giovedì 29 novembre 2007

In dirittura d'arrivo per l'adeguamento alle norme liturgiche

Così scrive uno dei nostri interlocutori alla vigilia della scadenza del tempo concesso dal Papa per l'adeguamento del Cammino alle norme liturgiche della Chiesa e a ben due anni dalla diramazione delle direttive date con la lettera del card Arinze del 1° dicembre 2005:

"Posso assicurarti che la lettera è presa in considerazione più di quanto non traspaia. E si sta pensando ai modi migliori per attuarla affinchè si permei nella natura della parrocchia"

Cosa dedurre da questo: tergiversare, resistenza ad abbandonare il proprio rito diverso. Perché?

Non basta recepire quel che è stato detto, cercando soprattutto di capire il perché, visto che dietro non c'è una semplice superficiale "forma" ma la sostanza di una teologia diversa?

martedì 27 novembre 2007

Dottrina sociale della Chiesa e Cammino NC

Parole di Giovanni Paolo II

"La dottrina sociale naturale e cristiana, particolarmente nella nostra epoca, a cominciare dalla fine del XIX secolo, si è enormemente arricchita di tutta la problematica contemporanea. Ciò non significa che essa sia sorta soltanto a cavallo dei due ultimi secoli: esisteva infatti sin dall'inizio, come conseguenza del Vangelo e della visione dell'uomo da esso portata nei rapporti con gli altri uomini e particolarmente nella vita comunitaria e sociale" (5.6.1979).

"La dottrina sociale proposta dalla Chiesa, pertanto, deve essere fedelmente seguita, né ci potranno essere ragioni di ordine storico che possano giustificare la infedeltà alla medesima. Sarebbe costruire sulle sabbie mobili delle ideologie e non sulla roccia di una verità che è prima e al di sopra di tutte le ideologie e di tutti i sistemi e dei medesimi e criterio di giudizio. Solo da questa unità col Magistero, che insegna per mandato di Cristo la verità sull'uomo, può nascere un impegno del laico veramente efficace, capace cioè di promuovere realmente la dignità della persona" (31-10-1981)

Possiamo pensare che la Dottrina Sociale della Chiesa trovi una sua collocazione e un suo respiro nel Cammino Neocatecumenale, dove lo stile, i metodi e i comportamenti sono quelli delle "consorterie" e ogni rapporto di esaurisce nella cerchia chiusa delle comunità e dove il rispetto della persona, a partire da quello del suo "foro interno", come indicato negli statuti scaduti e non rinnovati, non ha alcun diritto di cittadinanza?

lunedì 26 novembre 2007

Arinze ai sacerdoti progressisti:

Parole rivolte dal Card Arinze ai sacerdoti modernisti, ma potrebbero essere indirizzate tranquillamente ai neocatecumenali:

“La santa liturgia non è una cosa che si inventa...”.

“Molti abusi, nel dominio della liturgia, hanno origine non nella cattiva volontà, ma nell’ignoranza...”.

“Bisogna allontanarsi da questa freddezza, da questo orizzontalismo che mette l’uomo al centro dell’azione liturgica, e anche da questo manierismo apertamente egocentrico che le nostre assemblee della domenica sono talvolta obbligate a subire...”.

“Sfortunatamente, molte omelie assomigliano a dei discorsi marcati da considerazioni di ordine sociologico, psicologico. Talvolta esse sono tenute da fedeli laici, che non sono affatto abilitati a pronunciare l’omelia per la quale è richiesto di ricevere l’ordinazione...”.

“È dar prova di falsa umiltà e d’una concezione inammissibile della democrazia o della fraternità, per un prete, cercare di condividere il ruolo che egli esercita nella liturgia in quanto prete, e che gli è strettamente riservato, con dei fedeli laici...”.

“Se si indebolisce il ruolo del prete o se non lo si apprezza, una comunità locale cattolica può pericolosamente precipitare nell’idea che è possibile avere una comunità senza prete...”.
[www.chiesa 13 novembre 2006]

sabato 24 novembre 2007

Anticlericalismo neocatecumenale


Se avete notato, spesso i NC usano la parola 'preti' in senso dispregiativo, in contraddizione con le loro continue dichiarazioni di fedeltà alla Chiesa.

Il Cammino è dunque anti-clericale?
In effetti lo è, considerato questo tono generale di disprezzo verso i sacerdoti.

Ed è una probabile conseguenza di questa avversione il fatto che anche i presbiteri aderenti al Cammino sono figure sostanzialmente emarginate e svuotate di funzioni, accettate per così dire "con riserva" e relegate in un angolo, con un ruolo limitato nel mondo chiuso del Cammino.

Ora, è un paradosso di come facciano i neocatecumenali a sentirsi razionalmente dentro la Chiesa se di essa rinnegano praticamente tutto: i dogmi, la dottrina, la funzione storica, la tradizione, i riti, i luoghi di culto, gli spazi sacri, la musica, i simboli e perfino i suoi servitori ufficiali, cioè i 'preti'.

