martedì 26 aprile 2011

Gesù è Risorto, è veramente risorto !

Siamo ancora nell'Ottava di Pasqua. Riprendiamo, per la nostra riflessione, una delle domande e la risposta del Papa trasmesse lo scorso Venerdì Santo in TV:

D. – Santità, quando le donne giungono al sepolcro, la domenica dopo la morte di Gesù, non riconoscono il Maestro, lo confondono con un altro. Succede anche agli apostoli: Gesù deve mostrare le ferite, spezzare il pane per essere riconosciuto, appunto, dai gesti. È un corpo vero, di carne, ma anche un corpo glorioso. Il fatto che il suo corpo risorto non abbia le stesse fattezze di quello di prima, che cosa vuol dire? Cosa significa, esattamente, corpo glorioso? E la risurrezione sarà per noi così?

R. – Naturalmente, non possiamo definire il corpo glorioso, perché sta oltre le nostre esperienze. Possiamo solo registrare i segni che Gesù ci ha dato per capire almeno un po’ in quale direzione dobbiamo cercare questa realtà.

Primo segno: la tomba è vuota. Cioè, Gesù non ha lasciato il suo corpo alla corruzione, ci ha mostrato che anche la materia è destinata all’eternità, che realmente è risorto, che non rimane una cosa perduta. Gesù ha preso anche la materia con sé, e così la materia ha anche la promessa dell’eternità.

Ma poi ha assunto questa materia in una nuova condizione di vita, questo è il secondo punto: Gesù non muore più, cioè sta sopra le leggi della biologia, della fisica, perché sottomesso a queste uno muore. Quindi c’è una condizione nuova, diversa, che noi non conosciamo, ma che si mostra nel fatto di Gesù, ed è la grande promessa per noi tutti che c’è un mondo nuovo, una vita nuova, verso la quale noi siamo in cammino. E, essendo in queste condizioni, Gesù ha la possibilità di farsi palpare, di dare la mano ai suoi, di mangiare con i suoi, ma tuttavia sta sopra le condizioni della vita biologica, come noi la viviamo. E sappiamo che, da una parte, è un vero uomo, non un fantasma, che vive una vera vita, ma una vita nuova che non è più sottomessa alla morte e che è la nostra grande promessa.

È importante capire questo, almeno quanto si può, per l’eucaristia. Nell’eucaristia il Signore ci dona il suo corpo glorioso, non ci dona carne da mangiare nel senso della biologia, ci dà se stesso. Questa novità che lui è entra nel nostro essere uomini, nel nostro, nel mio essere persona, come persona, e ci tocca interiormente con il suo essere, così che possiamo lasciarci penetrare dalla sua presenza, trasformare nella sua presenza. È un punto importante, perché così siamo già in contatto con questa nuova vita, questo nuovo tipo di vita, essendo lui entrato in me, e io sono uscito da me e mi estendo verso una nuova dimensione di vita.

Io penso che questo aspetto della promessa, della realtà che lui si dà a me e mi tira fuori da me, in alto, è il punto più importante: non si tratta di registrare cose che non possiamo capire, ma di essere in cammino verso la novità che comincia, sempre, di nuovo, nell’eucaristia.


L'evangelista Giovanni mette solo in fila dei fatti. Parole essenziali nude e crude: la pietra è stata tolta, i teli posati. Osservò, vide e credette. Così, semplicemente. Non c’è da emozionare, non c’è da commentare. Si tratta di un fatto, una cosa accaduta. Non è un consiglio di buona condotta, non è una norma di giustizia sociale, non è una bandiera. E’ un fatto, ed è con questo che bisogna confrontarsi. Il nostro Redentore è Risorto e porta in Lui e con Lui anche la nostra umanità Redenta, cioè riscattata dal Suo Sangue Prezioso: è questo che ci fa uomini nuovi ad ogni Eucaristia. Convitati, ma innanzitutto Adoratori del Figlio del Dio Altissimo, vittima d'Amore e noi in Lui, nato morto e risorto per noi e per la nostra salvezza.

lunedì 25 aprile 2011

Le Parrocchie neocatecumenizzate “Palestre dello spirito” ?

Riprendiamo una notizia data da Radiovaticana il 30 marzo scorso col titolo “La Cei punta sulle parrocchie come “palestre dello spirito”.
L'immagine a lato mostra un'eloquente immagine tratta dal Video della celebrazione della Pasqua Ebraica con i genitori dei comunicandi della Parrocchia San Paolo Apostolo in Crotone.

"I vescovi italiani guardano alle parrocchie come a delle “palestre dello spirito”, dove “avvengono miracoli perché si cerca il Signore”. E’ quanto dichiarato da mons. Domenico Pompili, portavoce della Conferenza episcopale italiana, al termine della seconda giornata di lavori del Consiglio permanente della Cei in corso a Roma. “E’ stata valorizzata l’attività pastorale - ha aggiunto mons. Pompili - che non è una distesa polverosa di fatti burocratici che si ripetono, ma una serie provvidenziale di eventi che aiutano le persone ad uscire dall’individualismo, ripartendo dalla realtà”. Per far questo si richiede anche uno sforzo di pensiero che tragga spunto dalla rivelazione cristiana. “Così ad esempio – continua il portavoce della Cei - il problema demografico è un segno dell’erosione antropologica che dovrà mettere in conto non solo politiche familiari più attente, ma anche una cultura della vita più diffusa”. “Analogamente – come riporta l’agenzia Zenit - sulla delicata questione dell’immigrazione, la pace e l’accoglienza risultano strettamente collegate. La necessità di una nuova stagione di inclusione sociale che porti al riconoscimento degli immigrati come cittadini – ha concluso mons. Pompili - è un obiettivo che non potrà essere ulteriormente dilazionato”.

Potremmo obiettare punto per punto alla CEI che nelle parrocchie in cui è presente il Cammino Neocatecumenale nessuna apertura è possibile, nessuna “palestra” spirituale aperta a tutti, nessuna forma di “convivenza” o di condivisione se non per coloro i quali fanno parte della ristretta cerchia del “Cammino”, al di fuori della quale, nel caso in cui il parroco sia neocatecumenale o simpatizzante, c’è soltanto terra bruciata per gli altri “parrocchiani”. Con la differenza che poi si vedranno moltiplicare proposte come nella immagine a lato, tratta dallo stesso filmato di cui all'inizio. Questo il link: http://it.gloria.tv/?media=147556

E’, questo, un argomento ritrito – lo sappiamo – ma la Conferenza Episcopale forse disconosce i reali termini della questione, se si escludono alcuni vescovi, come Mons. Benigno Luigi Papa, a Taranto, il quale, per proteggere e valorizzare l’istituto parrocchiale, ha disposto che le comunità neocatecumenali non invadessero ogni spazio possibile all’interno delle parrocchie della sua diocesi.


Naturalmente per i neocat è del tutto ininfluente il Magistero di Giovanni Paolo II: « ... A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale.» [Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 52]

Ed anche quello di Benedetto XVI, dalla Sacramentum Caritatis, ben illustrato nell'immagine a destra.

sabato 23 aprile 2011

BUONA PASQUA!




A tutti gli amici, conosciuti e sconosciuti,
che passano di qua

BUONA PASQUA nella Luce del Signore Risorto!

venerdì 22 aprile 2011

Venerdì Santo col Santo Padre

Piazza San Pietro, 20 aprile 2011

Cari fratelli e sorelle, [...] lasciato il cenacolo, Gesù si ritirò a pregare, da solo, al cospetto del Padre. In quel momento di comunione profonda, i Vangeli raccontano che Gesù sperimentò una grande angoscia, una sofferenza tale da fargli sudare sangue (cfr. Mt 26, 38). Nella consapevolezza della sua imminente morte in croce, Egli sente una grande angoscia e la vicinanza della morte.

In questa situazione, appare anche un elemento di grande importanza per tutta la Chiesa. Gesù dice ai suoi: rimanete qui e vigilate; e questo appello alla vigilanza concerne proprio questo momento di angoscia, di minaccia, nella quale arriverà il traditore, ma concerne tutta la storia della Chiesa. È un messaggio permanente per tutti i tempi, perché la sonnolenza dei discepoli era non solo il problema di quel momento, ma è il problema di tutta la storia.

La questione è in che cosa consiste questa sonnolenza, in che cosa consisterebbe la vigilanza alla quale il Signore ci invita. Direi che la sonnolenza dei discepoli lungo la storia è una certa insensibilità dell’anima per il potere del male, un’insensibilità per tutto il male del mondo. Noi non vogliamo lasciarci turbare troppo da queste cose, vogliamo dimenticarle: pensiamo che forse non sarà così grave, e dimentichiamo.

