. Non sovraccarica il gregge, cerca piuttosto di ringiovanirne lo spirito - ancora una volta, con quello di cui ha bisogno, non con quello che vuole.

"Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza". Qui arriviamo al cuore della questione. Il rapporto tra pastore e gregge non è tutto rose e fiori! C'è il bastone e il vincastro. Pennington scrive: "il bastone e il vincastro del pastore hanno due scopi. Il pastore li usa come armi per tenere lontano i pericoli dal suo gregge. Li usa anche per tenere ben ordinate le pecore. Il bastone del pastore ha dopo tutto un'estremità ricurva per trattenere la pecora che si è smarrita. Certamente, il vincastro e il bastone confortano perché proteggono dai pericoli, ma dispensano anche disciplina. Il pastore dà alle pecore ciò che vogliono, ma soprattutto, dà quello di cui hanno bisogno, che piaccia o no. Conduce il gregge a gustosi pascoli, ma lo tiene anche insieme sulla buona strada. Se il pastore desse loro solo quello che vogliono, il gregge si frazionerebbe e vagherebbe in tutte le direzioni: "noi tutti eravamo sperduti come pecore" (Is. 53, 6).

Il gregge vuole ed esige di essere viziato, di essere coccolato. Ma questo non è essere pastorali, semmai è non fare loro favori. Uno dei miei professori di diritto canonico a Roma spiegava il termine "pastorale" così: "Il vero strumento pastorale risiede nell'osservare la norma, non nell'ignorarla". Il nostro dovere sempre è di garantire i diritti di tutti. L'autentica giustizia cristiana esige che noi garantiamo i diritti del fedele cristiano. Ogni volta che si viola una regola per essere "pastorali" con qualcuno, allora si violano i diritti di un altro. Se io altero le parole della consacrazione nella Messa perché sarebbe "pastorale" per i bambini ai primi banchi, allora io in realtà violo il loro diritto a ricevere i sacramenti e la liturgia della Chiesa, così come intende la Chiesa. Se siamo ministri pastorali, non possiamo garantire i diritti dei fedeli cristiani infrangendo le regole, ignorando le norme o schivando i problemi. E' vero, può essere che la gente non apprezzi ciò che facciamo; penserà che siamo duri o perfino arbitrari. Ma, ancora una volta, un ministro pastorale è alla fin fine solo quello che le parole descrivono: un servitore che pasce.

4. Liberarsi dagli anni Settanta

Negli ultimi anni, nuove espressioni e parole di moda sono apparse sul nostro vocabolario. Si parla di "una riforma della riforma", di un "nuovo movimento liturgico", di una "ermeneutica della continuità", e dell'"arricchimento reciproco" delle due forme del Rito romano. Sono espressioni che danno vigore ai giovani esperti conservatori, ma che fanno paura e gettano nella frustrazione i vecchi "progressisti", senza dubbio! Ma dobbiamo sempre essere attenti a come li affrontiamo.

Siamo ministri della liturgia in un tempo in cui corriamo il rischio di infliggere sulla liturgia gli stessi abusi scriteriati e arbitrari che la liturgia ha patito dai liturgisti "progressisti". Occorre fare ben attenzione che ciò che facciamo nella liturgia riguardi solo la liturgia, e non le nostre opinioni o ideologie. Potrei fare un elenco di centinaia di cambiamenti che mi piacerebbe fare alla mia celebrazione della Messa in nome della "continuità" o dell'"arricchimento reciproco". Ma io sono legato a una lealtà alla Chiesa molto più grande delle mie preferenze personali. Lo stesso è vero per tutti i ministri della liturgia.

Allora, come si conciliano le due vie: arricchimento reciproco e fedeltà ai libri liturgici? Prima di tutto, si deve tracciare una linea chiara. Abbiamo il dovere sempre di essere fedeli ai libri liturgici, così come la Chiesa ce li ha dati. A questo fine, modificare la Forma Ordinaria del Rito Romano per conformarlo di più alla Forma Straordinaria (o viceversa), è qualcosa che può avvenire solo quando i libri liturgici e gli stessi documenti fanno esplicita concessione per l'innovazione, o quando le rubriche e le norme lo diano per sottinteso, prestandosi così a qualche arricchimento.

"L'arricchimento reciproco" dei due Riti Romani è qualcosa che è ovviamente desiderato dal Santo Padre, come ha dichiarato nella sua lettera di accompagnamento ai Vescovi sulla promulgazione del Motu Proprio "Summorum Pontificum". Segue logicamente una discussione sulla "ermeneutica della continuità" - l'accentuazione sulla continuità tra i riti precedenti e quelli attuali, opposti alla "ermeneutica della rottura" che sembra ricevere l'attenzione maggiore degli esperti negli ultimi quarant'anni. La grande ironia è la sostituzione della retorica di quarant'anni fa. Quando si introdusse per la prima volta il Novus Ordo Missae, i liturgisti gli diedero credibilità esaltando la sua conformità ai sani criteri storici, dicendo che in realtà si trattava di un recupero di una forma di culto molto più antica. E i contrari che affermavano che si trattasse di una rottura con la tradizione, erano coloro che sarebbero diventati i seguaci dell'Arcivescovo Lefebvre e soci. Come cambiano i tempi!

Tutto sommato, c'è molto spazio per cercare di capire meglio tutti questi criteri. Ciò che ho presentato qui è soltanto la punta dell'iceberg. C'è spazio per altre discussioni e per altre esplorazioni. E gli esempi sono fin troppo numerosi per cominciare a farne una lista.

5. Conclusione

In conclusione, vorrei riflettere brevemente sul quadro principale. Tutto ciò che ho trattato in questa conversazione è indirizzato a un gruppo di persone impegnate che servono la Chiesa e le loro comunità nel modo specifico della sacra liturgia. La nostra missione, comunque, non dev'essere quella di raccomandare il self-service. Abbiamo anzi esplorato i principi che dovrebbero essere al primo posto nella coscienza di ogni cattolico: il vero orientamento della liturgia, la vera natura della pastoralità, i fondamenti divini dell'autorità, la necessità della vera fedeltà, ecc.

Come ministri della sacra liturgia, incombe su di noi il mandato di catechizzare bene quelli che serviamo e di disporli degnamente a ricevere la ricchezza che offre il Rito Romano. Troppo spesso sorvoliamo sul Rito Romano e ci lasciamo ipnotizzare dalle campane, dal fumo e dai canti di altri riti, e cerchiamo di integrarli (senza che ve ne sia bisogno e illecitamente) ai nostri riti per "abbellirli". Ma il Rito Romano è integrale e completo. E vorrei dire che abbiamo il dovere morale di esplorare il nostro patrimonio per cercare di scoprire i tesori nascosti dei nostri riti e recuperarli entro i parametri dei nostri paradigmi liturgici correnti, per la gloria di Dio e l'edificazione della Sua Santa Chiesa. E' in questo modo, in ultima analisi, che il nostro Maestro e Signore ci può vedere suoi servi buoni e fedeli, servitori e ministri di ciò che la Chiesa ha affidato alla nostra cura.

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L'antinomismo e la Sacra Liturgia
di d. James DeViese

Vorrei esaminare alcuni aspetti chiave dei nostri rispettivi ruoli di servitori e ministri della Sacra Liturgia, e quali iniziative pratiche possiamo porre in atto per aiutare coloro che serviamo a fare una forte esperienza liturgica.