Praticamente, non vi è aspetto della vita cattolica che non sia messo in discussione e reinterpretato dai neocatecumenali secondo la dottrina di Kiko e Carmen.

Alla fine, si capisce che l'anticlericalismo dei neocatecumenali è un aspetto del ben più grave anti-cattolicesimo che sorregge l'intera concezione neocatecumenale.

E tutto ciò avviene nello stesso momento in cui ognuno di loro continua a professarsi cattolico, a dichiararsi fedele alla Chiesa, a propagandare che il Papa è con loro.

Ciò testimonia il livello di confusione e di fanatismo che vige nella mens del Cammmino, al punto da non riuscire a vedere se stessi nella reale, concreta, solida fisionomia anticattolica.
Almeno nella base del Cammino, poichè i capi ai vari livelli sono perfettamente consci della loro anticattolicità, nel senso di alternatività alla Chiesa apostolica romana.

In definitiva, nel Cammino c'è di tutto (ebraismo, esoterismo, simbolismo, protestantesimo) tranne ciò che dovrebbe esserci primariamente: i contenuti cattolici.
Leonardo

giovedì 22 novembre 2007

Una lettera celata


Nell'Avvento del 2001 l'allora Arcivescovo metropolita della diocesi di Catania Mons. Luigi Bommarito (http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Bommarito) scrisse una lettera con diverse critiche al movimento neocatecumenale. Nonostante questa lettera fosse stata indirizzata Ai fratelli e alle sorelle delle Comunità neocatecumenali della Chiesa che è in Catania. Per conoscenza ai presbiteri dell'arcidiocesi"non ne fu data mai divulgazione, mai nessun catechista la commento' nelle proprie comunita' (e all'epoca dei fatti io stesso ero catechista) anzi si cerco' di non divulgarla a nessuno, di tenerla il piu' possibile nascosta. Quello che vogliamo far notare adesso è che, nonostante questa lettera fosse stata scritta nel 2001, nonostante uno statuto ad experimentum approvato e oggi scaduto, nonostante i vari richiami da parte di Vescovi, conferenze episcopali e del Santo Padre, nulla e' cambiato nell'atteggiamento dei neocatecumeni e dei loro dirigenti, Kiko e Carmen in testa (e vorremmo sapere realmente cosa hanno in testa)!
Ecco la lettera per intero:

Ai fratelli e alle sorelle delle Comunità neocatecumenali della Chiesa che è in Catania. Per conoscenza ai presbiteri dell'arcidiocesi.