E non è soltanto insensibilità per il male, mentre dovremmo vegliare per fare il bene, per lottare per la forza del bene. È insensibilità per Dio: questa è la nostra vera sonnolenza; questa insensibilità per la presenza di Dio che ci rende insensibili anche per il male. Non sentiamo Dio – ci disturberebbe – e così non sentiamo, naturalmente, anche la forza del male e rimaniamo sulla strada della nostra comodità.

L’adorazione notturna del Giovedì Santo, l’essere vigili col Signore, dovrebbe essere proprio il momento per farci riflettere sulla sonnolenza dei discepoli, dei difensori di Gesù, degli apostoli, di noi, che non vediamo, non vogliamo vedere tutta la forza del male, e che non vogliamo entrare nella sua passione per il bene, per la presenza di Dio nel mondo, per l’amore del prossimo e di Dio.

Poi, il Signore comincia a pregare. I tre apostoli – Pietro, Giacomo, Giovanni – dormono, ma qualche volta si svegliano e sentono il ritornello di questa preghiera del Signore: “Non la mia volontà, ma la tua sia realizzata”. Che cos’è questa mia volontà, che cos’è questa tua volontà, di cui parla il Signore? La mia volontà è “che non dovrebbe morire”, che gli sia risparmiato questo calice della sofferenza: è la volontà umana, della natura umana, e Cristo sente, con tutta la consapevolezza del suo essere, la vita, l’abisso della morte, il terrore del nulla, questa minaccia della sofferenza. E lui più di noi, che abbiamo questa naturale avversione contro la morte, questa paura naturale della morte, ancora più di noi, sente l’abisso del male.

Sente, con la morte, anche tutta la sofferenza dell’umanità. Sente che tutto questo è il calice che deve bere, deve far bere a se stesso, accettare il male del mondo, tutto ciò che è terribile, l’avversione contro Dio, tutto il peccato. E possiamo capire come Gesù, con la sua anima umana, sia terrorizzato davanti a questa realtà, che percepisce in tutta la sua crudeltà: la mia volontà sarebbe non bere il calice, ma la mia volontà è subordinata alla tua volontà, alla volontà di Dio, alla volontà del Padre, che è anche la vera volontà del Figlio.

E così Gesù trasforma, in questa preghiera, l’avversione naturale, l’avversione contro il calice, contro la sua missione di morire per noi; trasforma questa sua volontà naturale in volontà di Dio, in un “sì” alla volontà di Dio. L’uomo di per sé è tentato di opporsi alla volontà di Dio, di avere l’intenzione di seguire la propria volontà, di sentirsi libero solo se è autonomo; oppone la propria autonomia contro l’eteronomia di seguire la volontà di Dio. Questo è tutto il dramma dell’umanità. Ma in verità questa autonomia è sbagliata e questo entrare nella volontà di Dio non è un’opposizione a sé, non è una schiavitù che violenta la mia volontà, ma è entrare nella verità e nell’amore, nel bene. E Gesù tira la nostra volontà, che si oppone alla volontà di Dio, che cerca l’autonomia, tira questa nostra volontà in alto, verso la volontà di Dio.

Questo è il dramma della nostra redenzione, che Gesù tira in alto la nostra volontà, tutta la nostra avversione contro la volontà di Dio e la nostra avversione contro la morte e il peccato, e la unisce con la volontà del Padre: “Non la mia volontà ma la tua”. In questa trasformazione del “no” in “sì”, in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l’umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro “no” ed entrare nel “sì” del Figlio. La mia volontà c’è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa è la verità e l’amore.

Un ulteriore elemento di questa preghiera mi sembra importante. I tre testimoni hanno conservato – come appare nella Sacra Scrittura – la parola ebraica o aramaica con la quale il Signore ha parlato al Padre. Lo ha chiamato: “Abbà”, padre. Ma questa formula, “Abbà”, è una forma familiare del termine padre, una forma che si usa solo in famiglia, che non si è mai usata nei confronti di Dio. Qui vediamo nell’intimo di Gesù come parla in famiglia, parla veramente come Figlio col Padre. Vediamo il mistero trinitario: il Figlio che parla col Padre e redime l’umanità.

Ancora un’osservazione. La lettera agli Ebrei ci ha dato una profonda interpretazione di questa preghiera del Signore, di questo dramma del Getsemani. Dice: queste lacrime di Gesù, questa preghiera, queste grida di Gesù, questa angoscia, tutto questo non è semplicemente una concessione alla debolezza della carne, come si potrebbe dire. Proprio così realizza l’incarico del Sommo Sacerdote, perché il Sommo Sacerdote deve portare l’essere umano, con tutti i suoi problemi e le sofferenze, all’altezza di Dio. E la lettera agli Ebrei dice: con tutte queste grida, lacrime, sofferenze, preghiere, il Signore ha portato la nostra realtà a Dio (cfr. Eb 5, 7ss). E usa questa parola greca “prosferein”, che è il termine tecnico per quanto deve fare il Sommo Sacerdote per offrire, per portare in alto le sue mani.
Proprio in questo dramma del Getsemani, dove sembra che la forza di Dio non sia più presente, Gesù realizza la funzione del Sommo Sacerdote. E dice inoltre che in questo atto di obbedienza, cioè di conformazione della volontà naturale umana alla volontà di Dio, viene “perfezionato” come sacerdote. E usa di nuovo la parola tecnica per ordinare sacerdote. Proprio così diventa realmente il Sommo Sacerdote dell’umanità e apre così il cielo e la porta alla risurrezione.

Se riflettiamo su questo dramma del Getsemani, possiamo anche vedere il grande contrasto tra Gesù con la sua angoscia, con la sua sofferenza, in confronto con il grande filosofo Socrate, che rimane pacifico, senza perturbazione davanti alla morte. E sembra questo l’ideale.

Possiamo ammirare questo filosofo, ma la missione di Gesù era un’altra. La sua missione non era questa totale indifferenza e libertà; la sua missione era portare in sé tutta la nostra sofferenza, tutto il dramma umano. E perciò proprio questa umiliazione del Getsemani è essenziale per la missione dell’Uomo-Dio. Egli porta in sé la nostra sofferenza, la nostra povertà, e la trasforma secondo la volontà di Dio. E così apre le porte del cielo, apre il cielo: questa tenda del Santissimo, che finora l’uomo ha chiuso contro Dio, è aperta per questa sua sofferenza e obbedienza. [...]

giovedì 21 aprile 2011

La Settimana Santa neocatecumenale

Oggi è giovedì Santo e, se ripropongo lo stesso tema dell'anno scorso arricchito di alcune riflessioni, è perché nel frattempo tutto è rimasto immutato e il cammino ha mantenute intatte le sue prassi particolari e scisse dalla comunione ecclesiale richiesta in più occasioni dal Papa. Tuttavia questa è la realtà e mi pare giusto parlarne.


Mi rivolgo, in particolare, a quelli che si accingono a vivere le celebrazioni della Settimana Santa, che in molti casi si svolgeranno in luogo non consacrato e senza la presenza di un sacerdote. Ricordiamoci che il giovedì Santo, nelle Messa in coena Domini, si ricorda l'istituzione dell'Eucaristia e quella del sacerdozio. È noto che 'pro forma' i responsabili delle comunità invitano tutti a partecipare anche alle celebrazioni in parrocchia, ma nel caso in cui si rendesse necessaria una scelta danno la chiara indicazione di preferire le celebrazioni in comunità. A questo riguardo mi limito ad osservare che chi lavora e/o ha famiglia difficilmente riesce ad essere presente a due celebrazioni nello stesso giorno e poi non si vede il perché si debba essere costretti a scegliere tra due celebrazioni diverse... dov'è la comunione ecclesiale richiamata dal Papa il fatidico 10 gennaio? Perché, soprattutto questi giorni definiti "Santi" devono essere occasione dell'ennesima lacerazione del tessuto ecclesiale?

Una ragione c'è e risiede nel fatto che nel cammino NC si consumano riti che hanno caratteristiche e significati esclusivamente comunitari, senza nessun legame con i riti della Chiesa: giovedì e venerdì santo, mentre ancora i fedeli sono in chiesa e defluiscono lentamente da essa e mentre molti altri sostano per l'adorazione del santissimo sacramento o per l'adorazione della croce, gli aderenti al cammino NC si mobilitano per preparare le loro sale per fare delle celebrazioni parallele della lavanda dei piedi e del venerdì santo. Cose simili accadono anche il giorno delle ceneri: mai partecipano all'imposizione delle ceneri fatta in chiesa, ma nel corso di una penitenziale, inseriscono questo rito. Per non parlare delle comunità che si riuniscono a celebrare per tutto il tempo di pasqua in veste bianca, alla sera, di nascosto...