Parlerò innanzitutto dell'antinomismo e della Sacra Liturgia; dell'antinomismo (1) in generale, che cosa s'intende con questo termine e come si rapporta con la comprensione cristiana della legge. Poi, esaminerò l'applicazione dei principi antinomisti nella celebrazione dei sacri riti. Ed infine vi presenterò alcune preoccupazioni generali e specifiche riguardo al futuro della prassi liturgica.

1. L'antinomismo in generale

Padre John Coughlin, professore di Diritto Canonico e Teologia all'Università di Notre Dame, nel suo intervento alla Conferenza degli avvocati civili e canonisti tenutasi a La Cross in Wisconsin, nell'agosto del 2010, dichiara in termini decisi: "L'antinomismo riduce o rifiuta la validità della legge".

Il termine "antinomismo" fu coniato nientemeno che da Martin Lutero, ed è composto di due parole greche 'anti' e 'nomos', letteralmente 'contro la legge'. Per ironia della sorte, il termine fu impiegato da Lutero per descrivere in modo peggiorativo quei protestanti che aderirono alla dottrina eretica della "Sola Fide" - giustificazione solo per fede - e che deviarono in modo ancora più radicale di quanto non avesse fatto originariamente Lutero stesso. Il senso fondamentale antinomiano rimane comunque chiaro: rifiuto della legge stabilita (sia essa divina, naturale o positiva).

In una prospettiva storica, il sistema religioso giudaico-cristiano si è sempre fermamente basato sulla prevalenza della legge. Fin dai giorni di Mosè, gli aderenti alla fede abramitica hanno sempre compreso che vi è una intrinseca relazione tra il compiere il proprio dovere con Dio e obbedire alla legge di Dio. In effetti, l'uno conduce in modo naturale verso l'altra, poiché per piacere a Dio occorre seguire i suoi comandamenti. Appare molto chiaro nell'Antico Testamento che il rifiuto dell'autorità di Dio, la non accettazione appunto della legge divina, naturale e positiva, va presto incontro alla sua retribuzione: il diluvio universale, i quaranta anni nel deserto, Sodoma e Gomorra, l'esilio babilonese, ecc. Praticamente, ogni prova e tribolazione del popolo ebraico nell'Antico Testamento ha la sua radice nel rifiuto umano della legge.

Nel Nuovo Testamento, le fazioni pro o contro l'antinomianismo sono in continua polemica tra loro per stabilire da quale "parte" stiano i vangeli sul tema dell'adesione alla Legge. Ci sono prove in abbondanza per l'una e l'altra fazione. Riserverò l'approfondimento dei particolari per gli studiosi di Sacra Scrittura e di Teologia.

Per quanto se ne dica, un dato di fatto è chiarissimo: Dio ha creato un mondo ordinato sul quale ha imposto una gerarchia di autorità, sia in terra che nei cieli, per preservare la salvezza dell'uomo. Tale autorità, radicata nella legge divino-naturale e compiuta dalla volontà di Gesù Cristo nel trasmettere la Sua stessa autorità a Pietro e agli apostoli, è finalizzata alla crescita spirituale del Popolo di Dio per raggiungere lo scopo da Lui voluto: la vita eterna con il nostro Creatore nella Gerusalemme nuova.

Dichiarare che noi sperimentiamo, per paradosso, vera libertà quando aderiamo alla Legge, non è più irrazionale di quanto non lo fosse per Sant'Agostino affermare lo stesso concetto, dicendo che la libertà dal peccato si ottiene mediante la schiavitù alla volontà di Dio. Una vera adesione a Dio esige la nostra adesione a quelle leggi che Lui e la Santa Chiesa ci hanno dato, attraverso la legittima autorità conferitale e portata avanti con la successione dei Papi e dei vescovi.

L'antinomismo porta fuori dalla retta comprensione della Chiesa quale vera Sposa di Cristo che governa con la Sua stessa autorità sulla terra. Ma per il credente cattolico, rifiutare l'autorità della Chiesa è rifiutare l'autorità di Cristo, e quindi Dio stesso.

L'antinomismo in America ha una lunga storia. Si può dire che ha avuto il suo influsso nel dare origine alla rivoluzione americana, al suffragio delle donne, ai diritti civili, ecc. Pur essendo cose buone in se stesse, il retroterra antinomista che ha contribuito a portare quei movimenti alla pubblica attenzione e a renderli vincenti, si è però anche infiltrato nel pensiero della Chiesa negli Stati Uniti.

Si deve, tuttavia, fare una distinzione tra autorità derivata da Dio e quella stabilita dall'uomo. Dobbiamo sempre considerare la Chiesa per quello che essa è veramente: una istituzione divina donata all'uomo per la sua santificazione. L'ordine civile cerca legittimamente di invertire il rapporto: l'uomo stabilisce l'ordine per il bene comune imitando i precetti divini. La prima è il modello tipico dall'alto al basso; il secondo dal basso verso l'alto.

Come si presenta dunque l'antinomismo nella Chiesa americana? Uno degli esempi più evidenti è l'assenza significativa, in questo Paese, dei Capitoli di Canonici della Cattedrale. Quando si formarono le prime Diocesi degli Stati Uniti, la legge che disponeva che ogni Cattedrale avesse un Capitolo di Canonici, fu praticamente ignorata ovunque. L'unica ragione addotta fu che la Chiesa in America si considerava un nuovo ordine di Chiesa, tale da non dover più essere confinata nei ceppi della cultura europea da cui fuggivano tanti migranti. "Ridurre o rifiutare la validità della legge" per corrispondere ai desideri dei pochi a danno dei molti.

2. L'antinomismo e i riti sacri

Per quanto attiene ai sacri riti della Chiesa, vale la pena sottolineare che i riti liturgici predisposti dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, approvati dal Sommo Pontefice, possiedono la forza della legge. I libri liturgici, di per se stessi, costituiscono un rito giuridico la cui essenza è sia spirituale che strutturale. E tuttavia, in tutta la storia della Chiesa c'è sempre stata una lotta tra due poli: quello che cerca di imporre la struttura e quello che cerca di svincolarlo da tale struttura.

Fin dalla fine del primo secolo, la Chiesa ha cercato di dare una struttura al modo di celebrare dei cristiani e di renderla normativa. Ce lo confermano numerose fonti della primitiva celebrazione cristiana, quali la Didachè, i frammenti di Ippolito, l'Apologia del Santo martire Giustino e altri. Dai quei primi tempi, l'intento dei Vescovi e del Papa è stato di vigilare affinchè la celebrazione dei Sacramenti fosse sempre ortodossa e fedele. L'imposizione dei libri liturgici si rese necessaria fin dal terzo e quarto secolo per custodire l'integrità dei sacramenti, in particolare il Divino Sacrificio della Messa, e tutto in nome dell'antica massima "Lex orandi, Lex credendi".

Molti "studiosi" oggi non accettano la prassi di imporre libri liturgici, considerandola anatema al vero "culto". E' un falso significato del culto che proviene dall'adozione modernistica di antinomismo. Quanti di noi hanno sentito frasi del tipo: "Sì, so cosa dicono i libri liturgici, ma ...", oppure "E' quello che fanno a Roma, ma qui non siamo a Roma", o "Noi facciamo diverso...", o ancora (la mia preferita) "Se il Papa vuole che lo faccia, che venga qui a farmelo fare!". Queste dichiarazioni irriverenti e provocatorie sono sintomatiche di un antinomismo profondamente radicato e che è prevalente nella Chiesa americana di oggi. L'intera concezione delle direttive liturgiche, delle sue norme e rubriche che hanno forza di legge, sono o sconosciute o semplicemente ignorate al fine di ritagliare i sacri riti sulla misura dei nostri gusti e preferenze. Se accadesse la stessa cosa con la Fede in generale, io credo che il termine adeguato alla situazione sarebbe "protestante", se non "apostasia".