Carissimi nel Signore Gesù,

lungo il mio servizio episcopale svolto per circa quattordici anni nella santa Chiesa di Dio che è in Catania, non ho mai cessato di ringraziare il Signore per la ricchezza, la varietà e la vivacità pastorale incontrate non solo nelle comunità parrocchiali e nella vita religiosa, ma anche nelle associazioni, nei movimenti e nelle varie aggregazioni ecclesiali di cui è ricca la nostra diocesi catanese. In sintonia con il santo padre Giovanni Paolo II e con l'episcopato italiano, reputo un grande "dono di Dio", una vera e propria "ondata di grazia" le varie forme di aggregazione di fedeli, da quelle più antiche a quelle più recenti, che nella loro molteplicità sono segni "della ricchezza e della versatilità delle risorse che lo Spirito del Signore Gesù alimenta nel tessuto ecclesiale" ("Christifideles laici", n. 29; Ev 11/1720), tanto da essere accolte con gratitudine e responsabilmente valorizzate, come sottolinea nell'Introduzione la nota pastorale della Cei "Le aggregazioni laicali nella Chiesa" (29.4.1993; Ecei 5/1547).
In verità in questo prezioso contesto di grazia, come pastore di tutto il gregge affidatomi da Dio, quando mi è stato possibile, sono stato gioiosamente presente per incoraggiare, benedire, stimolare e promuovere, ma contemporaneamente - come era ed è mio preciso dovere - anche per correggere quegli aspetti che, a volte, nelle loro espressioni si sono manifestati in maniera piuttosto "problematica", ora per difetto ora per eccesso. È stato ed è anche il caso delle comunità neocatecumenali che ho seguito con stima, affetto e - come tutti sapete - con alcune perplessità. Ho avuto modo di discuterne con responsabili del Cammino dentro e fuori la nostra diocesi. Posso confermare che le mie perplessità di tipo teologico-pastorale che sto per comunicarvi hanno incontrato dappertutto - a partire da molti miei confratelli vescovi - una perfetta consonanza, sia sul piano delle idee come su quello delle esperienze concrete vissute con una certa sofferenza nell'ambito di molte Chiese locali italiane e non solo italiane. Mi sono chiesto tante volte, e nel contempo sento di chiedere anche a voi, se non sia opportuno far luce e dare precise risposte a delle richieste di chiarimento che fino a oggi purtroppo sono rimaste inevase, col rischio che si possano continuare a fomentare ancora di più perplessità e insofferenze varie in mezzo al popolo di Dio. Credo opportuno, pertanto, elencare alcuni aspetti del vostro Cammino che mi sembrano bisognosi di necessarie, pertinenti e urgenti chiarificazioni. Se non l'ho fatto prima - mai però ho nascosto le mie perplessità anche se unite a sentimenti di ammirazione - è perché ho atteso l'approvazione del Cammino da parte del santo padre. Ritardando ancora tale approvazione, vi confido le ragioni che, da sempre, cioè da quando, a Monreale, da sacerdote ho frequentato la catechesi del Cammino, mi hanno lasciato perplesso.
1. Si nota che in molte comunità neocatecumenali al presbitero viene di solito riconosciuta o quasi "concessa" solo la dimensione cultuale e funzionale dell'ordine sacro, mortificandolo se non addirittura privandolo della sua connaturale dimensione giurisdizionale che - come ben sappiamo - è parte integrante e costitutiva dell'ordine stesso. Spesso, infatti, è il catechista che si appropria indebitamente della potestà giurisdizionale propria del sacerdozio ministeriale.
Ci si chiede: quale consonanza c'è con la "Lumen Gentium", la quale precisa che i sacerdoti "nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il vescovo, (...) santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata" (n. 28; Ev 1/355)?
Un presbitero, a me carissimo, mi ha confidato che dopo oltre 20 anni non ha chiaro ancora il suo ruolo di presbitero nell'équipe dei catechisti.
2. Lungo l'iter catechetico del Cammino viene rigidamente e pesantemente sviluppata la situazione della nullità dell'uomo anche se battezzato e quindi l'incapacità dello stesso cristiano di aprirsi - senza l'apporto della comunità neocatecumenale - alla grazia redentiva di Cristo, come se l'evento storico della risurrezione non avesse risolto e provocato i benefici dell'alleanza di tutti e di ciascuno con Dio. In altre parole: come se la virtù teologale della speranza - virtù infusa dallo Spirito in ciascun battezzato col battesimo - rimasta impoverita e defenestrata, non avesse più nessuna voce in capitolo. Ma la fede cristiana corredata dalla preghiera e dai sacramenti non è già in se stessa portatrice di luce, di pace, di forza, di gioia, di vittoria sul male? A cosa si riduce il cristianesimo se viene a mancare la teologia della speranza?
3. Con molti vescovi di mia conoscenza - di cui accludo interventi e testimonianze che fanno molto pensare - faccio osservare che va provocando confusione, malumori e disagi pastorali il fatto che ancora da parte delle comunità neocatecumenali si continua a celebrare in forma riservata e privata l'eucaristia del sabato sera e addirittura la veglia della Pasqua del Signore, evento strepitoso dell'amore di Dio teso per natura sua a radunare insieme tutto il popolo di Dio in un'unica grande famiglia. Si divide il popolo di Dio in due, come blocchi composti in classi e categorie diverse, l'uno di serie A e 1'altro di serie B, come fossero cioè schieramenti separati e contrapposti, incapaci di riconoscersi tutti fratelli. Hanno proprio torto coloro che pensano che le comunità neocatecumenali costituiscono una Chiesa parallela? Non dobbiamo accogliere in un'unica comunità anche i più poveri e i più deboli, i meno catechisticamente preparati che spesso, senza volerlo né saperlo, sono ritenuti fuori del recinto o forse sono rimasti "fuori" per colpa di noi stessi che ci riteniamo i più vicini, più praticanti e osservanti? Qualcuno può pensare: ma il sacramento non agisce proficuamente già ex opere operato? Perché allora dare tanta importanza solamente alla partecipazione del gruppo dei più qualificati? Forse che l'ex opere operantis (inteso anche come azione di comunità di prescelti) per merito della sua modalità di "cammino", e solo perché diversa da altri "cammini", riesca a rendere più meritevole ed efficace il sacramento?