La lavanda dei piedi neocatecumenale

Nelle comunità la lavanda dei piedi è eseguita dal responsabile assieme all'ostiario che li asciuga.. Ogni comunità la celebra per conto suo (una delle tante cose de facto e non de iure rispetto allo statuto). Dopo che il responsabile ha lavato i piedi a tutti i fratelli della sua comunità, chiunque abbia un giudizio verso un fratello gli lava i piedi per chiedere perdono!

Essa non è inserita in una celebrazione eucaristica, perciò il sacerdote non c'è, o comunque non è strettamente necessario. Deve essere il capo responsabile a lavare i piedi ai fratelli, proprio per il servizio che svolge in comunità, che lo porta ad essere servo degli altri. È un segno che in apparenza è simile a quanto fatto da Gesù, in realtà è una scimmiottatura grottesca, a cui viene anche dato il significato di riconciliazione tra i fratelli. Dopo che il responsabile ha lavato i piedi a tutti, i fratelli liberamente lavano i piedi prima al coniuge e poi alle persone con cui c'è stato qualche contrasto. Così una testimonianza: "E qui inizia il grottesco: quando qualcuno ti viene a lavare i piedi cominci a chiederti 'ma che cosa gli avrò fatto, o forse avrò detto qualcosa che l'ha offeso'; oppure succedeva che si andava a lavare i piedi e si diceva: 'scusa sai, non ce l'ho con te, ma non so a chi lavare i piedi." [La differenza non è banale: cfr. nell'immagine la Lavanda dei piedi del Papa nel corso della Messa in Coena Domini dello scorso anno]

E poi c'è l'aspetto, anche questo tenuto un po' nascosto e quindi pericoloso, della riconciliazione tra le persone che non è solo semplicemente un segno simbolico (come nella messa lo scambio della pace col vicino), ma diventa quasi un sacramentale, perchè il gesto viene ripetuto nella sua completezza (ci si lava veramente i piedi), e quindi si tende a ritenere che sia quello il gesto che mi riconcilia veramente con il fratello, rendendo quindi la confessione personale, e l'eventuale penitenza, qualcosa di secondario rispetto al 'segno forte' celebrato in comunità.

I NC obietteranno che si legge il vangelo di Giovanni, il che è vero, e che ci si attiene a quanto sta scritto lì. Ma in realtà è una autocelebrazione della comunità (quasi sempre senza sacerdote, e quando possibile nelle case private), per mettere in evidenza il peccato e il fango dell'uomo, e poi autoassolversi l'un l'altro con un gesto di apparente umiltà. Si fa quello che ha fatto Gesù per dire che in fondo non abbiamo più bisogno di Lui, che possiamo perdonarci da soli. Vuoi mettere l'ebbrezza di ripetere, da laici, quello che ha fatto Gesù e che nella Chiesa lo può fare solo il sacerdote durante la celebrazione eucaristica, che oltretutto rievoca l'istituzione dell'Eucaristia?

Che senso ha fare una celebrazione privata del genere, senza il sacerdote, e con significati propri che abbiamo analizzato, proprio mentre tutti gli altri cristiani sono in Chiesa a celebrare l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio? Vogliamo rispolverare per chi non l'avesse ancora letta una nostra riflessione, riportata di seguito.

Dietro la Lavanda dei piedi neocatecumenale, c'è l' interpretazione letterale, ma non ecclesiale, di Giovanni 13. È con tale interpretazione che si "giustifica" il rito della Lavanda ripetuto in celebrazione assolutamente privata da ogni comunità dopo un paio di anni di cammino.

Ma, a prescindere dalla celebrazione privata (un'altra ritualità anomala dei NC, perché la Chiesa la fa il giovedì Santo, nelle Chiese consacrate, ricordando l'istituzione dell'Eucaristia), è evidente che nel "venne a servirli" citato da Kiko Arguello anche nella lettera al Papa c'è il senso della "lavanda dei piedi" che lui enfatizza nell'Eucaristia e se ne può intuire il perché: perché è l'unico accenno ad un'azione di Gesù nella Cena del Vangelo di Giovanni, mentre la formula della Consacrazione del Pane e del vino [a cui peraltro Kiko dà una diversa interpretazione: "Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa" (!?)] è contenuta solo nei sinottici e nella lettera ai Corinzi (in Giustino ecc.)... Eccoci dunque ancora una volta al malinteso ritorno alle origini e sempre nell'interpretazione letterale di una parte di un vangelo trascurandone altre nonché altri elementi essenziali della stessa:

  1. lo stesso Giovanni non fa altro che parlare del "pane vivo disceso dal cielo" e "chi non mangia di questo pane e non beve di questo sangue...", mentre il Signore ci ha consegnato la formula Consacratoria: "questo è il mio corpo...", "questo è il mio sangue..." con la quale ci ha consegnato Sé stesso, Vivo e Vero, fino alla fine dei tempi...
  2. Il vangelo di Giovanni è stato l'ultimo vangelo redatto, quando nelle comunità la fractio panis era già consolidata e non c'era bisogno di parlarne esplicitamente, tanto più che del Corpo del Signore come pane e del Sangue come bevanda della nuova alleanza (formula della Consacrazione) ne parla a iosa... “Perciò Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi.” (Gv 6)
  3. La Chiesa la celebra il Giovedì Santo, giorno del Triduo Pasquale dedicato all'istituzione dell'Eucaristia e, per la Chiesa, la "lavanda dei piedi" oltre ad introdurre al discepolato, simboleggia il 'lavacro' operato dal Sacramento della Riconciliazione, ma soprattutto l’istituzione del Sacerdozio Ministeriale. Cos'è che "giustifica " il rito della Lavanda ripetuto in celebrazione assolutamente privata da ogni comunità neocatecumenale dopo un paio di anni di cammino e per di più celebrato DA LAICI? Soltanto la rivalutazione tutta protestante del sacerdozio battesimale rispetto a quello ordinato, la celebrazione di un rito di “iniziazione” al discepolato, un rito di assoluzione intracomunitaria!
  4. La verità non detta esplicitamente ma da noi più volte ribadita è che Kiko e Carmen si sono fermati alla "lavanda dei piedi", che è appunto un rito di iniziazione, detto "di inversione" che introduce al discepolato. Questo è il vero significato della ritualità anomala operata a due anni d'inizio del cammino ed è anche il vero senso dello "stare seduti" a mensa durante l'Eucaristia - detto anche nella lettera al Papa - mentre Cristo passa a "servirli"!!!! Attualmente, dopo lunghe 'trattative' precedenti l'approvazione degli statuti (come se la liturgia potesse essere oggetto di trattative), si alzano in piedi al momento della comunione; ma non è cambiata l'interpretazione di quelle che per il cattolicesimo sono le Sacre Specie. Durante la Veglia Pasquale dello scorso anno, nella Chiesa di S. Petronio a Bologna, la comunione è stata fatta da seduti! Ed il fenomeno è ben più diffuso: le ragioni possono attendibilmente spiegarsi con la conclusione della seguente testimonianza:
  5. Kiko sostiene che nel Cammino l’Eucarestia sia il punto fondamentale, tanto da porlo come primo elemento del tripode del cristiano. Inoltre viene fatta all’inizio del Cammino una monumentale catechesi (creduta cattolica da chi la ascolta) sull’Eucarestia e sulla storia dell’evoluzione liturgica (o forse sarebbe meglio dire che secondo Kiko trattasi di “involuzione della Messa cattolica”). Ma quello a cui non si fa sovente caso è che la prima parte di questa catechesi, trattata da Carmen, è tutta rivolta a tentare di identificare il Santo Sacrificio eucaristico con il Seder pasquale ebraico: se la si legge con pazienza si vede come Carmen ripercorra tutte le fasi del Seder pasquale ebraico, tentando di metterle in parallelo con le varie parti della Messa Cattolica, pretendendo di concludere affermando che Cristo non fece niente altro che la cena ebraica, nella quale inserì il Suo Corpo e il Suo Sangue. Semplifico molto per ragioni di lunghezza.
    Le recenti parole di Kiko: "Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa" (!?) – confermano quanto appena detto.
    E qui si spiega una cosa incredibile: come mai proprio nella sera dell’istituzione dell’Eucarestia, il Cammino Neocatecumenale NON FA MEMORIALE dell’istituzione eucaristica, che Kiko considera una parte irrinunciabile per una “iniziazione cristiana”?
    Come mai, più che in ogni altro giorno dell’anno, il Cammino non celebra nel Giovedì Santo una grande Eucarestia, in pompa magna, come fanno loro, piena di luci, di canti, di balli, per rendere grazie al Signore per la liturgia che ha donato alla Chiesa? Non certamente per non intaccare la comunione ecclesiale (inesistente) con i riti pasquali della parrocchia! Non certamente per farsi scrupolo di distaccarsi dalla pastorale universale!
    Tutti i sabati che ha fatto Dio i neocatecumenali non si fanno scrupolo di celebrare la loro Eucarestia separatamente dal resto della parrocchia, men che meno fa eccezione la Veglia pasquale! Perché allora il Giovedì Santo no? La risposta la da Kiko: "portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea…"
    A Kiko non interessa nulla della Santa Eucarestia cattolica, istituita da nostro Signore, né di celebrarne l’istituzione, perché lui predica e fa celebrare niente altro che il Seder ebraico! L’eucarestia del Cammino Neocatecumenale non è la Santa Messa della Chiesa, ma solo la caricatura di una Pasqua ebrea (un Novus Ordo ulteriormente rivisitato), in cui le sacre specie vengono cabalisticamente sfruttate per intraprendere il viaggio “divinizzante” che si fa lasciandosi trasportare dal “Carro di fuoco” (non è così che Kiko definisce l’Eucarestia? Il “Carro di fuoco”?)
    Inoltre: il fatto di rimanere seduti, senza andare in processione per ricevere l’Eucarestia, non si riferisce solo alla parola escatologica in cui “il Signore li farà sedere e passerà a servirli”, ma riguarda appunto l’atteggiamento cabalista di vivere l’evento pasquale: chi conosce l’opera del cabalista Nadav Crivelli sa che costui scrive che per sperimentare il Mà Ase’Merkavà, cioè per intraprendere il viaggio sul “Carro di fuoco” occorre farlo DA SEDUTI.Inquietante, no?
  6. Resta assodato che il fatto che le comunità celebrano la ritualità separatamente dalla parrocchia e ognuna per proprio conto è strumentale per cementare la comunità, Ricordiamo ancora una volta come anche in questo caso si tratta di un cemento solo orizzontale, che non è vera comunione (che si fonda nel Signore ed è fatta unicamente da Lui) ma risponde a leggi psicologiche e non spirituali. Se c'è però qualcosa che affonda le sue radici nell'ordine spirituale, ricordo che non si tratta di una spiritualità cattolica e questo basterebbe per mettere in allarme non solo teologi e liturgisti, ma anche persone credenti che hanno assimilato e vivono la Rivelazione Apostolica che è di natura Soprannaturale e non è "fatta da mano d'uomo"...