Sono consapevole che la mia posizione sembri intransigente. Non per niente mi hanno affibbiato i soprannomi di "tradizionalista folle" e di "orrendo arciconservatore"! Ma è innegabile che c'è un legame diretto tra i principi antinomisti e il presente stato della liturgia nella Chiesa. Se ciò sia per ignoranza dei documenti ecclesiali, o per un rifiuto irrazionale, ideologizzato, o premeditato al limite del lecito delle norme liturgiche a favore di un'alterazione "protestantizzata" e motivata egocentricamente, o ancora - arrivo a dire - per'"abusare" di quanto ci è stato trasmesso come liturgia della Chiesa, una cosa è chiara: la riduzione o il netto rifiuto della validità delle norme liturgiche, in quanto vincolano per legge i ministri della Chiesa, è antinomismo allo stato puro e, ciò che più importa, può e deve essere definito vera e propria violazione della legge della Chiesa.

Gli stessi sacri riti costituiscono un'alleanza tra Dio e il Suo popolo, mediata dalla Chiesa, la cui autorità in materia spirituale deve essere ritenuta assoluta. Negli ultimi cinquanta anni, tuttavia, siamo stati testimoni di un sistematico sgretolamento dell'autorità della Chiesa, perpetrato non da una singola fazione o gruppo, ma causato da una varietà di fattori diversi, quali norme liturgiche i cui documenti sembrano spesso in conflitto tra loro o senza direttive chiare, la legge della Chiesa stessa che ha eliminato le relative sanzioni da comminare alle violazioni, le Conferenze Episcopali che spesso sminuiscono l'autorità dei singoli Vescovi, alcuni Vescovi e parroci che non si curano di legiferare e di emanare solide norme liturgiche, i cosiddetti "esperti" e "liturgisti" il più delle volte ideologi, il movimento ecumenico con il pretesto che "dobbiamo essere come gli altri, così piaceremo loro", e i fedeli laici con affermazioni come "anch'io devo avere un potere!". Di per sé, nessuna di queste istituzioni, gruppi o movimenti sono cattivi, anzi hanno un ruolo proprio e svolgono tutti una funzione nella Chiesa, per cui dare la "colpa" a una qualsiasi delle "cause" suddette per lo stato attuale della prassi liturgica, sarebbe irresponsabile e inesatto. Si può dire invece, essendo l'osservanza delle norme liturgiche l'intenzione della Chiesa e l'obbligo dei suoi ministri, che ogni realtà della vita della Chiesa ha contribuito, in maggiore o minore misura, a un generale antinomismo.

Alla luce di tutto ciò, pongo tre interrogativi: primo, perché succede? Secondo, come ci si è arrivati? E per ultimo, che cosa si può fare?

Le prime due domande stanno insieme. E' stato detto da alcuni studiosi che il tempo in cui si è celebrato il Concilio Vaticano II, e non il Concilio in sé, ha portato a molta di quella confusione che la Chiesa attraversa oggi in termini di atteggiamento dei credenti verso la Chiesa. Ripeto che non è un discorso sui meriti o le lacune dei documenti conciliari, ma la temperie di quegli anni. Che cosa voglio dire? Consideriamo l'ambiente sociale dei primi anni Sessanta. Le agitazioni sociali esplodevano a tutti i livelli, soprattutto negli Stati Uniti. Tra le battaglie per i diritti civili, la liberazione delle donne, "l'amore libero", le campagne contro la guerra, e un gran numero di movimenti contro l'establishment negli anni '60, la percezione del Concilio Vaticano II come un Concilio "modernizzante" che avrebbe spezzato le catene del Medioevo e avrebbe lanciato la Chiesa all'aggiornamento con quegli anni, contribuirono ultimamente a una cattiva comprensione di ciò che la Chiesa e il Concilio intendevano mettere in atto.

E' una percezione che è presente ancora oggi in non pochi ambienti nei quali circola abitualmente lo slogan "lo spirito del Concilio". Questo Concilio Ecumenico spesso vituperato porta perciò il peso di dover essere ancora veramente compreso, apprezzato e realizzato.

Similmente, si può dire che la riforma liturgica del '68-'69 di Papa Paolo VI con la promulgazione della prima edizione dell'attuale Messale Romano, aiutò a rafforzare questa erronea interpretazione del Concilio Vaticano II. Ancora una volta, occorre dire che la colpa non è del contenuto della Riforma, ma del momento storico in cui si è fatta la riforma, che sembrava dare ragione a quello che tanta gente, sbagliando, diceva già del Concilio: "Ehi, sta cambiando tutto! Niente più regole! Possiamo fare quello che vogliamo!".

In realtà, da una prospettiva storica e giuridica, nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Non voglio discutere né criticare la saggezza della riforma di Paolo VI. Ma la transizione apparentemente improvvisa da un sistema di riti liturgici pieno di norme e di regole, infrangere le quali costituiva spesso un peccato mortale per il sacerdote, a un sistema privo di penalità e con licenza apparentemente ampia data all'improvvisazione e a commenti ad libitum, a qualsiasi livello, era destinato fin dall'inizio a inaugurare un'epoca contrassegnata da un antinomismo in ebollizione e da desideri alimentati da agitazioni sociali nell'ambito civile. In punto di fatto, si trattò di una convergenza di due eventi innocui e (oso dire) necessari, associati in un clima sociale di opposizione all'establishment, per cui i sentimenti antinomisti esaltanti la libertà individuale fecero da perfetto contesto tempestoso perché le radici dell'antinomismo nella Chiesa penetrassero in maniera importante.

3. L'antinomismo ed il Messale Romano

Per questioni di tempo, non elencherò i molteplici esempi di antinomismo nella liturgia. Gli abusi inflitti sulla Sacra Liturgia negli ultimi quarant'anni sono troppi per essere descritti. Basti soltanto dire che ci sono state violazioni generalizzate delle norme e direttive liturgiche, causate da ignoranza o da rifiuto delle dette norme. Per essere onesti, la prima e seconda edizione del Messale Romano davano maggiore spazio alla "creatività" liturgica di quanto non faccia la terza edizione attuale (NdT, delle Conferenze Episcopali di lingua inglese). Il cambiamento più significativo tra la precedente e l'attuale edizione, è la notevole diminuzione in vari punti dei riti, della frase prima onnipresente "con queste parole o altre simili". In questa terza edizione del Messale Romano non risultano più accettabili le varie forme di saluti ed esclamazioni tanto comuni nella prima e seconda edizione. La scelta attuale della Chiesa, senza dare giudizi, è di non ritenere più accettabile l'atteggiamento disinvolto e a ruota libera nei confronti della liturgia, una permissività che non è più ammessa per parole alternative o non approvate nelle varie parti della Messa. Non sono più permessi, ad esempio, discorsi estemporanei durante il rito d'ingresso, l'atto penitenziale, ecc. Rimangono invece in quelle parti che l'Istruzione Generale del Messale Romano e le rubriche permettono ancora per commenti e introduzione.