4. Sappiamo da san Paolo che lo Spirito affida i suoi carismi ai singoli battezzati - e di conseguenza anche ai singoli gruppi ecclesiali - per il bene comune (cf. 1 Cor 12, 7), per esempio per il bene comune dell'intero popolo di Dio presente in ogni parrocchia.La comunità neocatecumenale come pure qualche altro movimento ecclesiale, impongono invece esattamente il percorso inverso, comportandosi in modo tale da strumentalizzare il bene comune per garantire il loro proprio carisma, assolutizzando le loro scelte e imponendo il loro metodo come fosse insuperabile, unico rispetto a tutti gli altri e, per qualcuno addirittura, l'unico salvifico.
5. Di conseguenza, non di rado capita di constatare che nelle parrocchie ove sono presenti in maniera consistente le comunità neocatecumenali, non sempre è facile la convivenza né tanto meno la collaborazione con le altre realtà ecclesiali operanti in loco.
Con coloro che mi hanno accompagnato, durante la visita pastorale, in una parrocchia, ne abbiamo fatto amara constatazione.
Penso che una maggiore sintonizzazione con il piano e gli indirizzi pastorali del pastore della diocesi potrebbe ridimensionare la presunta convinzione che il proprio metodo sia il più perfetto fino ad avere la precedenza su tutti gli altri, come se avesse l 'imprimatur dello Spirito.
6. Sappiamo dal Vangelo che il messaggio di Gesù procede dolcemente sul versante libero e liberante del "Si vis..." (se vuoi...) e si evidenzia fino a svilupparsi chiaramente e amichevolmente su di un piano di amore la cui espressione emblematica è la parabola del figliol prodigo: un padre che attende il figlio perduto, gli va incontro, lo abbraccia, lo perdona per lo sbaglio commesso, lo riveste, gli mette l'anello al dito, fa festa, lo scusa persino di fronte al fratello maggiore che non la pensa come lui!...
Il Cammino neocatecumenale a volte sembra invece camminare sul versante intransigente del "tu devi", sul filo di un imperativo categorico di kantiana memoria, col rischio molto facile di cadere in una sorta di fondamentalismo integralista destinato, come purtroppo accade, a fomentare divisioni e separatismi vari, creando inevitabilmente piccoli ghetti o pericolose chiesuole nell'ambito della stessa Chiesa di Dio nata invece per essere un'unica grande famiglia del Padre.
7. Non vorrei parlare degli scrutini che, spesso, scarnificano le coscienze con domande che nessun confessore farebbe. Ma come ciò può essere permesso a un laico, sia pure catechista?
Non vorrei parlare neppure delle confessioni pubbliche... Ma chi può autorizzare uno stile che la Chiesa, nella sua saggezza e materna prudenza, ha abolito da secoli?
8. Ho letto con attenzione e interesse la lettera che recentemente (Roma, 5 aprile 2001) il santo padre ha rivolto al cardinale Francis Stafford, presidente del Pontificio consiglio per i laici: una lettera molto significativa e oltremodo importante. Il sommo pontefice chiede un giudizio definitivo sul Cammino neocatecumenale proponendo un attento e accurato discernimento da parte dello stesso Consiglio pontificio alla luce degli indirizzi teologico-pastorali del magistero.
In realtà, non essendoci stata fino ad ora - dopo decenni di presenza delle vostre comunità in vari paesi del mondo - una vera e ufficiale approvazione dello statuto alla luce delle norme emanate dalla Santa Sede e dalla Cei, i giudizi sulla bontà del vostro Cammino non sono sempre concordi perché di fatto variano da diocesi a diocesi e da parrocchia a parrocchia, in base a comportamenti ed esperienze locali. Vi si chiede pertanto molta riflessione prima di continuare il cammino in maniera sicura e definitiva. La sottomissione al giudizio della Chiesa è il biglietto di presentazione più credibile, valido e decisivo.
Carissimi, come vedete - lo dicevo già all'inizio - le parole che vi scrivo. invocano semplicemente chiarezza su alcuni punti rimasti ancora in zona d'ombra e di conseguenza attendono adeguati cambiamenti di prassi pastorale, per i1 bene delle nostre comunità parrocchiali.
Sono certo che l'amore che vi lega all'ascolto della Parola, all'eucaristia, al servizio della carità e al giudizio della Chiesa, riuscirà a modificare ciò che è modificabile e a correggere ciò che è opportuno e urgente correggere, allo scopo di vivere serenamente, insieme con tutti i fedeli delle nostre parrocchie, quell'unità e quella comunione che fu e che è il grande anelito di Gesù: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Gv 17,21).
Posso attestare comunque di vedere, senza ombra di dubbio - nel vostro "Cammino", nelle vostre comunità, come in ciascuno di voi - la presenza vivificante dello Spirito di Gesù che vi ha portati e vi porta a compiere opere pastorali degne di ammirazione, perché realizzate con sacrifici di tempo, di affetti, di denaro e di gesti di zelo missionario anche fuori il nostro paese. Adesso occorre però riesaminare i passi compiuti e rivedere e verificare - alla luce della ecclesiologia conciliare, del Catechismo della Chiesa cattolica, degli orientamenti del piano pastorale dell'Episcopato italiano e del piano pastorale del proprio pastore - quanto le nostre comunità parrocchiali attendono dal carisma che vi è stato affidato dal Signore e che speriamo venga riconosciuto quanto prima dallo Spirito attraverso l'approvazione dello statuto da anni presentato alla Santa Sede.
Il Signore Gesù e la Vergine santa benedicano e assistano il vostro Cammino perché sia illuminato dalla Scrittura santa da voi meditata e perché viva in stretta comunione col vescovo, con i parroci e con tutte le realtà ecclesiali che lo Spirito suscita per il cammino di santità di tutto il popolo di Dio.
Con larga cordiale benedizione anche per l'Avvento e per il Natale del Signore nostro Gesù, vostro