La conclusione di tutto ciò è quella di fondo, già richiamata nel titolo: al di là delle ineludibili implicazioni teologiche e spirituali, che fine fa in tutto questo la comunione ecclesiale?

Infine, i riti del Giovedì e del Venerdì Santo, nel cammino vengono giudicati (ed ecco il prevalere della sensazione personale, sul significato serio e profondo della solenne liturgia cattolica) "più suggestivi ed intimi": ovvio, sono fatti separatamente per ogni comunità, proprio per cementare lo spirito comunitario e stringere sempre più i vincoli e gli afflati comunitari, ma non corrispondono ai significati della liturgia cattolica e soprattutto mancano totalmente di cattolicesimo, proprio nel senso di 'universalità', a prescindere appunto dalle altre considerazioni teologiche e liturgiche che non non sono certo elementi secondari... e rappresentano comunque momenti di vita ecclesiale rigorosamente 'separati' e quindi fuori dalla comunione ecclesiale, anche durante un tempo liturgico 'forte' come quello della Settimana Santa...

sabato 16 aprile 2011

Mons. Gherardini sul Cammino neocatecumenale

Brunero Gherardini, Concilio Vaticano II. Il discorso mancato Lindau, 2011
L’Autore è convinto che il Discorso da fare sul Vaticano II - secondo il titolo di un suo precedente lavoro (2009) - non sia per il cristiano d’oggi, per i preti, per la Chiesa stessa, un’opzione fra molte, ma una vera necessità. Ed è perciò dispiaciuto che, finora, nonostante l’incrociarsi delle cosiddette ermeneutiche, il Discorso sia mancato. Per questo nel volumetto citato spiega la ragione di questa omissione, che individua non tanto nelle correnti post-conciliari, quanto nell’orientamento assunto fin dall’inizio dai Padri conciliari. Tra lo spirito con cui essi intrapresero la celebrazione del Concilio ed i sedici documenti maturati nel corso di esso c’è una logica perfetta: il rifiuto, infatti, degli Schemi ufficialmente preparati, con il quale il Concilio prese l’avvio, non poteva ingenerare che quei documenti, con quel loro indirizzo, quelle loro aperture. E da queste, proprio perché tali, non poteva scaturire che un atteggiamento di rottura col passato. Ciò, sia ben chiaro, non comporta un no al Concilio, del quale l’Autore individua quattro distinti livelli, assegnando ad ognuno di essi un diverso valore. Nonostante la necessità di ricorrere alla chiarezza per dir le cose come stanno, resta il fatto che il Vaticano II è un Concilio autentico, ma ne resta tuttora inespressa la lettura dogmaticamente veritativa di alcuni "nodi" ormai sotto gli occhi di tutti.


Estraiamo il testo che segue dalle pagg. 71-73:

...E ci son aberrazioni indubbiamente più gravi. Quelle dei cosiddetti "Neocatecumenali.

Non so se risponda a piena verità ciò ch'essi vanno dicendo al colto e all'inclita, d'avere cioè ottenuto la piena approvazione da parte della Sede Apostolica. Ciò che è a mia conoscenza - e la fonte è sempre "L'Osservatore Romano" - è che, almeno fin a qualche tempo fa, quel movimento fosse "sub iudice". Se poi l'approvazione ci fosse stata davvero, la gravità sarebbe chiaramente maggiore, perché determinerebbe una situazione di "Chiese parallele". Nel 2002 l'allora card. Ratzinger dichiarò che gli Statuti dei Neopentecostali, "il Direttorio catechetico e tutta la prassi catechetica e litugica del Cammino" eran "al vaglio dei competenti Dicasteri". Neanche due mesi dopo - da settembre e novembre dello stesso anno 2002 - nella Chiesa "Caput et Mater omnium ecclesiarum", vale a dire in San Giovanni in Laterano, si procedette all'ordinazione di 10 diaconi neocatecumenali [Il fenomeno lo avevamo denunciato qui]. Era la dimostrazione fattiva e visiva delle due "Chiese Parallele".

Non m'interessano le vicende personali di Kiko e di Carmen, anche se l'impressione è che non sian molto edificanti. A me interessa soltanto la fedeltà alla dottrina della Chiesa, quale ci viene riproposta nella sua secolare identità dalla sacra Tradizione. Non ho la possibilità d'una diretta verifica di essa nei testi ufficiali del Cammino neocatecumenale, dal momento che tali testi subiscono una sorta di "secretazione". Qualcuno, però, li ebbe fra le mani e, citandoli alla lettera li portò a conoscenza di tutti [cfr. E. Zoffoli, Verità sul Cammino neocatecumenale, testimonianze e documenti, Ed. Segno, Udine 1996]. Nessun dubbio che da quelle citazioni emerga l'evidenza dell'eresia. Specificarla sarebbe impresa improba: è eresia su tutta la linea. In particolare la si rileva in ordine al mistero eucaristico. Ora l'eresia è un "bubbone che va reciso", come scrisse Karl Barth a proposito della mariologia cattolica; un vescovo, al quale proprio questo avevo osservato, mi rispose: "però pregano molto e quindi lasciamoli in pace". Avete letto bene: un vescovo, pregano molto, lasciamoli in pace. Si vede che per i vescovi del post-concilio una preghiera val bene un'eresia. La situazione caotica determinata dal nuovo associazionismo cattolico, di cui il Cammino Neocatecumenale è una delle espressioni più emblematiche dovrebb'esser non lasciata a se stessa ed ancor meno approvata o tollerata "pro bono pacis", specie se fosse priva della dovuta chiarezza dogmatica e morale. Non si può, per esempio, né ammettere né tollerare un movimento che, per principio, riduca al minimo la presenza presbiterale nella sua attività catechetica e liturgica. D'altra parte, sarebbe molto facile mettere in risalto l'ecclesialità d'ogni movimento sedicente cattolico, commisurandola con il contenuto teologico e giuridico di codesto stesso aggettivo: cattolico è non ciò che spunta per generazione spontanea all'interno della Chiesa, ma ciò cui dà vita o ne prende in mano le redini la gerarchia ecclesiastica. Proprio questa è la ragione dell'Azione Cattolica, non a caso contestata e marginalizzata dal post-concilio.