Eppure, nella nostra esperienza di tutti i giorni, quanti preti seguono fedelmente la terza edizione del Messale Romano, o hanno smesso la vecchia abitudine di saluti e congedi superficiali o introduzioni alternative alle preghiere? Ancora una volta, la Chiesa ha cercato di ridurre le opzioni non per diventare più rigida ma per il vivo desiderio di custodire la dignità dei riti, non ammettendo l'abuso dei testi e delle consuetudini che possono essere (e spesso lo sono) in contrasto con la vera fede ortodossa che si manifesta nella Sacra Liturgia. Gli antinomisti cercano di diffamare e demonizzare la Chiesa bollandola di essere un'istituzione patriarcale che vuole solo "tenerci sottomessi e oppressi". C'è da chiedersi se Martin Lutero non venga evocato dagli opinionisti più loquaci che si scagliano contro il Magistero della Chiesa in questi giorni.

Per non sembrare unilaterale, guardiamo però anche all'alternativa dell'antinomismo "liberale". In effetti, ci sono altrettanti antinomisti dalla parte "conservatrice" (chiedo scusa per le crude etichette di 'liberale' e 'conservatore' che sono davvero inappropriate). Molti, sospinti verso espressioni più tradizionali della nostra unica Fede, si trovano in situazioni nelle quali anch'essi sbagliano nel voler modificare i riti secondo la moda antinomista per compiacere le loro esigenze. Non è per esempio raro ascoltare nelle Messe di esequie "Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem", quando gli attuali libri liturgici non permettono una tale alterazione del testo. Oppure, capita che un giovane prete tradizionalista incroci la stola sotto la casula o insista nell'indossare il manipolo, quando i libri liturgici in vigore non li ammettono (per la stola è esplicito, per il manipolo è oggetto di dibattito a vari livelli). Conta molto di più la fedeltà alla liturgia che non dire soltanto ciò che è contenuto nel Messale. C'è bisogno che si osservino tutte le norme e rubriche con la dovuta obbedienza e deferenza all'autorità della Chiesa, perché è l'unico modo che i ministri hanno per essere veramente "ministri, servi e servitori" della Sacra Liturgia, e non legislatori di propria iniziativa.

4. Suggerimenti per la discussione

Infine, alcune riflessioni sul futuro della prassi liturgica:

Per primo, rispondendo alla terza domanda su ciò che si può fare nella Sacra Liturgia, non esiste un'unica soluzione, ma occorre cambiare tutta la mentalità. Cosa non facile e neppure rapida, ma assolutamente necessaria se la Santa Romana Chiesa vuole difendere i suoi riti liturgici. Il primo compito è catechizzare le persone. La maggior parte (preti e laici insieme) semplicemente ignorano quello che i documenti sulla Sacra Liturgia effettivamente dicono. C'è stata tanta disinformazione negli anni e molti (soprattutto sacerdoti) non vogliono riconoscere che forse fanno qualcosa che non è corretto o addirittura illecito! E' fondamentale una ferma comprensione delle norme liturgiche così come sono attualmente, conoscerne la storia, lo sviluppo e come applicarle alla celebrazione dei sacri riti.

In secondo luogo, dobbiamo guidare con l'esempio. Non possiamo aspettarci cambiamenti radicali nel modo di esprimersi dei documenti liturgici, né che le persone si mettano subito in riga appena si confrontano con la verità. Ma se celebriamo la liturgia in modo adeguato al Divino Sacrificio della Messa, usando la terminologia propria, attenti alle rubriche e ai testi, allora c'è la possibilità concreta di aiutare la gente a vedere che non aspiriamo al minimo comun denominatore, ma che è nostro dovere presentare fedelmente la liturgia della Chiesa in punto di principio e in punto di legge.

In terzo luogo, dobbiamo sforzarci di infondere nei nostri fratelli cattolici un più profondo senso di quel che vuol dire essere sottomessi all'autorità. In America abbiamo un senso ultra-sviluppato di libertà individuale che è in contrasto con l'antropologia autenticamente cristiana e la comprensione dell'unità grazie all'autorità. Il rispetto di quella autorità stabilita da Dio stesso è fondamentale per aiutare gli altri a ritrovare una conoscenza più equilibrata e accurata di dove venga la liturgia, a chi la sacra azione è diretta, e la nostra funzione di servitori della liturgia.

5. Conclusione

Non intendevo certo che questa mia conversazione fosse esaustiva. Sono stati scritti interi volumi sulla necessità di una maggiore fedeltà all'autorità ecclesiale, e quei principi si possono ben applicare alla celebrazione della Sacra Liturgia. Ho offerto solo materiale per la riflessione - un modo nuovo di osservare lo stesso problema della "creatività" liturgica e "infedeltà" che hanno imperversato nella Chiesa per secoli.

Non c'è mai stata "un'epoca perfetta" della Chiesa. Sempre combattiamo una battaglia tra di noi, le fazioni di "liberali" e "conservatori", di "progressisti" e "tradizionali" si scontrano costantemente. E non pare esserci una fine in vista. Una tregua a questa lotta infinita arriverà solo quando avremo un più alto senso di rispetto per quello che la liturgia fa, a Chi lo fa, come la si celebra e da dove essa viene.
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(1) antinomismo
Termine creato da Lutero per designare polemicamente la dottrina di Johann Agricola (Eisleben 1494 - Berlino 1566) che dalla tesi della salvezza mediante la sola fede deduceva l’assoluta inutilità delle opere buone, quindi dei precetti del Decalogo. Il termine esprime tuttavia un fatto più antico, e cioè l’avversione di numerosi gruppi cristiani (gnostici e marcioniti nella Chiesa antica; varie sette medievali) contro non solo le prescrizioni rituali, ma l’intero Antico Testamento, sentito come mera costrizione e vincolo, in antitesi al Nuovo Testamento, cioè alla nuova economia della Grazia e della libertà.

Sacrosanto Concilio Tridentino
Sessione VI - 13 gennaio 1547

Canone 19: Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anàtema.

Canone 20: Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anàtema.

Canone 21: Se qualcuno afferma che Gesú Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anàtema.

Canone 27: Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può essere perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anàtema.
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fonte: http://www.pastormontanus.blogspot.com, 26/01/2012
http://www.pastormontanus.blogspot.com/2012/01/building-pastoral-liturgy-through.html
trad. it. di d. Giorgio Rizzieri
by http://paparatzinger5blograffaella.blogspot.com/

mercoledì 22 febbraio 2012

LA PARROCCHIA "NEOCATECUMENALIZZATA" TESTIMONE SUL TERRITORIO?

In occasione del raduno promosso in Vaticano dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione il 15 ottobre scorso, Mons. Fisichella, che ne è il prefetto, così si esprimeva, davanti a una platea di 8000 persone, a proposito della funzione della parrocchia in ambito di evangelizzazione:

"È nella pastorale ordinaria di cui la parrocchia è “struttura fondamentale”, che “dovremo trovare le forme perché l’intera comunità scopra il suo essere evangelizzatrice”, ha poi precisato mons. Fisichella andando a trattare quegli ambiti di testimonianza posti al centro dell’attenzione. Da qui parte “la sfida”, per cui “dobbiamo esprimere un progetto che permetta alla comunità parrocchiale di essere testimone sul territorio”. Il vescovo ha quindi parlato della liturgia, azione “mediante la quale la Chiesa esprime il suo essere nel mondo” ed è “linfa vitale per il suo annuncio”, che “nella differenza dei riti mostra l’unità del credere”. Sul fronte della cultura, “la mancanza di pensiero indebolisce la fede” e la rende “incapace di raggiungere tutti”. Contro questa deriva, ha ammonito, “dobbiamo ritrovare la via maestra per riportare lo sguardo sull’essenziale”.