+ Luigi Bommarito arcivescovo
Avvento 2001

martedì 20 novembre 2007

Il Vaticano su Liturgia e Arte Sacra

Inserisco i punti salienti di una intervista pubblicata dall'Osservatore Romano, rilasciata nei giorni scorsi dal segretario della Congregazione per il Culto Divino, l'arcivescovo Albert Malcom Ranjith, in ordine al dibattito sulla Liturgia, che ci riguarda così da vicino.

Come lei stesso ha ricordato, dalla Mediator Dei ai documenti conciliari la centralità di Cristo nella liturgia è sempre affermata con chiarezza e vigore: la cosiddetta Chiesa postconciliare ha saputo incarnare pienamente questa realtà?
Con questo tocchiamo un tasto doloroso. C'è infatti un problema pratico: il valore delle norme e delle indicazioni dei libri liturgici non è stato pienamente capito da tutti nella Chiesa. Faccio un esempio. Quello che accade sull'altare è ben spiegato nei testi liturgici, evidentemente, però, certe indicazioni non sono state prese del tutto sul serio: c'è infatti una certa tendenza a interpretare la riforma liturgica postconciliare utilizzando la "creatività" come regola. Questo non è permesso dalle norme. La liturgia in certi luoghi non sembra riflettere il suo cristocentrismo ma esprime invece uno spirito di immanentismo e di antropocentrismo. La verità è ben diversa: un vero antropocentrismo deve essere cristocentrico. Quello che succede sull'altare è un qualcosa che non operiamo noi: è Cristo che agisce e la centralità della figura di Cristo sottrae quell'atto al nostro governo. Noi siamo assorbiti e ci facciamo assorbire in quell'atto, tanto che alla fine della preghiera eucaristica pronunciamo la stupenda dossologia che recita: "Per Lui, in Lui e con Lui".
La tendenza "creativa" cui accennavo non è permessa dalle istruzioni dei libri liturgici. Purtroppo essa deriva da una cattiva interpretazione dei testi o forse da una scarsa conoscenza di essi e della liturgia stessa.
Dobbiamo renderci conto che la liturgia ha una peculiare caratteristica "conservativa" - ma non nell'accezione negativa che oggi alcuni danno alla parola. Nell'Antico Testamento emerge una grande fedeltà ai riti e lo stesso Gesù ha continuato a essere fedele al rituale dei padri. In seguito, la Chiesa ha proseguito su questa stessa linea. San Paolo afferma: "Io trasmetto a voi ciò che ho ricevuto" (1 Corinzi, 11, 23), e non "ciò che ho inventato". Questo è un aspetto centrale: noi siamo chiamati a essere fedeli a qualcosa che non ci appartiene ma che ci viene dato; dobbiamo essere fedeli alla serietà con cui si celebrano i sacramenti. Perché dovremmo riempire pagine e pagine di istruzioni se poi ciascuno si ritiene autorizzato a fare quello che vuole?

Dopo la pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum si è riacceso il confronto tra i cosiddetti tradizionalisti e innovatori. Ha senso una contrapposizione del genere?
Assolutamente no. Non c'era e non c'è una cesura tra un prima e un dopo, c'è invece una linea continuativa. Parlando del motu proprio ritorniamo piuttosto al discorso appena affrontato. Riguardo alla messa tridentina c'è stata una domanda crescente nel tempo, via via sempre più organizzata. Di contro, la fedeltà alle norme della celebrazione dei sacramenti continuava a calare. Più diminuivano tale fedeltà, il senso della bellezza e dello stupore nella liturgia, più aumentava la richiesta per la messa tridentina. E allora, di fatto, chi ha realmente chiesto la messa tridentina? Non solo quei gruppi, ma anche coloro che hanno avuto poco rispetto per le norme della celebrazione degna secondo il Novus ordo.
Per anni la liturgia ha subìto troppi abusi e tanti vescovi li hanno ignorati. Papa Giovanni Paolo II aveva fatto un accorato appello nell'Ecclesia Dei afflicta che altro non era se non un richiamo alla Chiesa ad essere più seria nella liturgia. La stessa cosa è avvenuta con l'istruzione Redemptionis sacramentum. Eppure in certi circoli di liturgisti e uffici di liturgia questo documento è stato criticato. Il problema quindi non era la richiesta della messa tridentina, quanto piuttosto un abuso illimitato della nobiltà e della dignità della celebrazione eucaristica.
Di fronte a ciò il Santo Padre non poteva tacere: come si nota nella lettera scritta ai vescovi sul motu proprio e anche nei suoi molteplici discorsi, egli sente un profondo senso di responsabilità pastorale. Questo documento perciò - oltre ad essere un tentativo di cercare l'unione con la Fraternità Sacerdotale san Pio X - è anche un segno, un forte richiamo del pastore universale a un senso di serietà.