Anche a tale riguardo sarebbe stato provvidenziale e lo sarebbe tuttora, il discorso da fare.

Ho accennato alla situazione caotica: non ne è responsabile il solito incontrollato associazionismo; molto più responsabili sono "i cani che non latrano quando dovrebbero latrare" (Is 56,10).

giovedì 14 aprile 2011

Don Nicola Bux sulla Liturgia.

Stralciamo alcune dichiarazioni rese recentemente da Mons. Nicola Bux a la “Bussola quotidiana” che lo ha intervistato, che “devono farci riflettere su quello che ha voluto dirci il Papa con il Motu Proprio e con la prossima pubblicazione dell'istruzione con il quale applicarlo”. Ci sono di spunto per proseguire nelle nostre riflessioni sulla Liturgia e sui noti problemi che ne fanno un punto nodale nell'attuale evolversi della nostra consapevolezza e degli sviluppi possibili della "Riforma della Riforma, se ci sarà...
(l'immagine è tratta dal 1° Convegno sul Summorum Pontificum, nel quale ha tenuto un intervento: La Liturgia tra tradizione e innovazione. La riforma paziente di Benedetto XVI)


Proviamo a orientarci. Siamo in un contesto dove gli abusi liturgici ormai sono la prassi. Che si fa?
Riconosciamo che in parte sono stati responsabili dell'allontanamento dalla fede di tanti.

Dopo di che?
Credo che si debba partire da un aspetto ormai tralasciato della messa: quello sacrificale. Nell'ultimo libro del Papa leggiamo che dalla trafittura del costato escono sangue e acqua. Questo ci richiama che Gesù è venuto non solo con l'acqua, ma anche col sangue. Benedetto XVI allude a una corrente di pensiero che attribuiva valore soltanto al battesimo, ma accantonava la croce e considerava solo la parola, la dottrina, il messaggio e non la carne.

Ebbene?
Quanti confratelli conosco oggi che dicono che basta solo la parola, che la parola è centrale! Tutto questo tende a creare un cristianesimo del pensiero e delle idee che vuole togliere la realtà della carne e il sacrificio.
Che cosa c'entra tutto questo con la liturgia?
C'entra perchè oggi si celebra la messa intendendola come banchetto, come cena e viene assolutamente trascurato il solo pensiero che la messa possa essere il sacrificio di Cristo.

È un tema ormai annoso, ma oggi qual è l'urgenza?
La liturgia non è più solo quella post conciliare. Il Santo Padre ha ripristinato anche quella pre-conciliare. Significa che non si può pensare ad un adeguamento delle chiese che non tenga conto anche della liturgia ripristinata, la quale prevede che la celebrazione della messa si possa fare rivolti ad Dominum e non di spalle, come maliziosamente si è cercato di far passare.

Un momento. Prima gli adeguamenti e adesso i contro-adeguamenti?
Questo aspetto può essere compreso solo all'interno del grande simbolismo, che l'edifico sacro cristiano possiede. La Chiesa è simbolo del cosmo ed è composta di elementi indefinibili e sensibili, allo stesso modo la chiesa, in senso di edificio, è simbolo dell'uomo composto di un corpo rappresentato dalla navata, da un'anima, il presbiterio e da uno spirito, l'altare, secondo la simbologia dei padri orientali.
Ma questi sono elementi che, più o meno, sono rispettati dappertutto...
Non ne sarei così convinto. Da circa 40 anni, dopo il congresso di Bologna promosso nel '68 dal cardinal Lercaro, è andata avanti una forma di chiesa a teatro, dove tutti coloro che prendono posto si guardano tra loro. Che non siano rivolti più, insomma, verso un punto comune. Lentamente questa impostazione ha preso piede e ha portato alla perdita di orientamento della celebrazione che, lo ripetiamo, non ha come suo centro il popolo né, tantomeno, il sacerdote, ma il Signore, rappresentato dall'Oriente e successivamente dal Crocifisso.

Che piano piano ha perso la sua centralità...
Di più. Non ha più un punto fermo, è in movimento continuo, è una suppellettile secondaria. Alcuni confratelli sostengono che la croce è inutile per celebrare. Il fatto è che tutto ciò che spostiamo dal nostro centro visivo, dal punto di vista psicologico perde di importanza e se perde d'importanza la croce avviene lo stesso anche per l'altare, che diventa un podio da conferenza.

Che fare allora?
Ripartiamo dal discorso di Benedetto XVI alla Curia romana sulle due ermeneutiche del Concilio Vaticano II. Va applicato anche alla liturgia e all'arte.

Lei sceglierebbe quella della continuità? Però il suo, sembra essere un discorso di rottura con quanto avvenuto negli ultimi 40 anni.
Partiamo anzitutto dal fatto che la Costituzione Sacrosantum Concilium dice: “Non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera ed accertata utilità, con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche modo, da quelle già esistenti (n° 23)”. E' la dimostrazione che il Concilio non ha avuto un'azione così dirompente. Eppure abbiamo affidato le nostre chiese alle archistar, senza preoccuparci se sono credenti e dunque interpreti della fede che si vuole esprimere nell'opera.

Aiuto. Pioveranno critiche...
(Ride) Ho posto il quesito in occasione del seminario con sua eminenza il cardinal Gianfranco Ravasi nel luglio scorso in un seminario. Gli ho detto: “Ma come? Chiediamo ai genitori dei bimbi che fanno i sacramenti di scegliere padrini credenti e poi per l'edificio sacro che viene consacrato con un ritto simile a quello dell’iniziazione, con l’unzione del crisma, quasi fosse una persona, ci permettiamo di affidarne la progettazione a chi spesso non sa neanche che cosa sia la fede cattolica?”.

Com'è andata?
Sua eminenza è stato molto attento. Ho proposto che certe opere andassero nel “Cortile dei gentili”!

Intanto però, là, in chiesa il problema rimane...
Il richiamo all'arte sacra ci deve far capire l'urgenza di riscoprire i canoni dell'arte anche perché il popolo per sua natura rigetta ciò che gli è estraneo. Prenda la croce di Pomodoro in San Giovanni Rotondo. E' già stata rimossa e sostituita con un crocifisso tradizionale. O anche a quello che sta succedendo a Reggio. Si vuole portare una scultura di un artista giapponese che sostituisca il crocifisso: una barca sormontata da un albero. Non credo che avrà molto seguito della devozione del popolo, che tra l'altro, spesso paga e fa sacrifici per sostenere certe spese.

Che cosa propone?
Dovremmo rimettere in discussione le norme di adeguamento degli edifici di culto promulgate dalla Conferenza Episcopale Italiana nel '96. Soprattuto adesso, in presenza del motu proprio "Summorum Pontificum" e dell'istruzione applicativa di imminente pubblicazione, ritengo che sarà necessario rivederle. In merito, c’è già uno studio di un professore dell’Istituto di Scienze religiose della Diocesi di San Severo, don Matteo De Meo, che meriterebbe di essere conosciuto dall’ufficio competente della Cei.

La accuseranno di eccessivo tradizionalismo...
Ma le norme ecclesiastiche sono rivedibili e andrebbero riprese ed esaminate per dare ai sacerdoti e ai fedeli, alla luce dell'evoluzione del Magistero, la possibilità di sentirsi a casa propria.

Un modo allora per porre un limite agli abusi liturgici?
Mi è piaciuta una domanda fatta da un sacerdote l'altra sera: “Tutti questi cambiamenti hanno fatto avvicinare la gente alla fede o no?”. Le statistiche dicono di no. Ecco, penso che mai come in questi decenni siamo stati interessati da documenti del Magistero, da Paolo VI ad oggi, che puntano a limitare gli abusi. Eppure siamo di fronte a messe show, alla scomparsa degli inginocchiatoi, che tra l'altro, costringe il fedele a venir meno al primo compito della messa, quello dell'adorazione. E ancora: ai sacerdoti che si vestono secondo il loro gusto personale, come se i paramenti non fossero l'oggettività del rito che viene affidato ad un ministro, anche se indegno. In questo modo la messa è puro intrattenimento e la chiesa un auditorium.