Ci domandiamo cosa significhi l'espressione che "la Chiesa nella differenza dei riti (quali?) mostra l'unità del credere". A me sembra un controsenso marchiano.

Ci domandiamo però soprattutto come e quanto la parrocchia possa incarnare questi carismi ed obbedire a questo ampio mandato di evangelizzazione allorquando la stessa "contiene" dei nuclei più o meno vasti di Cammino Neocatecumenale che, fino a ieri, in modo più o meno sibillino, oggi apertissimamente NEGANO la parrocchia!

Per questi ultimi infatti la struttura stessa della "Nuova Chiesa" è costituita,alla base, da cellule di evangelizzazione sul territorio (le comunità neocatecumenali appunto), che a loro volta sono raggruppate in un "Cathecumenium". Quest'ultimo, unito ad altri forma una diocesi...ecc.

Una netta contrapposizione dunque ,non solo amministrativa, con la "Paroecia" tradizionalmente intesa che non ci risulta sia stata minimamente scalfita dal C.J.C. nella sua identità e nella sua portata.

Il 20 gennaio scorso, per caso, è stata rivista anche l'identità complessiva della parrocchia "evangelizzante" alla luce dell'impalcatura neocatecumenale ormai sdoganata ? O dobbiamo pensare che l'ennesimo svarione da parte dei Sacri Palazzi abbia solo seminato , magari senza volerlo, ulteriore scompiglio nella mente e nel cuore dei cattolici?

lunedì 20 febbraio 2012

L' «affaire Romeo» in Cina nasconde manovre di "nuova evangelizzazione" neocatecumenale?


Mi ero ripromessa di non parlare dell'affaire Romeo in Cina e mi ripugna anche parlare a suon di rumors; ma di fronte a certe esternazioni non riesco a tacere né quindi a passare sotto silenzio questa uscita odierna di Korazym, sito notoriamente vicino al cammino neocatecumenale.
« ...A una settimana dal Concistoro, viene diffuso questo report dei cinesi che parla di un complotto di morte contro il Papa. L’interesse a rendere visibile e drammatizzare lo scontro interno alla Curia è evidente. Per la Cina, potrebbe rappresentare – dice un osservatore – un modo per protestare contro la nomina di Tong. In questa sua forma di resistenza, Pechino ha trovato alleati insospettabili: Darìo Castrillon Hoyos, già presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei privato di ogni incarico dopo che era scoppiato l’affaire Williamson (il vescovo lefebvriano che si era reso protagonista di diverse dichiarazioni anti-semite), ansioso di mostrare come sia la Curia stessa ad essere una “babilonia”; gli stessi membri della Società San Pio X, che non vogliono accettare il preambolo dottrinale per riconciliarsi con la Chiesa cattolica (preambolo in cui è fatto chiaro che il Concilio Vaticano II non si tocca) e che hanno tutto l’interesse a giustificare la loro posizione; e parti di Curia ereditate dalla precedente gestione, o ancora con qualche influenza, che magari già pensano a piazzare dei loro uomini in vista del prossimo conclave. »
Che caspita di arbitrarie e vergognose illazioni sono mai queste? Si dimenticano che al momento del "caso Williamson", in Segreteria di Sato, il n.2 era il neocat Filoni, oggi neocardinale? Ed essendo anche noto l'interesse per la Cina di Kiko Arguello, che sono anni che lancia lo slogan "2000 presbiteri per la Cina"... Ne parlavamo già nel maggio 2010.

Sapendo quanto Romeo sponsorizzi il Cnc e viceversa, si fa presto a fare 2+2.

Cosa ancor più inaudita, Korazym lascia trasparire nella parte precedente dell'articolo che la visita di Romeo in Cina non sarebbe estranea alla recente nomina del cardinale cinese e quanto alla Cina stia a cuore la Sicilia, una delle regioni più neocatecumenizzate d'Italia.... Millantato credito di conio molto neocat da parte di Romeo sia dalla sponda cinese - da quel che risulta dall'appunto di cui si è molto parlato considerato autentico - che da quella siciliana enfatizzata da parte di Korazym, oggi. Cui prodest tutto questo?

P. Giovanni Garbolino contro l'arianesimo anti-eucaristico

Negli anni Novanta padre Giovanni Garbolino (1913-2000) celebrava tutte le mattine la santa Messa nella parrocchia romana di sant'Andrea delle Fratte. Di grande pietà eucaristica e mariana, aveva introdotto fin dai "formidabili" anni Settanta le adorazioni notturne nel primo sabato del mese, diffusesi poi in altre parrocchie romane. Rifiutava di concedere la "comunione in mano" e si asteneva dal "concelebrare".

Nel 1992 i neocatecumenali vennero espulsi dalla parrocchia di sant'Andrea, per i motivi che possiamo leggere qui sotto (e che dopo vent'anni suonano ancora perfettamente attuali), nel messaggio che padre Giovanni aveva inviato via fax ai cardinali Sodano, Ratzinger e Ruini... sempreché quel fax sia giunto davvero agli occhi dei destinatari.


Ai reverendissimi cardinali Sodano, Ratzinger, Ruini

Se non verrà quanto prima arrestato l'estendersi, nel mondo cattolico, del movimento neo-catecumenale si verificherà, in breve, uno dei peggiori scismi nella storia della Chiesa.

È impossibile non essere profondamente amareggiati, scoraggiati, scandalizzati, nel constatare come venga non soltanto tollerata ma persino favorita, da esponenti del servizio pastorale nell'ambito parrocchiale, diocesano, paradiocesano e superdiocesano, la diffusione, tramite il suddetto movimento, di interpretazioni dottrinali e di prassi sacramentali flagrantemente contrapposte alla più autorevole Tradizione cattolica e ai suoi dogmi fondamentali, alle dogmatiche definizioni papali.

L'immane pericolo dello sfasciarsi della unità dottrinale e rituale cattolica causato dal "kikianesimo" (vero arianesimo anti-eucaristico), è tanto più grave - e tanto maggiore, perciò, l'urgenza che venga efficacemente sventato - in quanto il suo attuarsi è enormemente favorito dalla evidentemente fraudolenta pretesa, da parte degli "epigoni" del movimento, di godere di una esplicita approvazione del Papa e del suo compiacimento per la loro vantata neo-(pseudo)evangelizzazione.

Roma, 2 maggio 1992

Deferentemente,
p. Garbolino Giovanni
Missionario della Consolata
Direttore dell'associazione V.I.V.O. Pro Ecclesia


Alcuni giorni dopo, il 13 maggio, padre Garbolino spiega al mons. Innocenti il contenuto di quel fax:

Roma, 13 maggio 1992

Ottimo, Rev.mo e caro monsignor Innocenti,

troverà, qui, copia del "fax" che ho pensato di inviare, prima, agli Em.mi Cardinali Ratzinger, Ruini e Sodano e, che ho dato, recentemente, al card. Saldarini ospite qui, nella nostra Casa Generalizia.