È un richiamo anche a chi forma i sacerdoti?
Direi di sì. Del resto di fronte a certe concezioni arbitrarie e poco serie della liturgia c'è da chiedersi cosa s'insegna in alcuni seminari.
Non ci si può accostare alla liturgia con atteggiamento superficiale e poco scientifico. Questo vale per chi adotta un'interpretazione "creativa" della liturgia, ma anche per chi presume troppo facilmente di stabilire come era la liturgia alle origini della Chiesa. Occorre sempre un'attenta esegesi, non ci si può lanciare in ingenue interpretazioni.
Oltre tutto in alcuni circoli liturgici c'è una certa tendenza a sottovalutare quanto la Chiesa ha maturato nel secondo millennio della sua storia. Si parla di impoverimento del rito, ma questa è una conclusione troppo banale e semplicistica: noi crediamo invece che la tradizione della Chiesa si manifesti in uno sviluppo continuo. Non possiamo dire che una parte è migliore di un'altra: ciò che conta è l'azione dello Spirito in continua crescita, pur negli alti e bassi della storia. Noi dobbiamo essere fedeli alla continuità della tradizione.
La liturgia è centrale per la vita della Chiesa: lex orandi, lex credendi, ma anche lex vivendi. Per un rinnovamento vero della Chiesa - desiderato tanto dal Concilio - è necessario che non si limiti la liturgia a uno studio solo accademico, ma che questa diventi una priorità assoluta nelle Chiese locali. Perciò è importante che alla formazione liturgica secondo la mente della Chiesa sia data la giusta importanza a livello locale. In fin dei conti la vita sacerdotale è strettamente legata a quello che il sacerdote celebra e a come lo celebra. Se un sacerdote celebra bene l'Eucaristia è sfidato a essere coerente e a diventare parte del sacrificio di Cristo. La liturgia diventa così fondamentale per la formazione di sacerdoti santi. È questa una grande responsabilità dei vescovi che possono così fare tanto per un vero rinnovamento della Chiesa.

Un aspetto non secondario del dibattito sulla liturgia è senz'altro quello dell'arte sacra, a cominciare dall'importante capitolo della musica liturgica. Tra l'altro "L'Osservatore Romano" proprio nei giorni scorsi ha affrontato questi temi riportando delle considerazioni non certo rassicuranti di monsignor Valentín Miserachs Grau.
La Congregazione sta ancora studiando il documento per il nuovo antifonale, abbiamo anche consultato lo stesso Pontificio Istituto di Musica Sacra e speriamo di poter arrivare a una rapida conclusione.
Cantare significa pregare due volte e questo vale soprattutto per il canto gregoriano che è un tesoro inestimabile. Il Papa nella Sacramentum caritatis ha parlato chiaramente della necessità di insegnare nei seminari il canto gregoriano e la lingua latina: noi dobbiamo custodire e valorizzare tale immenso patrimonio della Chiesa cattolica e utilizzarlo per rendere lode al Signore. Bisogna sicuramente lavorare ancora su questo aspetto.
Vi sono poi nell'uso comune molti canti che non si rifanno alla tradizione del gregoriano: è importante assicurare che siano edificanti per la fede, che alimentino spiritualmente chi partecipa alla liturgia e che dispongano realmente il cuore dei fedeli all'ascolto della voce di Dio. I contenuti, poi, devono essere controllati dai vescovi per evitare, ad esempio, tendenze new age.
A questo riguardo anche nell'uso degli strumenti musicali bisogna esercitare un grande senso di discrezione: che tutto sia solo per l'edificazione della fede.

Nel campo dell'architettura sacra il dialogo con gli specialisti sembra più delineato; più difficoltoso sembra invece quello con gli artisti figurativi. Se alcuni grandi artisti contemporanei appaiono coinvolti nell'interpretazione dei temi sacri, ciò accade molto meno per la produzione pensata appositamente per i luoghi di culto. È solo un problema di committenze o il dialogo tanto sostenuto da Paolo VI necessita di nuovo impulso?
Il Concilio ha dedicato un intero capitolo all'arte sacra. Tra i principî affermati, essenziale è quello del legame tra arte e fede.
Il dialogo è fondamentale. Ogni artista è una persona tutta particolare, ha un suo stile di cui è molto orgoglioso. Bisogna saper entrare nel cuore dell'artista con la dimensione della fede. È difficile, ma la Chiesa deve trovare le vie per un dialogo più profondo.
Il 1° dicembre ci sarà - sul tema - una giornata di studio in Vaticano organizzata dalla Congregazione: noi contiamo che possa essere un'occasione per dare impulso a questo dialogo e alla promozione dell'arte sacra.
(©L'Osservatore Romano - 19-20 novembre 2007)

sabato 17 novembre 2007

Per amore del Papa! Ecco cosa seguiamo!


Dal Libro-Intervista Rapporto Sulla Fede - Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger

"Punto irrinunciabile di partenza è, ancora e sempre, una prospettiva religiosa, al di fuori della quale ciò che è servizio apparirebbe intolleranza, ciò che è sollecitudine doverosa sembrerebbe dogmatismo. Se si entra dunque in una dimensione religiosa, si comprende come la fede sia il bene più alto e prezioso, proprio perché la verità è l'elemento fondamentale per la vita dell'uomo.