Perché allora non cambiare le norme dall'alto?
Le faccio questa similitudine. La liturgia cambia nei secoli, come il paesaggio. Anno dopo anno, secolo dopo secolo, quell'albero, quel prato, quella spiaggia, mutano impercettibilmente il loro aspetto. Che però cambia. E quando introduciamo degli ecomostri, che deturpano questo aspetto, ci scandalizziamo. Allo stesso modo è la liturgia. Quando il cambiamento è stato fatto a forza di decreti sono scoppiati i tafferugli ed è successo che, dopo 40 anni, quello che si pensava sotterrato come Giona nel ventre della balena, sta tornando fuori.

mercoledì 13 aprile 2011

Don Gino Conti

All'età di 92 anni, il 7 aprile scorso, Don Gino CONTI è tornato al Padre.

Don Gino ha continuato a svolgere il suo apostolato fino all'ultimo con grande dedizione ed ammirevole vigore e lucidità, curando la formazione del suo gruppo che seguiva da molti anni e seguendo noi con attenta dedizione e premura. Gli stolti potranno pensare che ci sarà una voce in meno a testimoniare la Fedeltà alla Tradizione, ma noi sappiamo che la Verità trova sempre il modo di risplendere attraverso strade e situazioni e persone sempre nuove e legate ad un Amore sempre Provvidente.

Don Gino ha trascorso gli ultimi mesi della sua lunga e laboriosa vita nella casa di cura “Santa Maria della Pace” a Fontecchio (AQ) ed ha continuato a scrivere fino all'ultimo. I suoi scritti usciranno appena possibile a cura di chi lo ha seguito con amorosa premura fino alla fine. Ve ne sarà data tempestiva notizia.

Abbiamo un altro intercessore in cielo. Ricordiamolo nella nostra preghiera.

martedì 12 aprile 2011

LA “CELEBRAZIONE” KIKIANA DEL SABATO SERA E’ REALMENTE APERTA A TUTTI? Una contraddizione palese nelle pieghe dello Statuto Neocatecumenale.

L’art 13, paragrafo 2 dello Statuto Neocatecumenale così recita:

“ I neocatecumeni celebrano l’Eucaristia domenicale nella piccola comunità, dopo i primi vespri della Domenica. Tale celebrazione ha luogo secondo le disposizioni del Vescovo diocesano. Le celebrazioni dell’Eucaristia delle comunità neocatecumenali al sabato sera fanno parte della pastorale liturgica domenicale della parrocchia e sono aperte anche ad altri fedeli.”

Sembrerebbe dunque che la celebrazione neocatecumenale, pur essendo officiata in remote e anonime sale parrocchiali, sia realmente aperta a tutti in quanto “parte della pastorale liturgica domenicale della parrocchia”.

L’ art 24, paragrafo 2, sub 6 del medesimo statuto però , citando vistosamente ( e maldestramente) alcuni passaggi dell’OICA , così puntualizza:.

«Quando (i catecumeni n.d.r.) partecipano all’assemblea dei fedeli, devono esser con gentilezza congedati prima dell’inizio della celebrazione eucaristica». Ciò viene fatto nel Cammino Neocatecumenale mediante una benedizione speciale,dopo la quale ricevono «una opportuna catechesi» preparata sulla base del Catechismo della Chiesa Cattolica, che «porta i catecumeni non solo a una conveniente conoscenza dei dogmi e dei precetti, ma anche all’intima conoscenza del mistero della salvezza».

Dal momento che i neocatecumeni sono tutti almeno battezzati, quindi sacramentalmente iniziati già alla vita cristiana, non si capisce perché debba esser loro applicato il divieto (previsto dall’OICA esclusivamente per i non battezzati) di partecipare all’Eucarestia.

E se nella dimensione kikiana …il divieto vale per i neocatecumeni ancora digiuni di “opportuna catechesi”, è legittimo supporre che, a maggior ragione, valga per i non neocatecumeni desiderosi di partecipare all’Eucarestia del sabato sera.

Ergo….l’art.13, paragrafo 2 dello Statuto è una solenne presa in giro , primi fra tutti, di coloro che l’hanno approvato e firmato!

venerdì 8 aprile 2011

Il Papa contraddice Kiko: l'Eucarestia non è solo l'Ultima Cena

"Un arcaismo che volesse tornare a prima della Risurrezione e della sua dinamica ed imitare soltanto l'Ultima Cena, non corrisponderebbe affatto alla natura del dono che il Signore ha lasciato ai discepoli".

Lo scrive il Papa nella seconda parte del suo "Gesu' di Nazaret".

"Con l'Eucaristia - spiega - è stata istituita la Chiesa che diventa se stessa a partire dal Corpo di Cristo e insieme, a partire dalla sua morte, è resa aperta verso la vastità del mondo e della storia". Dunque, spiega Benedetto XVI marcando una forte differenza con la concezione protestante della messa come "memoriale" della cena di Gesù con i discepoli, "l'Eucaristia è al contempo il visibile processo del riunirsi, un processo che nel luogo e attraverso tutti i luoghi è un entrare in comunione con il Dio vivente che dall'interno avvicina gli uni agli altri.

La Chiesa si forma a partire dall'Eucaristia. Da essa riceve la sua unità e la sua missione. La Chiesa deriva dall'Ultima Cena, ma proprio per questo deriva dalla Morte e Risurrezione di Cristo, anticipate da Lui nel dono del suo corpo e del suo sangue".

Dopo l'Ascensione, del resto, "il Signore viene mediante la sua parola; viene nei sacramenti, specialmente nella santissima Eucaristia; entra nella mia vita mediante parole o avvenimenti". Per il Papa "esistono, però, anche modi epocali di tale venuta" e cita in proposito "l’operare delle due grandi figure di Francesco e Domenico, tra il XII e il XIII secolo"; che "è stato un modo in cui Cristo è entrato nuovamente nella storia, facendo valere in modo nuovo la sua parola e il suo amore; un modo in cui Egli ha rinnovato la Chiesa e mosso la storia verso di sé. Una cosa analoga - secondo Ratzinger - possiamo dire delle figure dei santi del XVI secolo: Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio portano con sé nuove irruzioni del Signore nella storia confusa del loro secolo che andava alla deriva allontanandosi da Lui.

Il suo mistero, la sua figura appare nuovamente, e soprattutto: la sua forza, che trasforma gli uomini e plasma la storia, si rende presente in modo nuovo".
(notizia della AGI)

Ricordiamo invece cosa "insegna" Kiko Arguello:

- la messa neocat fa passare i fratelli di comunità... "dalla tristezza all'allegria" (Kiko: lettera al Papa del 17-1-2006)

- la messa neocat vuole significare qualcos'altro:
"Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa. Quando nelle cena della Pasqua ebraica si scopre il pane si parla di schiavitù, quando parlano della Terra promessa scoprono il calice, la quarta coppa. In mezzo a questi due momenti c’è una cena, quella nel corso della quale Gesù disse “Questo è il mio Corpo” (a significare la rottura della schiavitù dell’uomo all’egoismo e al demonio) e “Questo è il mio Sangue” (a significare la realizzazione di un nuovo esodo per tutta l’umanità). Più tardi – continua Kiko spiegando i motivi dell’importanza della Comunione sotto la specie del vino – i cristiani toglieranno la cena e metteranno insieme il pane e il vino. Ora, nel Cammino abbiamo molta gente lontana dalla Chiesa, non catechizzata, e nei segni del pane azzimo (la frazione del pane) e del vino noi diamo visibilità a quei significati. Abbiamo scelto di fare la comunione seduti soprattutto per evitare che nei movimenti si versasse per terra il Sangue di Cristo. Il fedele, con tutta calma accoglie il Calice, lo porta alla bocca e si comunica con tranquillità e in modo solenne”. “Seduti come seduto era anche Gesù”, specifica Carmen. (Kiko, conferenza stampa del 14-6-2008)

Papa Benedetto XVI:
"Un arcaismo che volesse tornare a prima della Risurrezione e della sua dinamica ed imitare soltanto l'Ultima Cena, non corrisponderebbe affatto alla natura del dono che il Signore ha lasciato ai discepoli".

I neocatecumenali sono famosi per le loro chiassate liturgiche e perché snobbano l'adorazione eucaristica. Sentiamo dunque che ne dice papa Benedetto XVI:

"Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa. Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, «soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri»" (Sacramentum Caritatis)

Ed ancora (contro i cosiddetti "modernisti" ed in particolare contro i neocatecumenali):
"Raccomando vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di Dio la pratica dell'adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria... Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia" (Sacramentum Caritatis).