Al Card. Saldarini ho anche parlato di una mia molto significativa - e incresciosa - esperienza personale riguardante la "prassi eucaristica dei Neo-Catecumenali (quando, invitato, circa due anni or sono, a celebrare per un gruppo N.C. la Messa, mi sono visto portare, per la consacrazione, una specie di "pizza" e una grossa brocca di vino - che poi hanno consumato, senza badare "né a briciole né a gocce", profusamente finite a terra).

Sicuramente Lei avrà saputo della "Cena" che fu loro permesso di celebrare, su di un enorme tavolone, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, suscitando non tanto le perplessità, ma un vero scandalo tra i semplici (...sprovveduti?) fedeli: scandalo causato, anche là, dalla vera e propria profanazione, e sacrilega manipolazione delle specie Eucaristiche.

Dai Rev.mi Cardinali nessun riscontro al "fax"; il card. Saldarini mi ha detto semplicemente «queste cose si sanno; le assicuro però che "essi" credono nell'Eucaristia»!!?

Si è giunti, allora, in virtù di Ecumenismo, ad un vero Eclettismo pan-cristiano? o ad un Catto-calvinismo? Oppure è così che bisogna, ora, interpretare la parabola evangelica del grano e della zizzania? Ma, allora, non dovrà, il Magistero cattolico, cancellare, ritrattare, rinnegare tutti i suoi dogmi dal 3° secolo in poi?!

Voglia ritenere, ottimo Monsignore, questo scritto, come la protesta di un vecchio missionario che... non sa più in quale "chiesa cattolica si trovi"...

P. Garbolino Giovanni
Missionario della Consolata
Direttore dell'associazione V.I.V.O. Pro Ecclesia

venerdì 17 febbraio 2012

Negano, negano, negano sempre

Dopo un primo articolo di commento, proponiamo qui sotto un breve approfondimento di Stefano Caredda pubblicato sul solito Korazym il 23 gennaio, evidenziando alcuni passaggi salienti. Benché guardi con grande simpatia il Cammino [eufemismo!] lascia talvolta alcune pennellate quantomeno esilaranti.



La confusione generata dalla nota ufficiale del Cammino sull’approvazione delle celebrazioni è indice di un più radicale atteggiamento degli iniziatori, che di fronte alle criticità concrete vissute nelle parrocchie hanno sempre risposto negando che vi fossero problemi.

Il fatto che su un singolo decreto della Santa Sede possano esserci interpretazioni così divergenti, e che la confusione che ne deriva si propaghi non solo sui giornali e sui mezzi di comunicazione, ma anche all’interno delle singole comunità neocatecumenali (che sulla questione dovrebbero essere assai ferrati) la dice lunga sul modo quanto meno superficiale di presentare atti e decisioni così rilevanti.

In questi giorni, se ci si rivolge agli stessi appartenenti al Cammino, a quelle migliaia e migliaia di persone, soprattutto giovani, che formano le singole comunità e che, in linea di massima, con coerenza e senza alcun genere di integralismo, vivono il loro percorso di fede come uno dei tanti percorsi di fede presenti nella Chiesa, se ci si rivolge ad essi affermando che la Santa Sede ha dato l’approvazione alle celebrazioni del Cammino è assai frequente che ci si senta rispondere: “Ma perché, non avevano già approvato tutto?”. Naturale: è da anni che i responsabili del Cammino fanno passare il messaggio che “tutto è stato approvato” e che “il papa è con noi”.

Ma se tutto era già stato approvato e la pratica era ormai chiusa, perché mai – iniziano a chiedersi – si susseguono le approvazioni (questa è la terza in cinque anni)? Perché non tutto, appunto, era stato approvato. E sulla Messa al sabato, l’aspetto più delicato, i problemi – come abbiamo visto – non sono finiti.

In tutto ciò, ma questo è un discorso più ampio, non si può tacere il fatto che non aiuta a rendere chiara la situazione il sostanziale silenzio della Santa Sede, che ha provveduto alla pubblicazione del decreto del Pontificio Consiglio per i Laici senza sentire la benché minima necessità di una nota esplicativa, che si sarebbe potuta diffondere attraverso la Sala Stampa della Santa Sede. In questo modo si è favorita e si favorisce tuttora la confusione e il dubbio che il decreto riguardi anche la Messa celebrata nelle comunità: confusione alimentata dal comunicato stampa emesso dal Cammino Neocatecumenale. Di questo la Santa Sede avrebbe potuto tener conto. Del resto, che le comunicazioni al mondo esterno e ai media da parte dei vertici del Cammino non brillino mai per chiarezza è un dato di fatto: ne abbiamo fatto esperienza anche gli anni passati. Prevedere delle contromisure sarebbe stato sensato.

Detto questo, però, tutto ciò non è avvenuto per caso. Non è un semplice errore di natura giornalistica, non è una semplice carenza professionale di chi cura le relazioni con la stampa e invece di sintetizzare in modo efficace un iter effettivamente complesso riesce solo a semplificare e ingenerare confusione. Il punto è che questa modalità di lavoro poco precisa è perfettamente coerente con l’impostazione generale che i responsabili del Cammino si sono dati in tutti questi anni: negare che vi siano dei problemi, negare che vi siano delle criticità, negare che vi siano dei fattori che talvolta creano disagio nelle singole parrocchie o nelle singole diocesi e che meritano tutta la loro considerazione e la loro attenzione per essere superate. Affermare che accade che nelle parrocchie le comunità neocatecumenali siano percepite come dei corpi estranei, o come delle realtà ghettizzanti, o come dei circoli esclusivi abituati a fare tutto da sé, perfino la messa, non significa calunniare il Cammino, ma far emergere un problema che va risolto, per il bene stesso del Cammino, oltre che per quello di tutta la Chiesa. Affermare che vi sono diocesi – e sono tante – nelle quali con il vescovo si è ai ferri corti non significa denigrare il Cammino, ma porre un problema che deve essere risolto e che non si supera facendo il lungo elenco dei vescovi che “sono nostri amici” o dei cardinali “che ci hanno raggiunto per questo nostro incontro”, come in ogni occasione non manca di fare l’iniziatore Kiko Arguello.

E’ vero: questa chiusura può essere una naturale risposta ad accuse che nel corso dei decenni sono state molto dure e talvolta oggettivamente infondate, ma è una modalità che non può essere perpetuata ancora. Non si possono negare le criticità, non si possono negare in pubblico ma soprattutto non possono essere sottovalutate (e men che meno avvallate) in privato, a maggior ragione se immancabilmente vengono citate dal papa nei discorsi rivolti al Cammino. E’ su questo che dai vertici del Cammino dovrebbe arrivare un segno concreto. In caso contrario, si rafforza l’impressione che cerchino ogni volta di farla franca, ascoltando solo ciò che vogliono ascoltare.

mercoledì 15 febbraio 2012

LA STRUTTURA DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE E’ QUELLA CONTEMPLATA DAL RICA (Rito Iniziazione Cristiana degli Adulti, pubblicato da Paolo VI il 6 .1.72)?