Dunque, la preoccupazione perché la fede non si corrompa dovrebbe essere considerata - almeno dai credenti - ancor più necessaria della preoccupazione per la salute del corpo. Il vangelo ammonisce di "non temere coloro che uccidono il corpo", ma di temere "piuttosto coloro che,assieme al corpo, possono uccidere anche l'anima" (Mt 10,28). E lo stesso vangelo che ricorda come l'uomo non viva di "solo pane", ma innanzitutto della "Parola di Dio" (Mt 4,4). Ma quella Parola, più indispensabile del cibo, va accolta nella sua autenticità e va preservata da ogni alterazione. È lo scetticismo di fronte alla possibilità per l'uomo di conoscere la verità con la conseguente perdita del concetto vero di Chiesa e l'appiattimento della speranza nella sola storia(dove ciò che soprattutto conta è il "corpo" il "pane", non più "l’anima", la "Parola di Dio) che ha fatto sì che appaia irrilevante, quando non anacronistico o addirittura dannoso, il servizio di una Congregazione come quella per la dottrina della fede".

(...)
"Circolano dei facili slogans. Secondo uno di questi, ciò che oggi conta sarebbe solo l'ortoprassi, cioè il "comportarsi bene", l’"amare il prossimo". Sarebbe invece secondaria, se non alienante, la preoccupazione per l'ortodossia e, cioè, il "credere in modo giusto", secondo il senso vero della Scrittura letta all'interno della Tradizione viva della Chiesa. Slogan facile perché superficiale: infatti i contenuti dell'ortoprassi, dell'amore per il prossimo, non cambiano forse radicalmente a seconda dei modi di intendere l'ortodossia? Per trarre un esempio attuale dal tema scottante del Terzo Mondo e dell'America Latina: qual è la giusta prassi per soccorrere i poveri in modo davvero cristiano e dunque efficace? La scelta di una retta azione non presuppone forse un retto pensiero,non rinvia forse alla ricerca di una ortodossia?"

mercoledì 14 novembre 2007

Il Papa, S. Girolamo e l'interpretazione della Scrittura


Dalla catechesi odierna del Papa che ripropone la figura di S. Girolamo:

"Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell'interpretazione delle Scritture era la sintonia con il magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il "noi" nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. Per lui un'autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica.

Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva: "Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva - deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep. 16)."

Che dire della "interpretazione fai da te" propria del Cammino neocatecumenale, più vicina al "sola Scriptura" di Lutero, proprio per il voluto rinnegamento di 2000 anni di storia della Chiesa, da Costantino al Vaticano II? Non solo i catechisti ma anche 'presbiteri' formati nei seminari neocatecumenali o divenuti tali sono soliti alzare con arroganza le spalle o dire apertamente che la cosa non li riguarda, se qualcuno fa notare dettami del Magistero da loro non applicati soprattutto nella celebrazione della Santa e Divina Liturgia...

lunedì 12 novembre 2007

Il Luogo Sacro: un senso profondo e irrinunciabile


Su sollecitazione di Steph, rispondendo ad una domanda di "anonimo nc", meditiamo sulla profonda valenza della Chiesa come "Luogo Sacro", quindi Luogo della Presenza Viva e Vera di Dio. Partiamo dall'Insegnamento della Chiesa Cattolica, nel Compendio del suo Catechismo, per poi approfondire (per quanto ci è dato) il discorso riferendoci anche al Diritto della Chiesa:

Dal Compendio del Catechismo:

"244. La Chiesa ha bisogno di luoghi per celebrare la liturgia?
1197-1198

Il culto «in spirito e verità» (Gv 4,24) della Nuova Alleanza non è legato ad alcun luogo esclusivo, perché Cristo è il vero tempio di Dio, per mezzo del quale anche i cristiani e la Chiesa intera diventano, sotto l'azione dello Spirito Santo, templi del Dio vivente. Tuttavia il Popolo di Dio, nella sua condizione terrena, ha bisogno di luoghi in cui la comunità possa riunirsi per celebrare la liturgia.

245. Che cosa sono gli edifici sacri?
1198-1999

Essi sono le case di Dio, simbolo della Chiesa che vive in quel luogo, nonché della dimora celeste. Sono luoghi di preghiera, nei quali la Chiesa celebra soprattutto l'Eucaristia e adora Cristo realmente presente nel tabernacolo.

246. Quali sono i luoghi privilegiati all'interno degli edifici sacri?
1182-1186

Essi sono: l'altare, il tabernacolo, la custodia del sacro crisma e degli altri oli sacri, la sede del Vescovo (cattedra) o del presbitero, l'ambone, il fonte battesimale, il confessionale."

Ecco, in grande sintesi, cos'è e cosa rappresenta l'Edificio Sacro. Segno e Catechesi profonda. Non voglio azzardare conclusioni, ma deduzioni logiche sì. Steph mi faceva notare che i "luoghi privilegiati", fulcro dell'Edificio Sacro, sono proprio quelli che determinano la spaccatura tra il Cammino e la Chiesa Cattolica.
Partiamo da qui.

lunedì 5 novembre 2007

Il Giovedì Santo: IL SACRIFICIO PERENNE!