Incontro di bloggers in Vaticano il 2 maggio prossimo

Che ne dite?

Un incontro di bloggers avrà luogo nel pomeriggio del 2 maggio prossimo. L’evento, organizzato dai Pontifici Consigli della Cultura e delle Comunicazioni Sociali, ha come obiettivo quello di permettere un dialogo tra bloggers e rappresentanti della Chiesa, per condividere le esperienze di coloro che sono attivi in questo campo e per meglio capire le esigenze di tale comunità. L’incontro servirà anche a presentare alcune delle iniziative che la Chiesa sta attivando per il mondo dei nuovi media, sia a Roma, sia a livello locale. Nelle due sessioni previste, diversi relatori presenteranno alcuni punti centrali, per avviare una discussione aperta a tutti i partecipanti. Nella prima, cinque bloggers, in rappresentanza delle diverse aree linguistiche, affronteranno temi specifici di importanza generale. Nella seconda, ci sarà la testimonianza di persone impegnate nelle strategie comunicative della Chiesa, che presenteranno le loro esperienze di lavoro con i nuovi media, e anche le iniziative per un incontro efficace tra la Chiesa e il mondo dei bloggers. Tra i partecipanti figurano il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Claudio Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, e padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Un aspetto importante dell’incontro sarà quello di offrire l’opportunità di nuovi contatti, di scambi informali tra i partecipanti e di aprire nuove piste di interazione. L’incontro si svolge il giorno dopo la Beatificazione di Giovanni Paolo II, per questo si prevede la presenza a Roma di numerosi bloggers. L’invito è aperto a tutti, ma, per partecipare, bisogna inviare un email a blogmeet@pccs.it con un link al proprio blog. Dato che lo spazio è limitato a 150 posti, e c’è il desiderio di avere una rappresentanza di tutta la blogosfera, i pass e i dettagli per l’evento saranno assegnati secondo criteri linguistici e geografici, la tipologia del blog (istituzionale, privato, multiautore o personale), le tematiche e la tempestività dell’iscrizione.

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mercoledì 6 aprile 2011

MA ESISTE ANCORA IL “PECCATO”? (Fox, Vito Mancuso …e le strane assonanze con le parole di Carmen Hernandez)

Nei giorni scorsi Paolo Rodari ha pubblicato sul proprio blog un interessante thread, che riportiamo qui integralmente. Parla del teologo M. Fox, il novello Lutero intento nei giorni scorsi ad affiggere le sue 95 tesi…tutte riconducibili a una macrotesi di fondo: la negazione dell’idea del peccato originale, e del peccato in genere. L’idea del peccato non è biblica, Gesù Cristo non l’ha mai insegnata. Se il peccato non esiste, a che serve la confessione? A cosa serve la redenzione? E, dunque, a cosa serve Gesù Cristo? Ma ecco l’articolo integrale:

“Ecco chi è il teologo celebrato oggi a Roma da Vito Mancuso -2 aprile 2011 -

I teologi del dissenso non sono tutti uguali. Alcuni lottano contro Roma unendo le proprie forze, come il gruppo degli oltre 150 teologi tedeschi che ha chiesto recentemente al Papa l’abolizione del celibato sacerdotale e l’ordinazione femminile. Altri lottano da soli. Tra questi Matthew Fox, l’ex frate domenicano i cui scritti vennero censurati dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1993. Scrive su Repubblica Vito Mancuso che Fox è in queste ore a Roma per partecipare a un dibattito con lui nel contesto della rassegna “Libri come” e che, con l’occasione, affiggerà oggi alle 12 nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore 95 tesi “contro il papato”. Un gesto che Fox già fece nel 2005, quando Ratzinger divenne Benedetto XVI. Scrive Mancuso: “Era il 31 ottobre 1517 quando Lutero inchiodava sul portone della chiesa di Wittenberg le 95 tesi contro le indulgenze papali dando origine alla riforma protestante”. Nel 2005 Fox fece la medesima cosa nella cattedrale di Wittenberg ma ora “è la volta di Roma”. E’ la volta di Santa Maria Maggiore dove arciprete è il cardinale Bernard Francis Law, colui che secondo la vulgata coprì i preti pedofili. Una tesi di Fox è riservata a quelli come lui: “La pedofilia è una colpa terribile, ma il suo occultamento per opera della gerarchia è ancora più esecrabile”. Fox recentemente ha spiegato la sua visione della teologia e del papato in una lunga intervista al Corriere della Sera. Qui ha spiegato che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono scismatici rispetto al Concilio Vaticano II e alla parte migliore della chiesa e che Ratzinger farà una brutta fine, abbattuto dai cattolici progressisti, dai gay e dalle femministe. Fox si paragona a Martin Lutero e, non a caso, una fotografia lo raffigura mentre affigge le sue tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg. La tesi di Fox è una: la negazione dell’idea del peccato originale, e del peccato in genere. L’idea del peccato non è biblica, Gesù Cristo non l’ha mai insegnata. Se il peccato non esiste, a che serve la confessione? A cosa serve la redenzione? E, dunque, a cosa serve Gesù Cristo? Nel 1993 Fox venne censurato ufficialmente dal Vaticano. Venne allontanato anche dai domenicani. Divenne un pastore degli episcopaliani, la branca statunitense e progressista degli anglicani. Insomma venne scaricato da tutti. Lui stesso fece di tutto per farsi scaricare. I suoi scritti ebbero negli anni Settanta un discreto successo. Quel successo che oggi, almeno fuori l’Italia, non ha più.”

La notizia ci ricorda quanto ancora si predica nelle catechizzazioni neocatecumenali in merito al peccato. Guardiamo dunque da vicino la predicazione di Carmen Hernandez sulla riconciliazione. (Le citazioni sono prese dagli Orientamenti editi nel '72 a Madrid per le équipes di catechisti)

"Le persone si chiedono se è possibile offendere solo Dio. La domanda è posta così perché abbiamo una concezione verticale del peccato, individualista: che siamo noi che offendiamo, in maniera particolare Dio, come se il peccato fosse un'offesa a Dio, nel senso di rubare a Dio la sua gloria. Accreditiamo l'ipotesi che possiamo causare danno a Dio. La prima cosa che dobbiamo pensare è che non si può causare danno a Dio. Dio non può essere offeso nel senso di togliere a Lui la gloria, perché allora Dio sarebbe vulnerabile e non sarebbe più Dio (p. 140)"

“Con il Concilio di Trento, e dal XVI al XX secolo tutto rimane bloccato. Appaiono i confessionali, queste casette sono molto recenti. La necessità del confessionale nasce quando si comincia a generalizzare la forma della confessione privata, medicinale e di devozione portata dai monaci… Chi mette i confessionali dappertutto è San Borromeo. Con dettagli che riguardano anche la grata… Adesso comprendete che molte delle cose che diceva Lutero avevano fondamento”(OR, p. 174).

“Si vedrà dunque molto l’efficacia del sacramento della penitenza per perdonare i peccati e l’assoluzione diventa un assoluto. Così la confessione acquista un senso magico in cui l’assoluzione di per se sola è sufficiente a perdonare i peccati. L’assoluzione ti perdona i peccati e tu resti tranquillo”. (OR, p. 175).

“Molti pensano… visto che la confessione personale è odiosa,… ci fossero assoluzioni generali… E per questo non crediate che sia una cosa nuova, perché già Pio XII concesse di dare assoluzioni generali, durante la guerra, a tutti i soldati. I grandi liturgisti dicono che è stato una fortuna che questo non si sia imposto perché avrebbero distrutto completamente la penitenza, rendendola ancora più magica. Perché il valore del rito non sta nell’assoluzione, visto che in Gesù Cristo siamo già perdonati, ma nel rendere l’uomo capace di ricevere il perdono che è ciò che vuole il processo catecumenale ed il processo penitenziale della Chiesa primitiva” (OR, p. 176).
“Uno si sente perdonato nel profondo, quando si sente in comunione con i fratelli. Per questo è importante l’abbraccio di pace… quello che noi facciamo è recuperare a poco questi valori del sacramento della Penitenza, facendo però ancora la confessione privata che è tuttora in uso” (OR, p. 177). “Tu sei schiavo del male: sei schiavo del maligno e obbedisci alle sue concupiscenze e ai suoi comandi” (OR, p. 129).