Cerchiamo di analizzare in modo non preconcetto la questione:

1. I Praenotanda del RICA recuperano e insistono anziutto sull'unitarietà del processo dell'Iniziazione Cristiana. E ciò ovviamente per evitare quasiasi rischio di gnosticismo insito in un percorso necessariamente parcellizzato e a tappe;

2. Presentano poi la struttura generale del cammino di preparazione che recupera la sostanza della Tradizione Apostolica:
  1. Un periodo di prima evangelizzazione o precatecumenato;
  2. Un periodo di catechesi integrale, o catecumenato, nel quale i riti sono destinati alla purificazione di candidati;
  3. I Sacramenti del Battesimo , della Confermazione e della Prima Comunione;
  4. Un periodo di mistagogia;
3. Il nuovo rito coinvolge tutta la comunità nell'accompagnamento dei candidati, e si prevede che essa prenda parte alle celebrazioni: Da una parte, i fedeli sono chiamati ad esprimere un giudizio equilibrato e prudente al momento dell'elezione. Dall'altra, i fedeli che partecipano ai riti preparatori al Battesimo sono invitati a rinnovare la spiritualità del loro Battesimo;

4. Responsabile ultimo dell'ammissione al catecumenato è il Vescovo;

5. La celebrazione dei riti del catecumenato si svolge in Quaresima:
  1. Nella prima domenica si svolge l'iscrizione del nome;
  2. Nella terza, quarta e quinta domenica si svolgono gli scrutini
  3. In altre date della Quaresima vanno poste anche le consegne: del Simbolo e del Padre Nostro;
  4. La "restituzione" (redditio) degli stessi avverrà il Sabato Santo, insieme con il Rito dell'Effatha e l'Unzione con l'Olio dei Catecumeni ;
  5. I tre Sacramenti dell'Iniziazione verranno conferiti insieme nella Veglia Pasquale.
Sebbene il Catecumenato sia, per definizione, riservato ai soli candidati al Battesimo, dopo il Concilio Vaticano II è stato proposto "un sapiente ritorno al catecumenato antico" anche per i battezzati, al fine di far conseguire una appropriata "statura" di fede adulta a quanti, pur avendo già ricevuto il Battesimo, non hanno opportunamente seguito il percorso di iniziazione e formazione qual è il Catecumenato.
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Diamo ora uno sguardo sereno ai percorsi e ai riti che accompagnano il Neocatecumenato, secondo le “regole” stabilite e imposte da Arguello ed Hernandez, approvate dal PCL il 20 gennaio scorso:

1. Contrariamente a quanto raccomandano insistentemente i Praenotanda del RICA, il processo neocatecumenale elaborato da Arguello & C. NON ha alcuna fisionomia unitaria , non viene presentato ai neocatecumeni nella sua interezza fin dall’inizio, anzi è mantenuta una rigida forma di secretazione sui contenuti delle tappe che bisognerà percorrere;

2. La scansione in Precatecumenato, Catecumenato e mistagogia è soltanto formale, comunque inesistente: i tre momenti si intersecano in continui feed backs in cui vengono sottolineate a più riprese e con diverse forme la condizione di ineluttabilità del peccato e la conseguente necessità di rinunciare agli “idoli”( in prevalenza beni materiali da consegnare al Cammino) e di prendere coscienza di tale condizione irrevocabile di peccatori, per la quale l’unico rimedio è frequentare la Chiesa (leggasi la Comunità Neocatecumenale);

3. Il rito o i riti di accompagnamento dei candidati al catecumenato e quindi all’Elezione NON sono accompagnati dalla comunità ecclesiale o parrocchiale, ma da una comunità “virtuale” costituita esclusivamente dagli appartenenti al Cammino Neocatecumenale. E se anche in alcune tappe , quali la Redditio, il rito viene svolto in chiesa alla presenza di fedeli non appartenenti al Cammino, questi ultimi non possono assolutamente esprimere alcun “ giudizio equilibrato e prudente” circa l’ammissibilità del candidato alle tappe di cui trattasi. Tale preclusione peraltro esiste anche per gli stessi neocatecumeni: l’ultima, anzi l’unica parola in merito spetta infatti esclusivamente ai catechisti!

4. Il responsabile ultimo dell’ammissione al Catecumenato nel Cammino NON è il Vescovo, ma i catechisti di turno;

5. la celebrazione dei riti in ambito Neocatecumenale NON si svolge affatto nell’arco di una Quaresima, ma comprende un periodo ultraventennale, la cui scansione rimane esclusivo appannaggio dei catechisti laici del Cammino.


Su queste basi il Cammino Neocatecumenale non solo non realizza di fatto "un sapiente ritorno al catecumenato antico" anche per i battezzati, come raccomandato e sottolineato dal RICA, ma di quest’ultimo contraddice palesemente tutti i termini e le indicazioni di fondo, con grave danno e pessimo esempio per il mondo cattolico, qualunque cosa si dica, si sia scritto e qualunque cosa abbia voluto cavillosamente affermare il Cardinale Canizares all’indomani del 20 gennaio scorso.

Mi permetto di aggiungere, senza toni polemici, che, anche in relazione a questo tema, è assolutamente pleonastico se non fuorviante parlare di possibilità di efficacia del Cammino Neocatecumenale “se”…”a condizione che”…ecc: il Cammino Neocatecumenale è invece, in sostanza, una patologia evidente del RICA, quindi, in ultima analisi, della stessa Chiesa.

martedì 14 febbraio 2012

«Chiamano "carismi" i loro rituali caserecci»

Presentiamo qui sotto la nostra traduzione (evidenziando alcuni passaggi salienti) di un intervento di mons. Mizobe, che è stato vescovo della diocesi di Takamatsu, ritiratosi per raggiunti limiti di età. Il testo è stato pubblicato su UCANews il 9 febbraio 2012.


IL PROBLEMA DELLA DIOCESI DI TAKAMATSU
Piccole differenze, e poi mancanza di unità e di guida, hanno minacciato la vera missione della Chiesa


Mons. Osamu Mizobe, SDB, vescovo emerito di Takamatsu, Giappone
9 febbraio 2012

Sono circa sei mesi che ho lasciato il mio posto di vescovo della diocesi di Takamatsu. Ora, nel riflettere su ciò che è avvenuto durante il mio ministero, ho deciso che è il caso di scrivere alcune riflessioni per amore del suo futuro.

Anzitutto c'è da ammettere che fu qualcosa di decisamente inusuale il mio trasferimento alla diocesi di Takamatsu, che all'epoca avvenne nonostante il mio attivo impegno da vescovo di Sendai. Il trasferimento non poteva non essere motivato da qualche problema. Infatti, poco prima del mi insediamento, alcuni eventi - come l'ispezione del cardinal Stefano Kim Sou-hwan in qualità di inviato del Santo Padre - dimostravano che qualche anormalità c'era.

Ciò che si può dire in tutta onestà e da entrambi i punti di vista è che il problema sorto a Takamatsu affondava le sue radici nell'eccessiva indifferenza, se non ignoranza, delle norme del NICE (Convenzione nazionale per incentivare l'evangelizzazione) che avevano fissato un percorso per tutta la Chiesa che è in Giappone, in accordo col dettato del Concilio Vaticano II.

Più in dettaglio, il problema stava nell'eccessiva enfasi dell'autonomia diocesana, a scapito di qualsiasi idea di apertura della Chiesa alla società, una Chiesa edificata cooperando con la società. Perfino al livello di parrocchia, non c'era un forte senso di collaborazione nell'evangelizzazione e nella cura pastorale.

Per di più, gli ordini religiosi non avevano alcuna attenzione a sostenere il lavoro del vescovo diocesano nello stabilire un percorso comune a tutta la diocesi.