Proseguendo con il discorso inerente la nostra Venerata Fede Cattolica, riflettiamo sull'insegnamento dell'Amato Giovanni Paolo II. Il Papa USATO dal Cammino ma MAI ascoltato. Un brano essenziale, a tacer d'altri, che esprime la fede della Chiesa mai mutata e immutabile. Poche frasi, che però sono un pilastro. Pilastro attaccato e LASCIATO attaccare...purtroppo..

"Giovanni Paolo II
Dominicae cenae


...Come maestri e custodi della verità salvifica dell'eucaristia, dobbiamo, cari e venerati fratelli nell'episcopato, custodire sempre e dappertutto questo significato e questa dimensione dell'incontro sacramentale e dell'intimità con Cristo. Proprio essi costituiscono infatti la sostanza stessa del culto eucaristico. Il senso di questa verità sopra esposta non diminuisce in alcun modo, anzi facilita il carattere eucaristico di spirituale avvicinamento e di unione tra gli uomini, che partecipano al sacrificio, il quale, poi, nella comunione diventa per essi il banchetto. Questo avvicinamento e questa unione il cui prototipo è l'unione degli apostoli intorno al Cristo durante l'ultima cena, esprimono e realizzano la Chiesa.

Ma questa non si realizza solo mediante il fatto dell'unione tra gli uomini, attraverso l'esperienza della fraternità, alla quale dà occasione il banchetto eucaristico. La Chiesa si realizza quando in quella fraterna unione e comunione celebriamo il sacrificio della croce di Cristo, quando annunziamo «la morte del Signore finché venga» (1Cor 11,26) e, in seguito, quando profondamente compenetrati dal mistero della nostra salvezza, ci accostiamo comunitariamente alla mensa del Signore, per nutrirci, in modo sacramentale, dei frutti del santo sacrificio propiziatorio. Nella comunione eucaristica riceviamo quindi Cristo, Cristo stesso; e la nostra unione con lui, che è dono e grazia per ognuno, fa sì che in lui siamo anche associati all'unità del suo corpo che è la Chiesa.

...
Il mistero eucaristico, disgiunto dalla propria natura sacrificale e sacramentale, cessa semplicemente di essere tale. Esso non ammette alcuna imitazione «profana» che diventerebbe assai facilmente (se non addirittura di regola) una profanazione. Bisogna ricordarlo sempre, e forse soprattutto nel nostro tempo, nel quale osserviamo una tendenza a cancellare la distinzione tra «sacrum» e «profanum», data la generale diffusa tendenza (almeno in certi luoghi) alla dissacrazione di ogni cosa.
...
L'eucaristia è soprattutto un sacrificio: sacrificio della redenzione e, al tempo stesso, sacrificio della nuova alleanza ...«Il sacrificio odierno - ha affermato, secoli fa, la Chiesa greca - è come quello che un giorno offrì l'unigenito incarnato Verbo, viene da lui (oggi come allora) offerto, essendo l'identico e unico sacrificio» (Synodi Costantinopolitanae «Adversus Sotericum» (mensibus Ianuario 1156 et Maio 1157): Angelo Mai «Spicilegium romanum», t. X, Romae 1844, p. 77: PG 140,190; cfr. Martin Jugie «Dict. Théol. Cath.», t. X, 1338; «Theologia dogmatica christianorum orientalium», Paris 1930, pp. 317-320). Perciò, e proprio col rendere presente quest'unico sacrificio della nostra salvezza, l'uomo e il mondo vengono restituiti a Dio per mezzo della novità pasquale della redenzione. Questa restituzione non può venire meno: è fondamento della «nuova ed eterna alleanza» di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio. Se venisse a mancare si dovrebbe mettere in causa sia l'eccellenza del sacrificio della redenzione, che pure fu perfetto e definitivo, sia il valore sacrificale della santa messa. Pertanto l'eucaristia, essendo vero sacrificio, opera questa restituzione a Dio.
..
Ne consegue che il celebrante è, come ministro di quel sacrificio, l'autentico sacerdote, operante - in virtù del potere specifico della sacra ordinazione - l'atto sacrificale che riporta gli esseri a Dio. Tutti coloro invece che partecipano all'eucaristia, senza sacrificare come lui, offrono con lui, in virtù del sacerdozio comune, i loro propri sacrifici spirituali, rappresentati dal pane e dal vino, sin dal momento della loro presentazione all'altare. Questo atto liturgico, infatti, solennizzato da quasi tutte le liturgie, «ha il suo valore e il suo significato spirituale» («Institutio Generalis Missalis Romani», 49; «Missale Romanum»; cfr. «Presbyterorum Ordinis», 5). Il pane e il vino diventano, in certo senso, simbolo di tutto ciò che l'assemblea eucaristica porta, da sé, in offerta a Dio, e offre in spirito."

Questi alcuni spunti interessanti.

Che dire delle problematiche visibili della modificazione della Liturgia e di conseguenza della fede Cattolica Romana? E che dire della tenacia nello zittire chi grida vedendo questi scandali?