“Lo Spirito che Gesù invierà non è affatto uno Spirito di buone opere e di fedeltà al Cristo morto” (Or, p.151). “L’uomo che pecca vive nella morte. Ma non perché lui sia cattivo, perché vuol fare del male. Perché questo è religiosità naturale, che crede che la vita è una prova, che tu puoi peccare oppure no. No, no, l’uomo pecca perché non può fare altro, perché è schiavo del peccato” (1°SCR, p. 93). "… è curiosa l’idea (v. p. 174) di confessarsi prima di fare la Comunione, e questo è durato fino ai nostri giorni. Così abbiamo vissuto noi la Confessione: per l’efficacia del sacramento!". "Attualmente la Chiesa non compare da nessuna parte ed è un uomo che ti perdona i peccati".

Non per essere pignoli, ma Fox, a scapito del proprio cognome volpino, sembra aver proprio plagiato pesantemente , nelle sue tesi, Carmen Hernandez…..!

domenica 3 aprile 2011

Testimoni a confronto

Apriamo questo articolo con la testimonianza di un neocat che ricalca il solito clichè 'promozionale' che abbiamo confutato una marea di volte, incontrando evidentemente una assoluta impermeabilità a qualunque considerazione frutto di esperienza ed uso di ragione. E' per questo che, anziché confutare uno per uno ed una volta di più i singoli punti, solo apparentemente positivi, non facciamo altro che mettere a raffronto la percezione del neocat che si firma Matteo, con quella -a seguire- della ex neocat, che si firma Alice


Innanzitutto buona sera, adesso vorrei sinceramene capire come possiate e vogliate ancora mettervi ad additare e contestare il CN dopo la pubblica approvazione da parte della Chiesa di Dio espressa attraverso il Santo Padre e le opportune congregazioni.... davvero non capisco a che titolo vi ergete a giudici di quanto la Chiesa stà facendo riguardo il CN. Sembra quasi temiate che il CN possa mettere in cattiva luce la vostra fede... davvero non capisco... il cammino ha sempre espresso la totale sottomissione alla chiesa e al Papa... ve lo dico da bresciano e ho decine di testimonianza al riguardo. Indubbiamente il CN necessita di correzioni e se necessario di profondi cambiamenti, ma ciò non toglie che forse la Santa Sede abbia qualche buon motivo per permettere il proseguo del Cammino.
Conosco decine di Neocatecumeni di ogni parte del mondo.. e una delle cose che ho ritrovato ovunque è la totale e indiscriminata sottomissione a Cristo sia esso nella figura del Papa o del Vescovo o del Parroco locale. Quindi ve lo dico tranquillamente... se mai il CN diventerà un pericolo per la Chiesa sappiate che non vi è alcun dubbio riguardo la fedeltà con cui i neocatecumeni seguiranno le indicazioni del Papa.
Se poi parliamo del ballo finale vi vorrei ricordare che ogni canto (eccetto forse 5 se non ricordo male)sono salmi o parti della Bibbia musicate e che se me lo permettete, visto che sono cantore, vorrei che abbiate maggiore rispetto per i canti; il cantore prega mentre canta, che è questo che ti insegnano nel cammino, a cantare i salmi e le lodi di Dio quindi indifferentemente dalla musicalità più o meno apprezzata dei canti del CN la sostanza non cambia...
Ringrazio il Signore e la Chiesa per il dono di questo Cammino, ho 30 anni sono sposato da 5 anni ho 3 figlie, Maria quasi 4 anni, Giuli 2 anni e mezzo e Anna nata il giorno di Natale del 2010, più un quarto figlio in cielo che il Signore ha chiamato a se prima che nascesse; ve lo dico con tutto il cuore... lo Spirito di Dio è come il vento non sai da dove viene e non sai dove va... meditate gente... meditate questa è un'opera di Dio davanti ai vostri occhi e voi vi mettete a discuterne la bontà.
arrivederci e spero vogliate prendere queste mie parole non come un tentativo di ribattere ma come un invito a vedere il CN con un pò di amore in più rispetto a quello che manifestate...

Ciao a tutti gli amici del blog. Vi ringrazio perchè in quest'ultimo periodo in cui ho deciso di prendermi una pausa dal cammino, mi sono sentita capita e molte altre persone vivono e hanno vissuto la mia stessa situazione. Caro anonimo anche se non fai parte del cammino, hai descritto bene le sensazioni che si provano [vedi]. Dopo 7 anni, arrivata al II passaggio, con molto combattimento, ho deciso di prendermi una bella pausa e c'ho messo un bel po' prima di far capire a me stessa che lasciare la comunità non significava tradire Cristo. Devo ringraziare il Cammino perchè mi ha fatto conoscere di nuovo Dio, mi ha fatto credere di nuovo nella Sua esistenza... ma, purtroppo, i suoi metodi, secondo me poco ortodossi, sono venuti fuori piano piano a cominciare dal I passaggio con un crescendo dallo shemà al II passaggio. Ho vissuto con continui sensi di colpa se saltavo gli incontri settimanali o la messa il sabato sera, come se qualcuno dall'alto mi punisse. Vivevo allo stesso modo le scrutatio organizzate la domenica, i vari incontri con i catechisti regionali, le convivenze o le evangelizzazioni in quaresima. Quando mi trovavo lì, avevo il cuore soffocato e con la voglia di finire presto. Alla fine degli incontri il mio cuore si alleggeriva: avevo adempiuto al mio dovere e non avere così sensi di colpa. Le mie domande sono cominciate durante il I passaggio durante lo scrutinio, per non parlare dello Shemà. In questo passaggio mi sono sentita dire per ben 3 giorni di fila di vendere i miei beni, quasi che uno dovesse andare a vivere sotto un ponte, di lasciare tutto e tante altre cose che ho dimenticato; la sensazione che ho avuto è quello di aver sbagliato tutto nella vita o chissà quale cosa avrei dovuto fare per seguire Cristo. Ho deciso così di parlare con i catechisti di queste mie perplessità perché erano sfociati in veri e proprio attacchi d'ansia (oltre quelli di cui soffrivo all'epoca) e loro mi hanno detto che avevo capito male, che le cose nel Cammino avvengono gradualmente e oltre a questo che il mio ragazzo se mi amava veramente doveva entrare in comunità (cosa che mi ha fatto ancora di più crescere l'ansia. Quest'anno ho avuto la convivenza a gennaio per il II passaggio: più che l'amore di Dio, ho sentito nelle loro parole la condanna e il giudizio per il peccatore, per non parlare delle interpretazioni assurde date ad alcuni passi del Vangelo. Ho partecipato solo alla prima serata dello scrutinio: il fratello estratto a sorte si sedeva davanti la croce e ai catechisti con il resto della sua comunità intorno. Gli venivano poste le famose 3 domande e relative sottodomande, se partecipava agli incontri, se i fratelli sapevano di altre cose che potevano essere utili per lo scrutinio.
Arrivata al secondo passaggio ho assistito allo scrutinio dei primi 4 fratelli. Da lì mi sono decisa a lasciare. il fratello seduto davanti la croce e ai catechisti, rispondeva alle 3 domande e sottodomande. Oltre a questo il sacerdote chiedeva dell'infanzia del fratello, mentre i catechisti chiedevano se il poveretto andava agli incontri, se c'erano delle cose da dire utili allo scrutinio e dicevano in che modo doveva indirizzare la sua vita. Non avevo voglia di subire una seduta di psicoterapia (visto che già ne avevo fatte tanto di mio con lo psicologo per i miei attacchi) o ancor meglio un interrogatorio. La frase più bella è stata: "Noi chiediamo ai fratelli se hanno da dire qualcosa di utile per lo scrutinio. Sapete: chi uccide, chi ruba, chi ha rapporti prematrimoniali non è un cristiano". Questo è giudizio. La misericordia e il perdono di Dio dov'è? E' come mettere un macigno sopra le spalle di qualcuno, ma non tutti sono in grado di portarlo. Non avevo voglia di raccontare la mia vita (pensando anche a chissà quali domande potevano aggiungere) e mettermi a nudo davanti a persone, ma preparate fino a che punto?! non fanno altro che ripetere le stesse cose che Kiko ha scritto nelle sue catechesi x il II passaggio. A che pro queste pressioni nei vari passaggi e il fatto di denudarsi di tutto? Finisco qui il mio commento anche rischio di avervi annoiato, ma avevo bisogno di sfogarmi. Scusate. Ringrazio ancora voi del blog perchè indirettamente mi siete stati vicino. un abbraccio. Alice