Il vescovo mio predecessore, che non aveva a disposizione risorse umane ed economiche, aveva tentato in ogni modo, aggrappandosi ad ogni appiglio come chi rischia di affogare. Ogni tentativo veniva però frustrato, per cui per risolvere i problemi della diocesi si era arreso ad accettare ogni gruppo che prometteva di aiutarlo.

La dura realtà è che la diocesi di Takamatsu non aveva avuto neppure un'ordinazione sacerdotale lungo l'arco di quarant'anni. Tutti i seminaristi abbandonavano prima di completare il percorso di formazione. Con le congregazioni religiose che invecchiavano e il numero di battesimi che crollava, non è che ci fossero tante buone notizie.

Un'organizzazione appoggiata da Roma, chiamata Cammino Neocatecumenale, iniziò le sue attività in Giappone trent'anni fa. Era un gruppo pieno di energie, e nei primi tempi molte parrocchie di Takamatsu accolsero con entusiasmo i suoi membri.

Ma quando i neocatecumenali arrivavano nelle parrocchie, alcuni laici cominciavano a sentirsi a disagio, specialmente per ciò che riguarda la liturgia. Anche la reazione di alcuni sacerdoti diocesani era sostanzialmente di opposizione.

La maggior fonte di preoccupazioni era il fatto che i sacerdoti affiliati al Cammino, senza quasi alcuna eccezione, facevano cambiamenti agli altari e alle cappelle delle chiese che prendevano in carico, scioccando i parrocchiani che desideravano di preservare le tradizioni della Chiesa.

Ciononostante il Cammino lavorò sodo per reclutare nuovi membri che servissero per portare avanti le sue iniziative, col risultato che il numero di quelli che aderivano alle direttive neocatecumenali aumentò di conseguenza.

Lo scontro iniziò con piccole divergenze di opinioni al livello parrocchiale. Ma la situazione esplose nel disordine più diffuso quando il Cammino fondò un seminario chiamandolo "Seminario della diocesi di Takamatsu".

Le prime obiezioni a quel nuovo seminario riguardanti la sua fondazione (che non rispettava certi prerequisiti legali) crebbero fino a diventare un coro di proteste contro il vescovo che lo aveva autorizzato. Il vescovo rese pubblica una lista di nomi di coloro che dissentivano dalla sua decisione, che risposero con un'azione legale in sede civile.

Quando ho iniziato il mio ministero nella diocesi di Takamatsu, il motto "Rinascita e armonia" era ciò che più mi stava a cuore, e avevo sperato di poter riaccendere un dialogo in diocesi. Sfortunatamente, all'epoca la possibilità di dialogo era virtualmente impossibile.

Per cui il primo passo doveva essere il riorganizzare la diocesi sulla base del Diritto Canonico.

Il più grosso ostacolo era quello del Seminario Internazionale Diocesano Redemptoris Mater di Takamatsu. Col passare degli anni, da questo seminario emergevano sempre più preti affiliati col Cammino, col risultato che le discordie in diocesi si facevano sempre più gravi.

Fortunatamente abbiamo avuto sostegno dai Nunzi Apostolici e dai confratelli della Conferenza Episcopale: si decise che il seminario era da chiudere. All'epoca concentrammo le nostre energie sul ravvivare la vita diocesana, che era davvero il maggior problema e che probabilmente è sentito come tale ancora oggi.

Trovare nuovi candidati al sacerdozio ed educarli: queste erano le nostre priorità principali. Mi rincuora poter confermare che quest'anno il numero di seminaristi è salito a quattro. Questo è probabilmente il risultato dello sforzo che abbiamo compiuto nell'educazione dei giovani.

I più grossi problemi coi neocatecumenali sono:
  1. considerano erroneamente "carismi" i loro rituali caserecci,
  2. hanno una loro gerarchia totalmente staccata dal vescovo locale,
  3. pensano che i loro problemi in diocesi vadano risolti a Roma, dove tentano di far valere il loro punto di vista utilizzando l'importanza di Roma per obbligare la chiesa locale ad adeguarsi.
Tutto questo risulta in un grande danno per l'indipendenza delle chiese locali. Tranne che nelle questioni che vanno a intaccare i dogmi della Chiesa, i problemi locali dovrebbero essere per principio risolti dalle chiese locali.

Con il suo nuovo vescovo, la diocesi di Takamatsu ha attualmente cominciato a percorrere la via dell'"Armonia e rinascita". Vi è stato recentemente tenuto un importante incontro diocesano per discutere dell'evangelizzazione, compiendo così il primo passo verso la rinascita.

Per una diocesi è assai facile crollare se i suoi fedeli non sono uniti e non danno una seria attenzione alla solidarietà. Questo è il messaggio che intendo inviare al resto della Chiesa in Giappone, da parte di una diocesi che ha appreso questa verità attraverso il dolore e l'esperienza sulla propria pelle.

Osamu Mizobe, SDB, vescovo emerito di Takamatsu


Alcune nostre note a margine:

- Mons. Mizobe, ormai ritiratosi, può parlare a chiare lettere dei problemi che hanno creato i neocatecumenali confermando ancora una volta che anche in Giappone il Cammino ha seri problemi con la liturgia e l'obbedienza. Sulla forte espressione «they mistake their homemade rituals for charisms» (considerano erroneamente carismi quelli che sono i loro rituali caserecci) è basato il titolo redazionale dato a questa pagina.

- Durante il suo episcopato, mons. Mizobe aveva sospeso il Cammino Neocatecumenale nella propria diocesi, per di più rendendo pubbliche certe strane manovrine neocatecumenali a Roma per far pressione contro i vescovi giapponesi cercando addirittura di carpire un assenso del Papa. Il cardinal Kim sopra nominato, si era occupato anche delle spaccature create dal Cammino Neocatecumenale. Sulla stampa era circolata la falsa notizia che il Papa avesse rifiutato la richiesta di sospendere il Cammino (notizia che in quel momento avevamo considerato con preoccupazione).

- Per intervento del card. Bertone, Segretario di stato (e perciò non competente sul caso Giappone, in quanto il Giappone è considerato "terra di missione" e perciò sotto la giurisdizione non della Segreteria di stato ma di Propaganda Fide), il seminario di Takamatsu fu spostato a Roma, assumendovi come rettore mons. Hirayama, vescovo emerito di Oita (altra diocesi giapponese).

- Nelle sue lettere pastorali del 2000-2001 mons. Fukahori (1924-2009), predecessore di mons. Mizobe, aveva criticato (facendo nome e cognome) due dei fedeli che si erano opposti, ed è stato perciò denunciato per diffamazione e condannato a pagare un totale di 800.000 yen di risarcimento danni (poco meno di 5.000 euro). Dopo la sentenza, i due parrocchiani che hanno vinto la causa hanno affermato di non essere contenti della vittoria, ma di essere allarmati a causa del seminario Redemptoris Mater di Takamatsu.

- Nell'articolo UCANews sull'insediamento di mons. Eijiro Suwa (successore di mons. Mizobe) a Takamatsu, si afferma che la diocesi è stata «travagliata per decenni dalle controversie sul Cammino Neocatecumenale, un movimento ecclesiale che ha portato divisioni in diocesi». Il problema, in Giappone, è sentito evidentemente in modo molto diverso da come lo descrivono gli amici di Kiko...

- Di mons. Suwa avevamo già pubblicato un articolo di presentazione, ed un suo intervento critico sul Cammino, precedente la sua elezione a vescovo.